LUCIO  ANNEO  SENECA

Lettere morali a Lucilio

Libro xv -   95 

Luca Giordano. Morte di Seneca. 1685 

 

Copiato da "I Classici del Pensiero" Seneca. Mondadori, Milano, 1^ Ed. 2008. pp. 937 - 954.

"Lettere morali a Lucilio", a cura di Fernando Solinas.

 

 Abbiamo copiato una parte degli scritti di Lucio A. Seneca dedicati a Lucilio, senza intervenire, nè su eventuali giudizi personali su lui, ne' sul particolare momento storico, sui quali pensiamo il lettore abbia o possa farsi  una sua conoscenza personale. Riteniamo si debbano considerare, sia la citazione che il nostro successivo commento, temi di filosofia morale giustificati dalla natura filosofica dello stesso Seneca, allievo di Sozione di Alessandria neo pitagorico e di Attalo, filosofo stoico.  Tali  elementi soltanto emergeranno da questa lettura.

Il nostro commento riguarderà comunque i tempi attuali, moralmente non meno contradditori che nella Roma neroniana di allora.

 

SUI  PRECETTI E  I  PRINCIPII  FONDAMENTALI

 

Seneca saluta il suo Lucilio.

1. Mi chiedi di anticipare la trattazione di argomenti che si dovevano differire, come avevo detto al momento opportuno, per scritto, se questa parte della filosofia chiamata dai Greci parenetica e da noi precettiva sia sufficiente a conseguire una compiuta saggezza.

So che accetterai di buon grado la mia decisione, se opporrò un rifiuto. A maggior ragione porto avanti il mio impegno e non consento che cada nel vuoto il proverbio:

"Non chiedere più tardi quel che prima non avresti voluto ottenere".

 

2. Talvolta, infatti, domandiamo con appassionata insistenza ciò che rifiuteremmo, se qualcuno ce lo offrisse. Tale atteggiamento è indice di leggerezza, o di servilismo, che deve essere punito con la prontezza del nostro impegno.

Vogliamo suscitare l' impressione di desiderare molte cose, che tuttavia poi rifiuteremmo. Un conferenziere si presentò al pubblico portando con sè un enorme lavoro di ricerca storica scritto a caratteri minutissimi su rotoli strettamente avvolti, e dopo averne letto un gran pezzo: "Smetterò" disse "Se lo volete". "Continua, continua a leggerlo" gridano quanti vorrebbero che stesse zitto. Spesso vogliamo una cosa mentre ne desideriamo un' altra e non diciamo la verità neppure agli dèi, ma gli dèi, o non ci ascoltano, o hanno pietà di noi.

 

 

3. Quanto a me, ignorando la compassione, farò di testa mia e ti propinerò una lettera colossale e se la leggerai malvolentieri dovrai dire a te stesso "me la sono tirata addosso" e mettiti nel numero di coloro che sono tormentati da una moglie che hanno sposato a forza di intrighi, o di quelli che vengono assillati da ricchezze acquisite con rivoli di sudore, o di coloro che sono messi in croce da cariche onorifiche ottenute con non pochi sacrifici e fatica. Insomma, còllocati fra i veri responsabili delle proprie sventure.

 

4.  Ma lasciato da parte ogni preambolo, tanto per affrontare concretamente il problema: "Una vita felice" si afferma: "consta di azioni rette, alle azioni rette conducono i precetti; dunque per una vita felice bastano i precetti".

Non sempre alle azioni rette conducono i precetti, ma solo quando la nostra indole li asseconda; talvolta si impartiscono inutilmente se l' animo è occupato da opinioni distorte.

 

5.  E poi, anche se operano rettamente, gli uomini non se ne rendono conto. Nessuno infatti, se non ha ricevuto una formazione di base e se non è dotato di una personalità equilibrata, in linea perfetta con la ragione, può sviluppare tutti i requisiti del suo carattere in modo da sapere quando e in quale misura, e con chi e con quale metodo e per quale motivo convenga agire.

Non è in grado di tentare con tutto il cuore azioni oneste, e neppure in modo continuato e di buona voglia, ma volgerà lo sguardo indietro, esiterà.

 

6.  "Se l' azione onesta" dirà qualcuno "ha come punto di partenza i precetti, questi sono più che sufficienti per conseguire una vita felice. Orbene, se la prima parte di questa affermazione è vera, lo è anche la seconda".

A codesto ragionamento risponderemo che le azioni oneste sono anche frutto di precetti, non però esclusivamente di precetti.

 

7.  "Se le arti" ecco la replica "si appagano di precetti, anche la saggezza ne sarà appagata" perchè anche questa è un' arte, l' arte della vita. Eppure per fare un nocchiere ci vuole un istruttore: "Manovra così il timone, abbassa le vele in questo modo, sfrutta il vento favorevole, resisti così a quello contrario, avvantaggiati in quest' altra manovra della brezza incerta e senza direzione precisa".

I precetti formano anche chi è dedito ad altre attività, dunque produrranno gli stessi effetti anche a chi è impegnato nell' arte del vivere.

 

 

8.  Tutte queste arti hanno per oggetto gli strumenti della vita, non la vita nella sua totalità, pertanto incontrano molti ostacoli e impedimenti esterni, come la speranza, il desiderio smodato, il timore. ama nulla può vietare a quest' arte, che si dichiara arte (1) della vita, di svolgere la sua azione, perchè essa si sbarazza di ogni impedimento e travolge gli ostacoli.

Vuoi saper quanto la condizione delle altre arti differisca da questa ? In quelle è più scusabile un errore commesso volontariamente, che non avvenuto per caso, in questa la colpa più grande è operare il male di propria volontà.

 

9.  Ecco ciò che intendo dire: un letterato non arrossirà mai per un solecismo, se lo ha commesso consapevolmente, arrossirà se non se ne è accorto; un medico, se non capisce che un ammalato vien meno pecca nei confronti della sua arte più che se fingesse di non capire.

Ma in quest' arte del vivere è più vergognosa la colpa di chi erra deliberatamente. Ora aggiungi che anche le arti, per la maggior parte, anzi quelle più liberali, fanno riferimento ai loro assiomi, non solo ai precetti, come ad esempio la medicina. Si distinguono pertanto una scuola di Ippocrate, un' altra di Asclepio, un' altra ancora di Temisone.

 

10.  Inoltre, non esiste arte contemplativa che non abbia i suoi assiomi: i greci li chiamano dogmi , noi possiamo denominarli decreta, o scita, o placita.

Li troverai sia nella geometria, sia nella astronomia . La filosofia però è speculativa e attiva insieme: contempla e agisce. Ma sbagli se pensi che essa ti prospetti soltanto un sostegno per attività che si svolgono sulla terra: le sue aspirazioni sono più alte. "Scruto" dice la filosofia "tutto l' universo, e non mi mantengo nei limiti di questa dimora di mortali accontentandomi di elargirvi consigli o di dissuadervi: sento il richiamo di cose grandi e poste al di sopra di voi.

