7 LEZIONI DI FILOSOFIA PITAGORICA 

 

LEZIONE QUARTA

 

Conseguenze logiche del pitagorismo: teologiche, politiche e morali.

 

 

In questa lezione ci adopreremo a trovare, almeno in abbozzo, le conseguenze pratiche di quanto abbiamo fin qui evidenziato.

 

Come già scritto, il sodalizio aveva prodotto una sua teologia filosofica che si fondava sul seguente principio:

tutta la natura, astrale, minerale, vegetale, animale e umana era considerata emanazione di un Dio unico inteso come potenza stante al di là della materia stessa.

Il Dio unico poteva essere, a seconda del tipo di rapporto con l’ individuo unico, sia La Mente di Dio (Il Nous) sia la legge materiale autonoma della Natura (altrettanto Il Nous), entrambi conosciuti parzialmente e per intuizione.

Anche per chi non avesse creduto in un Dio   antropomorfo, il giuramento sulla sacralità della decade costringeva ogni pitagorico alla responsabilità morale della scelta da lui liberamente voluta.  Ciò in quanto una Chiesa, o una gerarchia pitagorica non esisteva, ne' potrebbe esistere oggi.

Per cui, come abbiamo già scritto, il pitagorismo non poneva differenza, nella ricerca individuale del vero,  fra inclinazione spirituale o materialista.

L' uomo era  parte della emanazione e a lui era dato il privilegio di conoscerla attraverso lo strumento del numero inteso come rivelatore di misura e di verità. Ciò attribuiva alla teologia pitagorica un carattere unitamente scientifico e spirituale che da allora, purtroppo, non sarà mai più apprezzato nel mondo.

Tale carattere consentiva la costruzione di una morale originale, che oggi, forse,  sarebbe utile riconsiderare.

Tale morale si fondava sulla conseguenza logica secondo la quale tutti i rapporti umani, per essere coerenti a Dio, avrebbero dovuto diventare armonici ad esso, e fra loro.

 

Per logica, il bene era rappresentato dal tutto, e la corruzione dal limitato; inteso non come male in sè, perchè due esseri umani possono essere due limitati armonici, e così, ugualmente,  molti esseri umani,

Il male  consisteva, in pratica,  nell' interesse superiore che si dava al limitato stesso, fosse quello di un gruppo, di una città, o di una persona singola.

Il limitato, potremmo definirlo meglio “l’ imperfetto”. Io che scrivo sono “l’ imperfetto”; il lettore che legge è “l’ imperfetto”; non possiamo essere definiti “il bene” finché rimaniamo persone, e di passaggio.

In breve, l'odio fra gli uomini era considerato contraddittorio alla coerenza a Dio.

L' odio fra persone di religioni diverse, ad esempio.

In ambiente di potere limitato, infatti, l'uomo viveva (e vive) come se Dio non esistesse; e nominarlo come amore comune non valeva (e non vale) se non si ponevano in atto nella società umana le basi pratiche per realizzare tale principio.

 

 

Al di là di quelli che oggi possono apparire gli arcaismi più primitivi, che riguardano particolarmente la interpretazione della Tetrattide (i dieci punti), sulla quale, comunque, i pitagorici giuravano, e che Filolao, dopo l'applicazione del numero greco-ionico perfezionò nella struttura numerale decadica; al di là di ciò rileviamo l'importanza che Maria Timpanaro Cardini, dall'Università di Pisa, attribuiva agli studi sulla comunità pitagorica relativi alla loro possibilità di evoluzione.

Nella premessa al terzo volume della sua traduzione "I Pitagorici, testimonianze e frammenti" (ed. 1964) Ella scrive:

"…Questo terzo volume… contiene i pitagorici anonimi. Essi rappresentano la continuità della Scuola, l'uditorio che ascoltò l'insegnamento dei maestri, lo sfondo sempre presente sulla scena su cui si mossero ed operarono i pensatori che abbiamo veduti nei precedenti due volumi, da Pitagora a Timarida, i quali pertanto non vanno visti come figure isolate, ma come ricercatori di verità, per illuminare gli intelletti e insieme per educare le coscienze, essendo teoretica ed etica i due indissolubili aspetti della verità pitagorica…

La parte rappresentativa degli anonimi  è di enorme importanza; essi costituiscono il tessuto connettivo, la continuità, e perciò anche la verifica della validità di un insegnamento".