 

11.  Comincerò infatti con l' esporti ordinatamente il sistema supremo su cui si fondano il cielo e gli dèi e ti rivelerò gli elementi primi delle cose, da quali principi la natura dia vita a tutti i corpi, li accresca e li nutra, e in quali elementi li dissolva una volta che siano estinti (2), come afferma Lucrezio.

 

 

Dunque ne consegue che, essendo speculativa, la filosofia ha i suoi propri assiomi.

 

12.  Che cosa c' è da dire se nessun altro compirà in modo opportuno il proprio dovere, tranne colui che avrà ricevuto una dottrina razionale per cui in ogni circostanza avrà la possibilità di assolvere l' intera gamma dei suoi doveri ? E non potrà attenersi a questa linea chi ha ricevuto precetti occasionali e non di carattere generale.

Sono essenzialmente deboli e, per così dire, privi di radice, i precetti che vengono dati su temi particolari. Sono dottrinali quelli che ci fortificano, che tutelano la nostra assenza di preoccupazioni e la nostra tranquillità, che abbracciano a un tempo l' intero arco della vita e la natura nella sua totalità.

La differenza che sussiste fra gli assiomi della filosofia e i precetti è la medesima che intercorre tra gli elementi e le singole parti di un organismo: queste dipendono dai primi, che sono causa efficiente delle singole parti e del tutto.

 

13.  "L' antica saggezza" si dice "insegna soltanto quel che si deve fare e quel che bisogna evitare, e quindi gli uomini erano di gran lunga migliori. Venuti alla ribalta i dottori, non c'è più traccia di persone dabbene. Difatti quella virtù semplice e senza veli si è trasformata in una sorta di conoscenza oscura e da specialisti, ci insegnano a disputare, non a vivere.

 

14.  Come voi dite, quell' antica saggezza fu, soprattutto ai suoi inizi, qualcosa di rozzo , non meno delle altre arti che, progredendo, divennero sempre più raffinate.

Ma non si avvertiva ancora la necessità di rimedi studiati con cura.

La tendenza al male non si era ancora sviluppata in misura così rilevante, ne' si era ampiamente diffusa: a vizi semplici si potevano opporre rimedi semplici. Ora sono necessarie difese tanto più complesse quanto più violenti sono i mali da cui siamo aggrediti.

 

15.  Un tempo la medicina era una scienza di poche erbe con cui si poteva arrestare un' emorragia, rimarginare ferite, poi, a poco a poco essa ha raggiunto questa varietà così complessa di applicazioni. ne' stupisce che dovesse assolvere impegni meno gravosi, essendo ancora i corpi gagliardi e di robusta costituzione.

E il cibo si preparava con facilità, non ancora viziato dall' arte culinaria e dal piacere dei sensi. Poi, quando si cominciò a cercare il cibo non per placare, ma per esasperare l' appetito, e si inventarono mille condimenti per stimolare l' ingordigia, ciò che era alimento per stomaci che ne avevano effettivamente bisogno è diventato un pesante fardello per stomaci pieni.

 

 

16.  Di qui il pallore e tremiti di nervi impregnati di vino e un aspetto macilento, più commiserevole per le indigestioni che non per la fame. Di qui i piedi malfermi di chi a malapena si regge e un atteggiamento sempre titubante quale si riscontra appunto nell' ubriachezza; di qui quell' umore che si espande sotto tutta la pelle e il gonfiore del ventre che malamente si abitua a contenere più di quanto poteva; di qui il travaso di una bile torbida e il degradare della  pigmentazione del volto e il dissolversi di organi putrescenti e dita rinsecchite e nodose per le articolazioni che si irrigidiscono, e torpore di nervi inerti e privi di sensibilità o, viceversa, tremore di nervi in continua agitazione.

 

17.  Che dire dei capogiri ? Dovrei parlare delle fitte agli occhi e alle orecchie e delle lancinanti emicranie che mettono a fuoco il cervello e delle ulcere interne di tutti i nostri organi escretori ? Che dire poi delle innumerevoli forme di febbre, che ora infieriscono con un attacco violento, ora serpeggiano per l' organismo alla stregua di una intossicazione leggera, ora sopraggiungono provocando brividi e frequenti convulsioni ?

 

18.  Perchè dovrei ricordare un numero imprecisato di malattie, supplizi nascosti di una vita sregolata ? Da questi mali erano immuni quegli uomini non ancora infiacchiti da sottili piaceri, uomini che sapevano comandare a sè stessi e gestirsi in maniera opportuna.

Tempravano i loro corpi con il lavoro e la fatica autentica e si stancavano correndo o cacciando o dissodando la terra; poi li attendeva un cibo che poteva piacere solo a gente di robusto appetito. Pertanto non c' era bisogno di un così grande apparato di medici ne' di tanti strumenti chirurgici e vasetti.

Le indisposizioni erano semplici perchè semplici erano le cause che le producevano: molte portate di cibo hanno provocato molte malattie.

 

19.  Vedi quante sostanze destinate a passare per una sola gola ha mescolato la loro smodata raffinatezza, furia devastatrice di terre e di mare. E' dunque inevitabile che vivande così diverse siano incompatibili le una con le altre e, una volta ingerite, vengano malamente assimilate agendo le une in contrasto con le altre.

E non c'è nulla di strano se da cibi che non si integrano a vicenda derivino malattie incostanti nel loro decorso e varie nella loro forma, e se sostanze provenienti da componenti eterogenei rifluiscano quando sono ammassate forzosamente nell' organismo. Quindi siamo colpiti da malattie tanto diverse quanto eterogenei sono i cibi che assumiamo per vivere.

 

20.  Il più grande dei medici, il fondatore della medicina (3) affermò che le donne non perdono i capelli e non soffrono di dolori ai piedi, eppure oggi esse vedono sparire i loro capelli e si ammalano di gotta. Questo non significa che la natura femminile sia cambiata, ma soltanto che è stata sopraffatta. Infatti, avendo uguagliato gli uomini nei loro eccessi, le donne li hanno eguagliati per quanto riguarda i disturbi specificamente maschili.

 

21.  Non rimangono sveglie meno di loro, bevono nella stessa misura e sfidano gli uomini nel consumo di olio per la ginnastica e nel tracannare vino puro; al pari degli uomini rigettano quanto hanno ingerito a dispetto dei loro visceri, e rimettono tutto il vino. Non diversamente dagli uomini rosicchiano grumi di neve come calmante dei bruciori di stomaco. Neppure per sensualità la cedono ai maschi: nate per assolvere un ruolo preciso - che gli dèi e le dèe le portino a perdizione ! - hanno escogitato un genere così pervertito di lussuria da penetrare i loro compagni.