 

E' quindi chiaro che il pitagorismo non avrebbe potuto sopravvivere in una società, in un ambiente in cui l'interesse superiore del limitato era considerato, invece "il bene".

Nell' Etica nicomachea Aristotele attribuisce al "bene" un valore diverso, certamente più concreto e più comprensibile agli uomini, dal tempo suo fino al nostro; un valore però, entro il quale rimane estranea la coerenza alla costruzione di un ambiente favorevole alla concreta accettazione di un Dio inteso come armonia. Senza l' accettazione di un Dio armonico è anche impossibile ottenere una società laica coerentemente vivibile.

 

 

La nostra educazione ci ha abituati a dare  alla teologia religiosa il valore di  legge sacralizzata, quindi indiscutibile.

La libera teologia filosofica del pitagorismo si fonda invece sulla conseguenza logica dei propri principii.

Non è sacra, (perché sacra è soltanto la decade, la quale è soltanto una intuizione del bene), e può essere smentita e modificata in qualsiasi momento (da altri pitagorici, si preferirebbe).

Anzi, per i pitagorici dovrebbe diventare argomento autonomo di meditazione e aggiornamento continuo.

 

 

TEOLOGIA  PITAGORICA

 

DIO 1.

 

L'universo, così come lo conosciamo in termini astronomici e naturali, è inteso dai pitagorici quale emanazione di Dio (come intesero anche i filosofi greco – romani Plotino e Porfirio suo allievo, ed altri). Tutta la natura, pertanto, vivente o meno, è emanazione o, se si accetta una interpretazione materialista, ha la potenza della emanazione.

I pitagorici diedero carattere sacro alla emanazione, e al numero ionico greco, utilizzato da verso la metà nel V sec. a.C., che ne consentiva l'indagine.

Dio  quindi, secondo i pitagorici, è al di là della emanazione, inconoscibile se non in termini di  infinita potenza. Esso, nell'inizio, si presenta come materia e vita selvaggia, e solamente dopo – attraverso l'evoluzione – diventa Nous, ovvero comprensibile all' uomo.

Tale comprensibilità, che fu patrimonio dell' uomo greco per poco più di due secoli (nel sesto e quinto a.C.),  scomparve subito per cause storiche note (vedi Lezione 2^, 2) che darebbe qui troppo indugio riepilogare ancora.

L'infinita potenza oggi può essere definita Dio, o semplicemente materia, o come si vuole; partecipando essa di tutte le filosofie e religioni del mondo.

Parmenide la definì l'Uno, intendendo una cosa sola fra Dio,  la sua emanazione, e l' uomo stesso.

 

DIO 2.

 

La percezione (poi comprensione) di Dio si formò nel genere umano, sia attraverso la dimostrazione fisica del miracolo naturale, ovvero della materia vivente (il monte, il fiore, la nascita di un bambino, etc…),  sia attraverso lo spontaneo e  ideale sentimento di Dio,  dipendente dal grado di evoluzione spirituale, dalla educazione ricevuta, dal costume, dalle tradizioni, dalla zona geografica di nascita, etc…

 

DIO  3.

 

Dio esiste sempre, in qualsiasi momento della evoluzione biofisica.

Se anche il dinosauro, o il mammuth, (e così alcuni uomini) non potevano avere la percezione di Dio, tuttavia Dio esisté sempre, in qualsiasi età, o situazione storica e sociale lo si voglia collocare. Si intende, sia per conseguenza logica materiale, che spirituale.

 

 

NATURA 1.

 

Come dimostra la scienza, l' emanazione universale, almeno così come è avvenuto sul pianeta Terra, si è manifestata gradatamente, dalla sfera di fiamma al suo raffreddamento, allo sviluppo delle varie forme di vita vegetale e animale, sino alla manifestazione (per gradi) del genere umano.

Quindi una teoria dell' evoluzione (più o meno puntualizzata e aggiornata) dev'essere accettata in teologia.

La Teologia pitagorica non si giustifica su una scrittura, ma su una conseguenza logica, sempre ridiscutibile, eticamente orientata sul pitagorismo presocratico.

 

 

UOMO  1.

 

Essendo ogni persona fisica parte della emanazione, non è concesso ad essa il "possesso" di Dio,  (Dio mi ha detto, Dio mi ha ordinato…), poichè tali presunzioni di potenza, possono condurre un individuo a ritenersi possessore di Dio, e quindi al di sopra di ogni valore morale.