Perchè allora stupirsi che il più grande dei medici e il più profondo conoscitore della natura subisca una smentita dal momento che molte donne sono colpite dalla pellagra e dalla calvizie ? Hanno liquidato con i vizi i vantaggi inerenti al loro sesso, ed essendosi spogliate della femminilità eccole condannate alle malattie tipiche dei maschi.

 

22.  I medici di un tempo non sapevano regolare la dieta a dosi frequenti ne' sostenere con il vino il battito indebolito del polso, non sapevano praticare salassi e alleviare una malattia cronica con bagni e sudorazioni, non sapevano richiamare alle estremità, mediante fasciature applicate alle gambe e alle braccia, la forza del male rintanata nel centro dell' organismo.

Non era necessario guardarsi attorno per cercare molti rimedi di vario genere, dato che erano pochissimi i fattori di rischio.

 

 

23.  Ora invece, fino a che punto hanno progredito le malattie ! Questo è lo scotto che paghiamo ai piaceri concupiti oltre misura e senza ritegno morale .

Non devi stupirti del numero incalcolabile di malattie: fa' la conta dei cuochi. E' venuta meno ogni applicazione intellettuale e chi professa arti liberali se ne sta lì a presidio di piccole aule deserte con una scarsissima affluenza di uditori.

Nelle scuole di retori e filosofi domina la solitudine; ma come sono frequentate le cucine, quanta gioventù si accalca intorno ai fornelli degli scialacquatori.

 

24.  Sorvolo su quelle brigate di sventurati ragazzi cui sono riservati, dopo i festini, gli oltraggi della camera da letto. Tralascio le schiere di amasi distinti per etnie e colore della pelle, badando che tutti ce l' abbiano ugualmente liscia, che la lunghezza della prima barbetta sul mento sia la medesima per tutti, come la stessa dev' essere dei capelli, perchè chi abbia la chioma diritta non sia confuso con quelli dalla testa ricciuta.

Tralascio la folla dei pasticceri, quella degli inservienti che a un segnale convenuto gareggiano per portare in tavola la cena.

 

25.  Oh buoni dèi, quanta gente si mette in movimento per un solo ventre ! Non pensi che quei funghi - veleno carico di piacere - non operino in segreto anche se i loro effetti non sono stati immediati ? Ma come ! Non credi che quei grumi di neve d' estate non induriscano il fegato ? Ma come ! Quelle ostriche, polpa molliccia ingrassata dal fango, non pensi che provochino nel tuo organismo una sorta di pesantezza limacciosa ? Ma come ! Quella salsa di pesce, una specialità dei nostri alleati delle Province, costoso marciume di pesci di infima qualità - (4) non credi che ti produca una infiammazione viscerale, con la sua pastetta salata andata a male ?

Ma come ! Quelle pietanze putride che per poco non passano direttamente dal vivo fuoco alla bocca, pensi che non provochino alcuna lesione estinguendosi nelle viscere stesse ?

Quanto repellenti e pestilenziali sono quei rutti ! Che disgusto di sè stessi provocano quelli che smaltiscono i fumi di una sbornia ! Sappi che nel ventre i cibi ingeriti vanno in putrefazione, non sono assimilati.

 

 

26.  Mi ricordo che una volta si parlava molto di un piatto famoso, in cui il gestore di una bettola aveva riunito, correndo il rischio di fallire, tutto ciò che suole trattenere a tavola i buongustai più raffinati: conchiglie di Venere, spondili e ostriche tagliate tutt' attorno fino al punto cui sono commestibili. Strati di ricci e di triglie servite senza lische coprivano l'intera portata.

 

27.  Ormai c'è quasi da vergognarsi a mangiare un cibo per volta: si fa un condensato di vari sapori. Nel preparare la cena succede ciò che dovrebbe succedere nel tubo digerente: mi aspetto che mi si mettano in tavola cibi già masticati. E quanto poco ci manca che il cuoco distacchi i gusci e gli ossi e sostituisca il lavoro dei denti ?  E' una bella fatica dare sfogo alla gola mangiando un cibo per volta: si imbandiscono tutti i  cibi in una sola volta e preparati in modo da esprimere un unico sapore.

Perchè dovrei tendere la mano per afferrare una sola pietanza ? Se ne presentino parecchie contemporaneamente, si adunino e si associno strettamente le leccornie di molte portate.

 

28.   Quanti dicono che codeste raffinatezze si cercano per vanto e vanagloria, sappiano fin d' ora che non si tratta di una esibizione, ma di un omaggio reso alla consapevolezza di essere veri intenditori. Abbiano uguale rango i cibi che di solito vengono serviti distintamente, siano impregnati di un solo intingolo; non c'è differenza: ostriche, ricci, spondili, triglie, si imbandiscano  alla rinfusa e cucinati tutti insieme. Non sarebbe più caotico il cibo di quelli che danno di stomaco.

 

29.  Corrispondentemente alla complicazione di queste vivande, si sviluppano forme patologiche caratterizzate da una sintomatologia particolare, eterogenee, multiformi, contro le quali la medicina ha cominciato ad agguerrirsi ricorrendo a svariati metodi terapeutici e di osservazione clinica.

Sostengo il medesimo concetto riferendomi alla filosofia. Un tempo, quando i traviamenti erano meno gravi e rimediabili con una terapia più blanda, la filosofia era più semplice, ma ora, per affrontare un così grande sconvolgimento morale bisogna tentare ogni possibile rimedio, e voglia il cielo che questa corruzione invadente possa essere sconfitta !

 

30.  Sia nei rapporti privati, sia nella vita sociale, abbiamo perduto la testa. Reprimiamo gli omicidi e le singole stragi, ma che dire del vanto scellerato connesso alle guerre e allo sterminio di vari gruppi etnici ? L' avidità, la crudeltà non conoscono misura. E finchè tali delitti sono perpetrati di nascosto e da singole persone sono meno dannosi e meno sconvolgenti, ma ci sono atrocità che si consumano a forza di senatoconsulti e di decreti del popolo.

 

31.  Quegli atti che commessi di nascosto si sconterebbero con la morte, vengono esaltati perchè li hanno decisi uomini che indossano il mantello di generale.

Gli uomini - per natura la più mite di tutte le specie - non si vergognano di gioire dei reciproci spargimenti di sangue, di far guerre e di lasciarne in eredità i figli, mentre anche le bestie più umili, e le fiere stanno in pace fra loro.

 

32.  Per affrontare una frenesia così violenta e largamente diffusa, la filosofia è divenuta più attiva, acquisendo forze in proporzione a quelle, accresciute dei mali contro cui si armava.