Eventuali comandamenti a carattere universale: es. "non si mangia carne", "non si beve vino", "si digiuna", "non si mangiano le fave", etc., nulla hanno a che vedere con Dio. Altrettanto dicasi per "baciare l'anello", o la mano, o farsi baciare, nulla di tutto ciò  ha a che fare con Dio.

Il bacio dell' anello rappresenta, in forma,  la sottomissione a una gerarchia.  Essendo il pitagorismo non gerarchico, nessun anello si avrà a baciare, eccetto quello della donna del proprio cuore.

 

UOMO  2.

 

Libertà, per i pitagorici significa anche "rispetto per la totalità della emanazione".

 Il Dio del pitagorismo è libero e funzionale a una mente libera.

 Rispetto alle religioni, il filosofo pitagorico sa che la preghiera è facoltativa e individuale, certo non da proibire altrui; per cui non rifiuterà mai di entrare in una chiesa, o in una moschea, o in un tempio purchessia.

La "forma" di avvicinamento a Dio che ogni religione manifesta: (es, il mangiare il pane, o l'inchinarsi), possono essere accettate senza alcuna forma di obbligazione.

"Forme" che non presuppongono l'avvicinamento volontario a Dio (come appunto il baciamano o il digiuno, o la scelta del cibo), nulla hanno a che vedere con il discorso teologico.

L'emanazione (ovvero l’ unità della materia) rende tutto il genere umano figlio di Dio in ugual modo, sia che ciò sia considerato in senso spirituale che materiale.

Pertanto la teologia orfico - pitagorica non divide gli uomini in buoni e cattivi (rispetto a Dio), ma soltanto rispetto alla legge del mondo nel particolare momento di vita che ognuno sta attraversando.

  Gli usi pitagorici del sodalizio, che oggi si ricordano, non erano sacralizzati. Erano regole di convivenza interna, più o meno razionali.  Ne consegue che ognuno può darsi regole per sè, ma dovrebbe non poterle imporre; sia pure ad un piccolo gruppo.

Possono accettarsi gli ordini dietetici di un medico, quando se ne riconoscano i benefici. Però, nulla vi sarà di sacro in questo.

 

UOMO 3.

 

Tutta l'emanazione è potenzialmente calcolabile, e nei pitagorici ciò è espresso nella sacralità della decade (0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9) o della Tetractys (1+2+3+4 = 10), simbolismi concreti di numeri fondamentali, dalla combinazione dei quali si può calcolare ogni cosa.

Naturalmente, nello sviluppo dei tempi storici e nella varietà delle menti.

Comunque, la sacralità in sè non riguarda il numero, ma la totalità della emanazione. Il numero rimane un simbolo, uno strumento conoscitivo.

 

UOMO  4.

 

Nella logica della emanazione (e quindi del materiale proveniente da un' unica fonte di potenza – che sia definita Dio unico, o meno -), tutti gli esseri umani, indistintamente da razze e religioni, (o non religioni) sono giustificati, anche se non si può pretendere, forse, fra loro, "amore" (sentimento astratto, quando imposto). Si può pretendere, però, "comprensione" reciproca, e quindi almeno la ricusazione dell'odio, e quindi della guerra.

Non si può, però, eliminare la guerra, se non per accordo globale.

In ogni modo, il giudizio "sul mondo d' oggi" deve tener conto della diversità storica e tradizionale accumulata in secoli, se non millenni, da usanze e cognizioni morali diverse imposte spesso con la violenza, camuffata da civiltà, e bontà infinita. Sarà perciò utile, fra le etnie e religioni del mondo, procedere lentamente al raggiungimento di una morale accettata liberamente in comune.

 

UOMO  (METAFISICA  1.)

 

L'umanità è legata a numerosi problemi metafisici, esistenti, sebbene non risolvibili scientificamente. Uno di essi è che nessuno si comanda alla nascita e che si può nascere bianchi, neri, rossi o gialli, maschi o femmine, o senza un modello prescelto di religione, o di filosofia, o di visione del mondo. Senza merito e senza colpa di già in partenza.

Si può nascere da una famiglia colta o da una ignorante, da una coppia di alcolizzati, o di probi, da individui ignavi, o molto attivi, o come ci capita. Si può nascere già drogati, o in perfetta salute, già potenziali campioni del mondo o potenzialmente predestinati al carcere.

Il cosiddetto "imprinting educativo", ed anche i geni, decideranno del nostro carattere profondo e spesso del nostro destino. "Destino" inteso non come parola metafisica astratta, ma come nostra probabile collocazione futura nel teatro della vita,

 Una giustificazione comunque, c'è, ma solo secondo il sistema orfico di trasmigrazione.

Per cui  il problema della responsabilità delle azioni umane dovrebbe essere risolto sulla Terra, non rimandato nel Cielo ove una persona, magari vissuta in ambiente moderno e liberale, potrebbe pensare di potersi trovare ad affrontare un processo primitivo, con un Dio giudice, meno attuale di Nabucodonosor, che in realtà, avendoci fatti nascere al di fuori della nostra volontà, dovrebbe sentirsi  il primo responsabile di noi.

Per conseguenza logica sia l'inferno che il paradiso, fine a sè stessi, dovrebbero essere considerati ingiusti e contraddittori.

In questo senso l’ Orfismo inteso come religione, può considerarsi diverso dal pitagorismo inteso come filosofia.

Il pitagorismo accetta però dall’ orfismo la teoria della trasmigrazione delle anime; la considera, in più, fondamentale (ancorché metafisica). Di conseguenza, giustizia vorrebbe che i peccati commessi da ognuno, per quanto gravi, fossero scontati sulla Terra da persone poi indotte a prenderne coscienza. Perchè ogni sofferenza per colpa dovrebb' essere  sopportata e capita  da colui che la vive, compresi la inevitabile sofferenza innocente ed il dolore per malattie.

Tutto ciò, per essere realizzabile, dovrebbe richiedere, però, più di una vita, ed alla fine Dio dovrebbe venire a noi come padre giustificatore di tutti, non come giudice.

Questo discorso, fatto ora tutto al condizionale, per i pitagorici antichi rappresentava un problema di fede.

Rapportando il problema ai tempi nostri, non è tuttavia errato che oggi una teologia parli al condizionale quando onestamente ricerchi Dio secondo scienza.

Se la si rapporta poi al fine ultimo, la vita può essere paragonata, senza offendere la nostra capacità di limitato libero arbitrio, anche a un teatro dell'arte.

Un solo comandamento sembra lecito: Nessun essere umano dovrebbe potersi rendere proprietario di un altro essere umano, essendo tutti ugualmente partecipi della emanazione.  Ogni società dovrebbe rendere l'individuo libero di partecipare alla perpetua costruzione della propria legge e su  essa fondare la morale civile.

La morale comune, nel momento in cui viene pensata, è un misterioso indotto della mente profonda (tutti vogliamo, per natura, giustizia, verità, equità…) propria di  tutti gli uomini del mondo, a qualsiasi continente essi appartengano.

Ciò non si realizza perchè il mondo è contaminato da un ideologismo astratto (o da un praticismo contraddittorio) che cerca soltanto il bene del limitato”.

Il superamento del valore del "limitato" è molto difficile da realizzarsi, nonostante esso, storicamente, abbia sempre procurato grandi dolori ai popoli.

Scopo della vita non è soltanto quello di ottenere, per ognuno.  "il bene per sè", sia in ricchezza che in salvezza, ma di realizzare un bene sociale duraturo fondato sulla maggiore mobilità possibile delle classi sociali, sul superamento della limitatezza dei gruppi… ed anche degli Stati… perchè noi stessi dovremo vivere nell'avvenire che ci stiamo preparando.

E, per quanto si sia fortunati, non si può essere completamente felici vivendo insieme a gente infelice.

Fuori da questo concetto non si trova un riscontro pratico coerente del valore dell'onestà.

Il progresso civile necessario ad ottenere ciò, è stato già raggiunto, e può essere realizzato soltanto attraverso il perfezionamento delle libertà e delle leggi esistenti.

"L'uomo delinquente" così come lo definiva il Lombroso, è colui che  portando in sè, dalla nascita, istinti primitivi, si sente per indole, proprietario del prossimo, e a ciò aggiunge un carattere propenso alla crudeltà.

Per i pitagorici il recupero umano è opera divina e può avvenire soltanto attraverso la ricostruzione di molte e nuove vite.

 

UOMO  (METAFISICA  2.)