Un tempo non ci voleva molto per riprendere uomini che indulgevano al vino puro e cercavano un vitto più raffinato, non occorreva una grande determinazione per ricondurre gli uomini a quella frugalità a cui si erano un poco allontanati.

 

33.  "Ora ci vogliono mani svelte, ora è necessario il magistero dell' arte (5).

Da tutto si cerca di ricavare piacere, nessun vizio rimane entro i propri limiti, il desiderio smodato del lusso precipita nell' ingordigia. L' oblio dell' onestà è un atteggiamento comune: non si prova vergogna di nulla, è soltanto questione di prezzo.

L' uomo, una entità sacra per l' uomo, viene ormai ucciso per gioco e per passatempo, e se prima era un sacrilegio ammaestrare un uomo a vibrare e a ricevere colpi, ora lo si presenta nudo e inerme davanti al pubblico, ed è uno spettacolo appagante quello che ci è offerto da un uomo con la sua morte.

 

 

34.  Orbene, in questa perversità di costumi si avverte la mancanza di qualcosa di più incisivo del solito, qualcosa che porti allo sbaraglio codesti mali inveterati: è necessario ricorrere ai principii fondamentali per estirpare i pregiudizi di cui siamo persuasi. I precetti, le consolazioni, le esortazioni, potranno essere efficaci se li avremo aggiunti agli assiomi, mentre di per sè non hanno alcun effetto.

 

35.  Se vogliamo tenere gli uomini vincolati a noi e strapparli ai mali di cui già  sono dominati, che essi imparino che cosa è il male, che cosa è il bene, si rendano conto che tutto muta nome, tranne la virtù, diventando ora male, ora bene.

Come il primo vincolo della vita militare consiste nella fedeltà indissolubile, nell' amore per la bandiera, nell' orrore che la diserzione ispira, avvertita come un sacrilegio, e poi è facile esigere tutto il resto e affidarlo a uomini che hanno prestato giuramento, così in quelli che tu vorresti condurre con guida ininterrotta a una vita autenticamente felice devono essere stabiliti i primi fondamenti e inculcata la virtù.

A questa si mantengano attaccati, quasi per una sorta di superstizione; la amino, siano disposti a vivere con essa, rifiutino la vita se la virtù è assente.

 

36.  E con tutto questo ? Non è forse vero che alcuni, pur senza aver ricevuto una educazione improntata a sottili principii, sono divenuti uomini di grande equilibrio morale e hanno fatto grandi progressi attenendosi soltanto a nudi precetti ?  Lo ammetto, ma si trattava di caratteri particolarmente dotati e capaci di cogliere al volo i principii salutari. Infatti, come gli dèi immortali non hanno appreso alcuna virtù, essendo provvisti di tutto fin dall' origine, e un elemento costitutivo della loro natura consiste nell' essere buoni, così alcuni uomini, cui è toccata in sorte un' indole eccellente, giungono senza un lungo tirocinio ad assimilare ciò che ordinariamente loro si insegna, e appena sentono parlare di nobili ideali, subito li abbracciano.

Ecco il punto di partenza di queste nature capaci di afferrare prontamente la virtù o di generarla da sè stessi.  Ma per quanto riguarda quelle indoli fiacche e ottuse o possedute da cattive abitudini, ci vuole non poco tempo prima che la ruggine dei loro animi sia limata via.

 

37.   Del resto, come quegli uomini che sono inclini al bene vengono portati più rapidamente ai massimi livelli morali, anche questi altri, più deboli, troveranno un giovamento e saranno liberati con mano sicura dai pregiudizi a opera di chi avrà loro insegnato gli assiomi della filosofia.

Quanto tali principii fondamentali sono necessari puoi constatarlo così: albergano fra noi certe tendenze che ci rendono pigri verso alcune cose, temerari verso altre, ne' è possibile esprimere questa audacia ne' stimolare quella ignavia se non si eliminano le loro cause, cioè la falsa ammirazione e la falsa paura.

Finchè ci dominano tali passioni si ha un bel dire: "Questo è il tuo dovere verso tuo padre, quest' altro verso i figli, quest' altro ancora verso gli amici, questo infine verso i tuoi ospiti"; la cupidigia ci tirerà indietro, quali che siano i nostri sforzi.  Saprà che è un dovere combattere per la patria, ebbene la paura lo dissuaderà; saprà che per gli amici bisogna versare fin l' ultima goccia di sudore, ma ne sarà impedito dal suo molle stile di vita; saprà che la peggiore specie di offesa nei confronti della propria moglie è quella di avere un' amante, ma la sensualità lo spingerà nella direzione opposta.

 

38.  A nulla dunque servirà dare precetti se prima non avrai rimosso ciò che li ostacola, ne' sarà più utile aver posto le armi assai bene in vista e immediatamente vicine a un uomo che non abbia le mani libere per usarle. Affinchè possa accostarsi ai precetti che gli impartiamo, l' animo deve essere sciolto da ogni legame.

 

39.  Supponiamo che una persona agisca in linea con i propri doveri, non agirà però in modo assiduo, non agirà in maniera uniforme in quanto ignorerà il motivo di tale comportamento. Alcune delle sue azioni risulteranno rette o per caso, o per abitudine, ma egli non disporrà di una norma di riferimento in base alla quale possa convincersi della loro rettitudine.

Non darà garanzia di essere virtuoso per sempre, chi lo è per caso.

 

40.  In secondo luogo i precetti ti metteranno forse in grado di fare ciò che è conforme al dovere, non ti garantiranno però il modo appropriato; pertanto, se non ti assicurano questa opportunità i precetti non conducono alla virtù.

Una volta ben consigliato, un uomo agirà come si conviene, lo ammetto, ma questo non basta, perchè il merito non consiste nell' azione di per sè stessa, ma nel modo di compierla.

 

41.  Che cosa c'è di più scandaloso di una cena di scialacquatori, di un festino che si mangia gli introiti di un cavaliere ? Che cosa è altrettanto degno della  riprovazione del censore quanto il comportamento di chi concede a sè stesso e al proprio genio (6) come dicono codesti crapuloni, una spesa di questo genere ? Eppure ad uomini frugalissimi le cene per inaugurare l' assunzione di una carica non costa persino un milione di sesterzi ?

Se si fa questo per il piacere della gola è una vergogna, se invece ciò avviene in omaggio a una carica non c' è nulla da rimproverarsi, infatti non si tratta di un lusso, ma di spese di rappresentanza.

 

 

42.  Una triglia di enormi dimensioni (perchè non dovrei dichiarare anche il suo peso e stuzzicare la gola di qualcuno ? Pesava, a quanto si diceva, quattro libbre e mezzo) era stata offerta a Tiberio Cesare, il quale, dopo averla ordinato di portarla al mercato e di metterla in vendita, disse: "Amici miei, sarebbe per me una delusione totale se questa triglia non la conoscessero Apicio e Publio Ottavio"

Fu una ipotesi che andò ben oltre le sue aspettative: quei due giocarono al rialzo; Ottavio ebbe la meglio e conseguì fra i suoi intimi una gloria smisurata per avere comprato a cinquemila sesterzi il pesce che era stato messo in vendita da Cesare e che neppure Apicio era riuscito a comperare (7).