 

La morte, metafisicamente, non può togliere l'individuo dal mondo, poichè l'oggettivazione sul cadavere di colui "che continua ad esistere pur non sentendo più niente" è un assurdo scientifico già conosciuto in epoca romana, (ne scrisse l' imperatore Marco Aurelio),  presocratica, ed egizia, e molto prima, sul quale converrebbe riflettere.

In altre parole, suona dubbio sentir dire:"muoio, non esisto più", in quanto un morto "costretto a non sentire più niente" esisterebbe ugualmente in sensazione. Questo assurdo è la contraddizione dell'ateismo.

Negando (e quindi assolutizzando) il Dio antropomorfo, si fa capire che l'unico Dio veramente esistente sia quello. E quindi lo si rafforza. Questo è un punto di debolezza dell' ateismo.

 

UOMO  (METAFISICA  3.)

 

Secondo l'antico pitagorismo la provenienza orfica giustificava la metempsicosi e il rinnovo della vita umana (e animale) attraverso l'anima intesa come il motore di un corpo formato in sé di materia inerte.

Praticamente attraverso lo sperma, portatore di geni… e anche questo è un pensiero metafisico che si accosta forse, abbastanza, alla antica religione di Diòniso, per la quale tutto il problema sessuale, in quanto riguardante le nascite, è permeato di sacralità.

Più tardi il Buddha giustificò tutto ciò predicando un lungo perfezionamento individuale portato per gradini di evoluzione spirituale (con possibili recessioni) dal mondo animale al Nirvana. Ciò, però,  è dimostrabile solo intuitivamente (per rapporti di coerenza).

Secondo una concezione scientifica moderna (ed anche antica), nello stesso modo in cui si è nati una volta si può nascere anche altre volte, sebbene non vi sia in tutto ciò un riscontro provabile se non a livello di intuizione.

Però, lo stesso desiderio umano di perfezione, quello che Kant definiva "la legge morale dentro di noi" dovrebbe poterci fornire un traguardo.

Purtroppo, non si può andare più oltre, considerando la nostra condizione di “limitati”.

 

UOMO  (METAFISICA  4.)

 

La meditazione sulla reincarnazione dovrebbe  accettare l'anima soltanto a livello di motore di un corpo altrimenti formato di sostanze inerti.

Il pitagorismo non conosce spiriti vagabondi nel Cielo. Conosce il Nous (vedi, fra poco).

Per la responsabilità universale deve valere soltanto l'intelligenza di Dio, che ci ha costruiti lentamente attraverso l'emanazione, e al quale tutti dovremo tornare. Non però per sottoporci a un giudizio.

 

UOMO  (METAFISICA  5.)

 

Secondo la esperienza pitagorica l'individuo umano può realizzarsi completamente soltanto attraverso la successione di numerose vite.

Errori, dolori, punizioni, purificazioni, compensi, gioie, si armonizzano attraverso lo scorrere di un piano divino.

La desiderabile partecipazione al Nous, ovvero il ritorno dello Spirito a Dio, può avvenire nello scorrere del tempo.

Non è prevedibile, di conseguenza, una dannazione "in carne", un inferno eterno, poiché, a rigore di logica, non è razionale  nemmeno il processo.

Tutto dovrà tornare alla fine come nella trama di un teatro, salvo possibili regressi, poiché non bisogna dimenticare che l'uomo proviene dall'animale, e quindi può salvarsi, ma, come è accaduto ad alcuni altri generi,  può condividerne anche la sorte.

Un mondo che arretrasse a livello scimmiesco sarebbe ancora un mondo logico, costruito sopra un livello primitivo della emanazione divina.

 

IN  SINTESI

 

Come già scritto nella premessa, la teologia pitagorica deve mantenersi sul piano di una filosofia, in quanto essa si accosta, spontaneamente, a tutte le religioni più importanti.

Si accosta al cristianesimo attraverso il riconoscimento dell'uomo figlio della emanazione fisica, e quindi sacralizzato da essa.

Si accosta all'islamismo attraverso il riconoscimento dell'unico Allah inteso quale Dio all' interno e al di fuori della emanazione.

Si accosta al Buddhismo attraverso la giustificazione del tempo necessario ad ogni individuo singolo (ed all' umanità) per manifestarsi completamente. Tempo molto lungo, impossibile a superarsi in una sola vita.  Salvo nell'ultima vita.