Sborsare una somma così grande fu qualcosa di scandaloso per Ottavio, ma non ebbe nulla da vergognarsi chi l' aveva comperata per inviarla a Tiberio, anche se non mancherei di rimproverarlo. Non potè fare a meno di ammirare una cosa di cui Cesare, a suo parere, era degno.

 

43.  Un tale assiste un amico ammalato, merita la nostra lode. Lo fa in vista di una eredità: è un avvoltoio in attesa del cadavere. Azioni identiche possono essere o turpi o nobili: conta il motivo e il modo con cui sono compiute. Tutto poi sarà fatto in maniera onorevole se ci saremo messi al seguito di ciò che dà onore, e se nelle cose umane avremo ravvisato come unico bene ciò che da esso promana; gli altri sono beni effimeri.

 

44.  E' dunque indispensabile imprimere nell' animo una persuasione che stia in rapporto con la vita intera: ecco ciò che io definisco principio fondamentale. Quale sarà codesta  persuasione, tali saranno la azioni,  tali i i pensieri e tale sarà la vita.

Dare consigli in modo frammentario non è sufficiente per chi intende sistemare in modo complessivo la propria esistenza.

 

45.  Marco Bruto, nel libro che intitolò "Perì Kathekonos" dà molti precetti ai genitori, ai figli, ai fratelli; nessuno però li metterà in pratica come si deve se non avrà un punto ideale di riferimento.

E' importante che noi poniamo come meta finale davanti ai nostri occhi il bene supremo verso il quale ci sforziamo di tendere; un fine verso il quale dovremmo indirizzare ogni nostra azione, ogni nostra parola, così come i naviganti devono dirigere la propria rotta orientandosi su una stella.

 

46.  La vita senza uno scopo è un vagabondaggio: se l'uomo deve comunque prefiggersi una meta, ecco la necessità dei principii fondamentali.

Ammetterai, come credo, che non c'è niente di più squallido di un uomo dubbioso e insicuro, di un uomo che ritrae pavidamente il piede. Questo è ciò che ci accadrà in ogni caso se non eliminiamo tutti gli ostacoli che bloccano il nostro animo e lo frenano e gli impediscono di progredire e di impegnarsi con tutte le sue energie.

 

47.   Come dobbiamo adorare gli dèi è un tema ordinario della precettistica. Proibiamo pure agli dèi di accendere lumi nel giorno del sabbath (8) perchè ne' gli dèi hanno bisogno di lumi ne' ai mortali fa piacere la fuliggine. Vietiamo pure la pratica dei saluti mattutini e di fare ressa alle porte dei templi; è l' ambizione umana a essere presa da queste formalità. Adorare la divinità significa conoscerla.

Proibiamo pure che si portino a Giove pezze di tela e strigili, e che si regga uno specchio davanti a Giunone. La divinità non cerca servitori. Perchè dovrebbe  essere altrimenti ?  E' la divinità che, presente e disponibile in ogni luogo e per tutti, è al servizio del genere umano.

 

48.  Apprenda fin che si vuole la giusta misura da osservare nei sacrifici, quanto lontano debba fuggire a gambe levate da superstizioni gravose: mai l' uomo conseguirà un progresso sufficiente se non avrà maturata nella sua mente un' idea corretta della divinità, cioè una divinità che possiede tutto, che dà tutto, disinteressata nei suoi benefici.

 

49.  Qual è la causa che induce gli dèi a fare il bene ? Sbaglia chi crede che essi non vogliono nuocere: non ne hanno la possibilità.

Ne' possono ricevere offese, ne' arrecarle: offendere ed essere offesi sono strettamente congiunti. Quella loro natura eccelsa e superiore per bellezza a ogni altra, quella natura che li esclude dal rischio di ricevere offese li ha resi incapaci di infliggere il male.

 

 

50.  Il primo atto di culto reso verso gli dèi è credere nella loro esistenza, poi rendere testimonianza del loro superiore livello, riconoscere la loro bontà senza la quale non sussiste alcuna maestà; rendersi conto che gli dèi sono il presidio dell' universo, che con la loro forza regolano tutte le cose, che esercitano la tutela del genere umano pur non curandosi sempre dei singoli. Gli dèi non inviano il male, ne' lo hanno. Tuttavia puniscono certuni e li tengono a freno, irrogano il bene e talvolta condannano sotto la parvenza di elargire il bene. Vuoi propiziarti gli dèi ? Sii buono. Ha dimostrato di adorarli quanto basta chi li ha imitati.

 

51.  Ecco il secondo problema: come dobbiamo regolarci nei rapporti con il prossimo ? Quali debbono essere in concreto le nostre azioni ? Quali precetti impartire ? Di risparmiare sangue umano ? E' davvero poco non nuocere a chi dovresti fare del bene ! Naturalmente è un gran merito per un uomo mostrarsi mite con un altro uomo. Gli suggeriamo di porgere la mano al naufrago, di indicare la strada a chi l' ha smarrita , di spartire il proprio pane con un affamato ? Perchè dovrei spiegargli punto per punto ciò che si deve fare e ciò che bisogna evitare ? Infatti posso trasmettergli succintamente tale sintesi dei doveri di un uomo.

 

52.  Tutto questo mondo che tu vedi, in cui sono comprese le sfere del divino e dell' umano, forma una unità, siamo le membra di un grande corpo.

La natura ci ha tratto alla vita stretti da vincoli di parentela, generandoci dai medesimi principii e per tendere ai medesimi fini. Ci ha infuso un amore reciproco e ci ha resi inclini alla solidarietà. Ha dato sostanza alla equità e alla giustizia;  in forza alla sua legge costitutiva è più miserevole recar danno che subirlo (9) per suo comandamento le sue mani siano pronte a sostenere tutti coloro che hanno bisogno di aiuto.

 

53.  Sia nel nostro cuore e nelle nostre menti quel celebre verso del poeta :

"Sono un uomo, penso che nulla di umano mi sia estraneo" (10)

Mettiamo ogni bene a disposizione di tutti. Siamo nati per condividere una realtà comune. La società  umana è del tutto simile a una volta di pietra, la quale crollerebbe se le singole pietre non si appoggiassero coerentemente l' una all' altra: proprio per questo la volta si sostiene.

 

 

54.  Dopo aver considerato gli dèi e gli uomini, vediamo quale debba essere il rapporto con le cose. Getteremo nel vuoto i precetti se non precederà questo momento di riflessione: Quale debba essere il nostro punto di vista in qualsiasi situazione, povertà, ricchezza, gioia e ignominia, patria ed esilio. Soppesiamole una a una lasciando da parte le opinioni comuni e cerchiamo di sapere che cosa esse siano, non come la gente le definisce.

 

55.  Passiamo ora alle virtù. Qualcuno ci suggerirà di tenere in gran conto la lungimiranza, optare con decisione per la fortezza d' animo; avvicinarsi, se possibile, alla giustizia più che alle altre virtù. Non conseguiremo però alcun risultato se ignoreremo l' essenza della virtù, se la virtù sia una sola o più di una, e le virtù siano distinte l' una dall'' altra o interdipendenti; se chi ne possegga una sola possegga anche le altre e in che differiscano fra loro.

 

56.  L' artigiano non ha bisogno di cercare l' origine della propria arte, quale la sua utilità, non più di quanto il pantomimo debba indagare sulla tecnica della danza; la conoscenza di tutte queste arti si esaurisce in sè stessa. Non c'è nient' altro da chiedere in quanto non riguardano la vita nella sua totalità.

La virtù invece è conoscenza delle altre cose e di sè stessa : bisogna apprendere ciò che concerne la virtù affinchè la virtù sia appresa.

 

57.  Un' azione non sarà retta se la volontà non lo sarà, poichè questa da quella dipende. Inoltre l' animo non sarà disposto nel migliore dei modi se non avrà recepito le leggi che regolano l' intera esistenza e se non sarà ponderato quale giudizio si deve esprimere su ogni cosa, se non metterà tutto in rapporto con la verità.

La capacità tocca soltanto quelli che hanno raggiunto una capacità di giudizio immutabile e sicura;  gli altri cadono continuamente e si rimettono,in piedi e fluttuano in modo alterno fra la rinuncia e il desiderio.

 

58.  Per quale motivo costoro ondeggiano ora in un senso ora nell' altro ? Perchè nulla è chiaro per gli uomini che si avvalgono della più malsicura fra le guide: le opinioni della gente.

Se intendi esprimere la tua volontà in modo univoco è importante che tu voglia la verità. Orbene, non si giunge alla verità senza il sostegno dei principii fondamentali; sono questi che coinvolgono tutta la vita

Ciò che è buono e quel che è cattivo, l' onestà e la turpitudine, il giusto e l' ingiusto, la pietà e l' empietà, la virtù e la pratica  delle virtù, il possesso delle comodità materiali, la buona reputazione e il prestigio, la salute, l' energia fisica, la bellezza, l' acutezza dei sensi: tutti questi elementi richiedono un esperto che li valuti. Mi sia concesso di sapere con quale valore si deva iscrivere ciascuna di esse nelle liste del censo.

 

59.  In effetti, sei tratto in inganno e apprezzi certe cose più di quanto valgono e sbagli al punto che quei beni considerati da noi, gente comune, come i più preziosi - le ricchezze, il favore popolare, il potere - non meritano di essere valutati più di un sesterzio. Non te ne renderai conto se non ti riferirai ai parametri in base ai quali questi beni sono stimati nel loro valore intrinseco.

Come le foglie non possono verdeggiare in virtù di una risorsa autonoma, non possono fare a meno del ramo ,cui sono attaccate e da cui traggono la linfa vitale, così questi precetti imputridiscono se restano isolati: vogliono essere inglobati in una dottrina.

 

60.  Inoltre, coloro che eliminano i principii fondamentali non comprendono che essi trovano conferma proprio nel fatto stesso di essere tolti di mezzo.

Quali sono infatti le loro argomentazioni ? Che i precetti sono sufficienti per una crescita ordinata della vita e che i principii fondamentali della saggezza (in altri termini i dogmi e gli assiomi) sono superflui. Ma questa stessa loro affermazione è un dogma, ne' più ne' meno, per Ercole, se io ora sostenessi la necessità di lasciare i precetti come una inutile zavorra, mentre è indispensabile ricorrere ai principii fondamentali, e che soltanto a questi ci si deve applicare.

Ebbene, ecco perchè se argomentassi che non bisogna trascurare i precetti, esprimerei io stesso un precetto.

 

61.  In filosofia alcuni temi richiedono una spiegazione correttiva, altri una dimostrazione e, per la verità, molto consistente, perchè sono avvolti in una cortina di oscurità e possono essere chiariti a mala pena con un impegno e una forza di penetrazione dialettica di grado estremo.

Se le prove sono indispensabili, lo sono anche i principii fondamentali che con una serie di argomentazioni mettono in risalto la verità. Alcuni dati sono evidenti, altri oscuri. I dati evidenti sono quelli che si afferrano per mezzo dei sensi o della memoria; oscuri quelli che sono al di fuori di queste due facoltà.

La ragione però non ha compimento nelle realtà più evidenti, la sua componente più alta e affascinante si esplica nelle cose occulte. Bene, ciò che è occulto esige una dimostrazione, ma la dimostrazione non è possibile senza l' ausilio dei principii fondamentali: dunque, i principii fondamentali sono indispensabili.

 

62.  Ciò che determina il senso comune e per di più lo rende perfetto è il possesso di convinzioni ben fondate: se è vero che, senza di esse, tutto nell' animo è alla deriva, i principii fondamentali, che gli conferiscono un giudizio inflessibile, sono indispensabili.

 

 

63.   Infine, quando raccomandiamo di collocare un amico sullo stesso piano di noi stessi, di pensare che un nemico può diventare un amico, di rendere più gagliardo l' affetto di un amico e moderare l' odio del nemico, aggiungiamo: "E' un atteggiamento giusto e onesto".

La ragione contiene l' idea di giusto e di onesto insita nei nostri principii fondamentali. Essa è pertanto necessaria e, se manca, quelli non possono sussistere.

 

64.  Usiamo però i principii fondamentali senza tralasciare i precetti, dato che i rami senza le radici sono inutili e, a loro volta, le radici sono corroborate dagli elementi vegetali che esse hanno prodotto.

Quanto siano utili le mani, nessuno può permettersi di ignorarlo, ma il cuore,  che dà la vita alle mani, il cuore, da cui le mani assumono energia e vengono mosse, rimane nascosto.

Lo stesso posso dire dei precetti: sono evidenti, mentre i principii fondamentali della saggezza si mantengono occulti. Come gli atti più sacrosanti dei riti sono noti solamente agli iniziati, così nella filosofia le partii più segrete si rivelano soltanto a quanti sono ammessi nei suoi santuari. I precetti invece, e altri consimili suggerimenti, sono noti anche a quelli che stanno davanti alla porta del tempio.