Quale filosofia, il pitagorismo non potrà mai diventare una gerarchia, a similitudine di quelle religiose, poiché in tal modo diverrebbe "un limitato" (realizzerebbe, cioé, la “sacralizzazione del limitato”) e perderebbe completamente la propria forza morale, che potrebbe mantenere soltanto con menzogne e forzature.

Anche l'ateismo, inteso quale religione al contrario dovrebbe definirsi "un limitato".

L'antica teologia pitagorica non ha mai preteso che si dovesse credere a ciò che non appare razionalmente giustificabile. Il pitagorismo da basso impero, ove Pitagora compiva miracoli, non è accettato nel nostro discorso.

 Proprio in questo consiste la differenza tra filosofia e religione.

In altre parole, si può credere in Dio (o negli dèi) senza credere a tutto, sebbene il nostro sincero desiderio che tutto poi si concluda secondo ragione esista.

La forzatura di far credere – per obbligo – con minaccia di punizioni – ciò che non si vede, e spesso e purtroppo  ciò che non è razionale, è una offesa alla intelligenza del genere umano, del quale sarà poi contraddittorio pretenderne la centralità.

Centrale rimane comunque in filosofia, o almeno nella filosofia pitagorica, la necessità di credere in Dio, in quanto da Dio (dalla sacralità della emanazione) dipartono tutte le esigenze morali che possono permetterci di comprendere il mondo in modo corretto.

 

 

NUOVA TEORIZZAZIONE DEL NOUS

 

Il problema del rapporto tra divinità e mondo è trattato dai pitagorici primi (presocratici) in maniera indiretta, ed occorre estrapolarlo per “conseguenza logica”.

La sacralizzazione della tetraktys (intuizione del valore della emanazione) presuppone (vedi lezione 3^, parte 4^) che sia l’ uomo, attraverso lo strumento del numero, a raggiungere per gradi la conoscenza del bene.

Quindi, NON un “Dio” che viene a ordinare un nostro determinato costume, bensì  una mèta alla quale dobbiamo giungere. Non un premio dato ai “buoni”, ma la costruzione di un qualcosa di totale da realizzare in proprio, una vera sfida per l’ uomo “di passaggio” fatto di materia e carne animale.

Il Nous viene dunque immaginato NON come Dio o/e emanazione, ma come l’ immagine (astratta o concreta lo si voglia) di un ipotetico luogo siderale di raccolta dei semi da cui si dipartirà la vita stessa, nella sua espressione totale.

Per cui il sistema pitagorico (filosofico occidentale) è esattamente il contrario di quello biblico (religioso medio orientale)  che predilige la sottomissione umana ad un sapere perfetto e già maturo allo iniziare dell’ universo.

Infatti, nel sistema medio orientale,  viene riconosciuto, NON Dio (che è già riconoscibile nella propria potenza),  bensì l’ uomo che lentamente acquista tutte le facoltà e carismi di Dio,  però solo all’ interno della razza umana.

Ciò, che dal pitagorismo, non viene apprezzato in quanto produce una gerarchia di sottomissione che impedirà, in concreto, proprio il corretto cammino verso  la conoscenza di Dio.

Per i pitagorici primi, Dio esiste, ma viene rappresentato NON da una persona che trasmette  una legge (sacra), ma dallo insieme della vita nella emanazione, la quale trasmette una legge, altrettanto sacra, ma NON perfetta: in “corso d’ opera”.

Per cui l’ “uomo”, non obbedisce ciecamente alla legge, ma la scopre. 

In altre parole, il Nous, dai pitagorici viene inteso indirettamente come la vera“Anima e Mente del Mondo” – nell’ attimo - e non si accosta ne’ al Demiurgo platonico, ne’ al motore immobile aristotelico, ne’ alla emanazione così come la intese Plotino (emanazione proveniente direttamente da Dio). Cioè non si accosta a un “altro da sé”.

“L’anima del mondo” pitagorica (se lo vogliamo, anassagorea), viene intesa come ente di ragione universale, proveniente dai semi (o atomi primordiali) i quali NON producono una “ragione assoluta”, bensì una ragione “in corso d’ opera” che rappresenta la vita (animale e umana) esattamente nel momento nel quale essa si svolge. Tutti noi siamo immersi nella Mente del Mondo e agiamo di conseguenza. Ogni persona ha un proprio grado di valore, e non è, ne’ più avanti, ne’ più indietro di ciò che egli è.