 

65.  Posidonio ritiene necessaria solo la precettistica - nulla ci vieta di usare questo vocabolo - .a anche la persuasione e l' esortazione, a questo egli aggiunge la ricerca delle cause, cioè l' eziologia, e non vedo perchè non dovremmo avere l' ardire di ricorrere a questo termine, dal momento che i grammatici, custodi della lingua latina, li chiamano a buon diritto così.

Posidonio osserva che sarebbe utile anche la descrizione di ogni singola virtù, e la definisce "etologia", altri la chiamano "characterismon", un procedimento questo che mette in risalto di ciascuna virtù e di ciascun vizio le caratteristiche e gli aspetti più significativi, per cui si distinguono cose simili tra loro.

 

66.  Tale metodo ha la stessa efficacia dei precetti. Infatti, chi li impartisce dice: "Devi agire così se vuoi essere temperante". E chi formula una definizione dice: "Temperante è l' uomo che fa questo e si astiene da quest' altro".

Chiedi quale sia la differenza ? Il primo impartisce precetti di virtù, il secondo ne offre un esempio. Tali definizioni, e per usare un termine degli appaltatori di imposte, questi "documenti di identificazione" hanno la loro utilità, lo ammetto: prospettiamo azioni degne di lode e si troverà chi le imita.

 

67.  Ritieni utile che ti si diano elementi comprovanti che ti mettano in grado di riconoscere un cavallo di razza, per non cadere in inganno mentre procedi all' acquisto e tu non perda tempo e fatica contrattando un ronzino.?

Quanto è più utile conoscere gli aspetti più significativi di un animo di livello superiore, dal momento che è consentito mutuarli da un altro per associarli alla propria personalità !

 

68.   Fin da principio un puledro di stirpe eletta si avanza

a passi più alti nella pianura, e riabbassa bel flesse le gambe;

è il primo che osa percorrere una via e affrontare fiumi minacciosi,

o che si fida di attraversare un ponte sconosciuto

e non ha paura di rumori vani. Ha collo slanciato,

ventre stretto e groppa carnosa testa ben allineata,

e il baldo petto quasi scoppia di muscoli.

...

Basta che venga un suono d' armi di lontano

e non può stare fermo, gli guizzano in su le orecchie,

le membra gli tremano, e tremendo sbuffa

dalle froge, come fuoco il respiro trattenuto (11).

 

 

69.  Pur senza pensarci il nostro Virgilio ha descritto un uomo di valore. Io, per lo meno non saprei tracciare una immagine diversa di un uomo valente.

Se dovessi rappresentare Marco Catone impavido in mezzo ai fragori delle guerre civili e nell' atto di attaccare per primo gli eserciti che già si sono avvicinati alle Alpi, e di affrontare la guerra, non gli assegnerei ne' un volto, ne' un comportamento diverso.

 

70.  Nessuno per lo meno potè avanzare con maggiore fierezza di chi per primo si levò contro Cesare e contro Pompeo, e mentre alcuni sostenevano le forze cesariane, altri quelle di Pompeo, egli lanciò la sfida ad entrambi i condottieri, mostrando che anche la Repubblica aveva i suoi sostenitori (12).

Infatti, non basta dire di Catone: "Non ha paura di rumori vani". Perchè non dovrebbe essere così ? Dal momento che non si sgomenta per fragori reali e vicini, fa sentire la sua voce di uomo libero contro dieci legioni, contro le truppe ausiliarie dei Galli, le milizie dei barbari mescolate con i nostri reparti e incoraggia la repubblica a non cedere nella difesa della libertà, ma a tentare il tutto per tutto: sarà per lei più onorevole cedere in servitù  che andarle incontro spontaneamente.

 

71.  Quanto vigore, che entusiasmo ci sono in quest' uomo e, nel panico generale, quanta fiducia ! Sa di essere l' unico la cui posizione è fuori discussione; difatti il problema non è se Catone sia un uomo libero, ma se viva tra uomini liberi: di qui scaturisce il suo disprezzo dei pericoli e delle spade.

E' bello per chi ammira l' invincibile tenacia dell' eroe, che non vacilla in mezzo alla rovina generale, riprendere le parole: "Il baldo petto quasi scoppia di muscoli".

 

72.  Sarà utile non solo mettere in risalto le qualità tipiche degli uomini virtuosi e tratteggiarne la figura e i lineamenti, ma anche narrare e descrivere il loro comportamento, quell' estrema ferita di Catone, espressione di altissimo coraggio, attraverso la quale la libertà esalò l' ultimo respiro; la saggezza di Lelio e la sua armoniosa intesa con l' amico Scipione, le egregie imprese dell' altro Catone in patria e fuori, i letti lignei di Tuberone quando li imbandivano in occasione di una solennità pubblica, e le sue pelli di capretto al posto di tappeti, e le stoviglie di terracotta sistemate per i conviti, proprio davanti al tempio di Giove.

Che altro significava tutto questo se non consacrare la povertà in Campidoglio ?

Ammesso che di lui non abbia altro episodio da ricordare, crediamo che tutto ciò sia davvero insufficiente per poterlo annoverare fra i Catoni ? Quel festino pubblico. fu l' atto di un censore , non una cena.

 

73.   Oh, fino a qual punto gli uomini bramosi di gloria ignorano che cosa essa sia e come dev' essere cercata !

In quel giorno il popolo romano vide il corredo conviviale di molti cittadini, ma ammirò quello di uno solo. L' oro e l' argento di tutte quelle persone andarono in frantumi e furono mille volte rifusi, ma le stoviglie di terracotta di Tuberone avranno una durata perenne.

Stammi bene.

 

NOTE     

 

1.  Cioè la filosofia.

2.  Lucrezio, De rerum natura I, 54 - 57.

3.  Ippocrate di Cos (460 - 380 a.C.).

4.  Si tratta dl garun, una salsa di pesce importata per lopiù dalla Spagna. Gfr. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia IX, 17; XIX, 7; XXXI, 93; XXXII, 148.

5.  Virgilio, Eneide VIII, 442: Vulcano sollecita i Ciclopi a forgiare le armi e la corazza di Enea.

6.  La nota 2 alla lettera 12.

7.  Il sesterzio era una moneta d' argento (fino al 43 a.C.), poi di bronzo, equivalente a due assi e mezzo. L' asse era l' unità originale della moneta romana, intrdotta fra il 450 e il 430 a.C. Corrispondva in peso a una libbra romana (gr. 327).

8.  Sabbath.  Era, ed è ancora, il giorno festivo e di riposo (tale appunto il significato del termine in ebraico) degli Ebrei. In età imperiale fu celebrato anche dai romani ed era considerato, erroneamente, un giorno di digiuno.

9.  E' il principio sostenuto da Socrate nel Gorgia di Platone.

10.  Terenzio, Heautontimoroumernos, 77. Sono parole emblematiche della filosofia stoica, in particolare di Seneca. Cfr. anche Seneca De ira, III, 43, 3, e la Lettera 108; e Agostino di Tagaste, Epistular I, 1.