Per cui lo sgomento popolare: “ Dio  ha permesso che una bomba ammazzasse dieci innocenti”, (e quindi Dio non è buono, non esiste), per i pitagorici sarebbe ingiustificato, in quanto, NON Dio, ma lo “Spirito del Mondo” (Il Nous), in nostro grado di evoluzione, li avrebbe uccisi.

Anche la carestia e la disgrazia accidentale possono essere capiti meglio dallo spirito pitagorico, il quale è scientifico, e può pertanto aspirare a una migliore organizzazione del pianeta Terra.

Lo Spirito del Mondo, come noi ce lo troviamo al momento, è fallibile, e per conseguenza logica, perfettibile.

Man mano che la vita si svolge, la nostra comprensione dello esistente, muta. E questo è il vero Dio concreto nel quale ci troviamo a vivere.

Non so se la spiegazione sia stata chiara.

 

 

In ambito filosofico, l'etica, la morale e la scienza devono rimanere ben distinte.

La scienza richiede un metodo particolare di comprensione del sapere, fondato sulla ripetitività dei risultati ottenuti, anche ammettendo un progressivo miglioramento degli stessi. Il riconoscimento di una mancanza, finalizzato alla necessità di progresso, non significa scientificamente che, in precedenza, sia stato commesso un errore e che la scienza sia inaffidabile.

L'etica, in sé e per sé, non può vantare un proprio primato sulla scienza, in quanto ogni etica è un precotto confezionato da ideologie e religioni particolari.

Così, può esistere un' etica cattolica, ma anche un'etica comunista, ed anche una dei nostalgici del Führer… eccetera.

Tuttavia, la scienza, adoperata senza morale può diventare un giocattolo pericoloso che può portare – si può pensare – anche alla costituzione di un buco nero durante le sperimentazioni del  CERN sulla unità della materia.

Oppure può condurci alla ricostruzione del mostro di Frankestein.

Si può dare, pertanto, all' occorrenza, potere all'etica, di fermare la scienza.

Però, non si può dare potere all'etica di affermarsi esclusivamente come il primato di una religione o di una filosofia, o di una ideologia.

Il primato dell'etica sulla scienza, ogni volta che occorra, sarà bene sia  dato per  legge condivisa, o comunque col consenso dei cittadini a livello privato.  Ciò vale per qualsiasi problema si presenti.

La filosofia pitagorica è democratica e libera, in quanto mira al riconoscimento della sacralità della emanazione universale e all' ottenimento della pace nel mondo.

La morale pitagorica è contenuta nella sacralità della decade. Nel bene che comprende il tutto.

 

                  CONCLUSIONE                      

 

     Quanto abbiamo già scritto  ci ha portati a renderci conto di una verità nuova, conosciuta in campo fisico,  la cui conseguenza logica non è però ancora entrata nella cultura del mondo d'oggi.
      Intendo la scoperta della unità della materia, ovvero di quel fenomeno fisico primordiale – già abbondantemente trattato – che può condurre    entrambe le concezioni, materialista e spirituale, ad incontrarsi intorno alla constatazione che tutto ciò che esiste  nel mondo proviene dalla medesima origine di connessione subatomica.
 
     Ciò conduce la filosofia pitagorica ad accettare il concetto del Dio unitario inteso come la immensa potenza universale che accoglie in sè tutto il prodotto della natura.
 

Una immensa potenza che non si rivela, ma che tuttavia, razionalmente, soltanto l’ uomo potrà poter raggiungere.
     Che poi il cercatore  personalmente creda – o non creda – nella esistenza di una mente universale alla quale si può arrivare per logica razionale, sebbene non ancora per scienza sperimentale ripetibile, ciò non impedisce a entrambe le visioni del mondo – materialista e spiritualista – di giungere alla stessa conclusione etica, in quanto il genere umano è concepito unitariamente. 
In tal modo il concetto della esistenza di Dio è comunque salvato ai fini morali, mentre non lo sarebbe  se si differenziasse a seconda delle credenze imposte, dei costumi, dei luoghi, delle tribù e dei popoli. Oppure inseguendo ideologie filosofiche o politiche limitate.
    In questo modo si può concludere che la teologia pitagorica sia molto adatta a rappresentare un mondo volontariamente preparato ad unificarsi in un futuro quanto più possibilmente prossimo.
 

Dio salvi l'umanità.

 

Enrico Orlandini,  Osimo.

 

 

 

FINE DELLA QUARTA LEZIONE.

 

Lezione  Quinta

 

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