11.  Virgilio, Georgiche III, 75 - 81; 83 - 812.  Tale il comportamento di Catone l' Uticense, che si oppose per tutta la sua vita all' assunzione illegale del potere, mantenendo così una posizione di distacco sia da Pompeo che da Cesare.

 

COMMENTO  PITAGORICO - ORFISTA

 

Premetto una  mia esperienza.

Da quando a Lecce mi laureai in Filosofia frequentando come lavoratore studente, anzi; ancor meglio, da dopo il mio pensionamento dal C.N.R. settore oceanografico, dove ho lavorato, per quarant' anni come esperto nautico e bibliotecario diplomato:

Avendo finito il lavoro,  dopo aver accettato una proposta di prolungamento del servizio - all' età approssimativa di settant' anni - e avendo di conseguenza cercato di utilizzare culturalmente il mio titolo di studio, - ottenuto per mia disgrazia con 110, il che mi ha illuso di essere bravo - mi sono improvvisamente trovato a vivere come se abitassi su un altopiano molto elevato, ormai privo d' erba, dove gli animali che lo occupano, perlopiù insetti, essendo forzatamente tutti carnivori, sono costretti, per vivere, a divorarsi reciprocamente.

Avendo provato - disgraziatamente - a tentare di pubblicare le mie conoscenze sul pitagorismo, ed essendomi rivolto a una Casa Editrice fra le più favorite in Italia, dopo due anni mi sarei accontentato di un rifiuto dell' opera, anche senza alcuna giustificazione. Mi sono trovato invece di fronte a un silenzio assoluto, come se non esistessi e non avessi mai inviato alcunché. Senza un motivo, perchè? Ho inviato lettere facendo domande semplici che avrebbero dovuto ricevere una risposta, almeno per educazione. Mi si perdoni, ma se un tale comportamento lo si ritiene lecito, allora tutta la nostra cultura civile rappresenta  una presunzione di  libertà e democrazia e la lettura della nostra Costituzione  (culto e pensiero, art. 3 ecc,) null' altro che un falso in atto pubblico.

L' opera "Sette lezioni di Pitagorismo  orfista" è pubblicata nella  directory "Spazio libero - Agorà" e può essere giudicata dal pubblico. Sinceramente temo che da internet possa sparire.

 

 

Chiedo scusa al lettore e vengo al punto.

 

SUI  PRECETTI E  I  PRINCIPII  FONDAMENTALI

 

 

Abbiamo citato Seneca per mostrare come, ne' ad opera dei pagani, ne' dei cristiani, il mondo sia riuscito a fare un passo in avanti nella morale, da tanti anni ad oggi. Nemmeno dai giochi del Colosseo, nemmeno dai "peccatori" di Gerico.

Perchè? Perchè fare la pace non conviene, specialmente alle organizzazioni pacifiste. Se sono due, intendo. Ciò vale per tutte le religioni e le filosofie immaginabili, perchè nessuno vuole la guerra per teoria. Buoni, saggi e santi lo siamo un po' tutti.

 

Si potrebbe dire: "Dai valori fondamentali derivano i precetti, ovvero i modi d' essere - per conseguenza logica - coerenti ad essi".

Ma quali sono questi valori ? I vari filosofi e rappresentanti intellettuali politici e religiosi possono esporli. Io potrei travisarli di proposito e non posso farlo per loro.

Mi limiterò a esporre succintamente soltanto alcuni principii fondamentali pitagorico-orfisti così come ci vengono da tutta la cultura socratica e presocratica, ed anche, se lo vogliamo, da Lucio Seneca, rappresentante valido del neo pitagorismo e dello stoicismo romani.

 

DIO. - Dal pitagorismo Dio non è interpretato come un Signore che comanda e che lo si può anche materialmente rappresentare. Dio, di fatto, sono tutti gli elementi della natura dai quali abbiamo ricevuto la vita ed entro i quali esistiamo. L' emanazione è lo specchio di Dio e attraverso essa ci comprendiamo in lui.

Intendo: Dio non lo conosciamo, ma possiamo conoscere le sue leggi. Non ci sono altri rapporti logici fra l' uomo e Dio, ciò se intendiamo Dio anche come giustizia e bontà. Ed anche se eliminassimo Dio dal nostro pensiero, le leggi naturali non cambierebbero.

 Il Dio giudice - per noi - non può essere ne' giusto ne' buono, così come nemmeno il Dio assente. Non foss' altro perchè una vita non basta. Noi non decidiamo la nostra nascita, ne' la nostra collocazione sociale di partenza, dalla quale spesso, alla fine, dipenderanno tutti i nostri meriti e demeriti.

Non si può replicare: "che una vita non basti lo dici tu", perchè anche escludendo ciò noi potremmo rinascere da qualsiasi uovo. Si tratta soltanto di dare un po' di fiducia alla nostra ragione.

 

Per tutti i filosofi presocratici (compreso Pitagora) la Divinità esisteva in ambiente immacolato e puro, non contaminato da alcuna essenza diabolica.

Interpretato dal punto di vista morale, Dio è collegato all' esistenza dell' anima, la quale, sulla Terra,  può svilupparsi solo dall' animalità. Per cui, se anche il Golfo di California ci può apparire un inferno pieno di grossi calamari giganti che si divorano l' un l' altro, tutto ciò è ancora  coerente allo sviluppo dell' anima.

La quale anima potrebbe anche non esistere, ma solo in questo noi possiamo vedere una "limitazione" del nostro pensiero.

 

Comunque in ipotesi orfista - ho scritto ipotesi - non è giusto che l' anima vada al giudizio. Io che scrivo sono in realtà un' anima (eterna ?) che trascende la mia identità umana e che quando morrò rivelerà la mia vera persona. Secondo un automatismo accettato anche da Platone; automatismo che rivela pur esso la esistenza di Dio.

Secondo il mio punto di vista, la mia anima rivelerà la vera natura di me (che si costruisce nel nostro pianeta). Da morto mi troverò in una savana di antimateria, e se la mia vera natura sarà quella di un avido assassino, il mio aspetto sarà conseguente. Anche come aspetto animale.

Si tratta di poco ormai, il mio treno è in partenza e ho già trovato il mio posto, soltanto non penso che viaggerò verso un premio o una punizione; me ne andrò verso la conoscenza di me stesso. Che sono una parte del mondo, dell' umanità intera, anzi dell' universo. Dell' Uno, come affermava Parmenide.

 In realtà il pitagorismo è una scelta: ma una scelta logica di chi non vuol rinunciare alla propria umanità, al grado di sviluppo della propria mente, che noi mettiamo nel conto sperando possa continuare anche dopo la nostra morte.

 

Il relativismo è nella logica pitagorica, se la intendiamo come una logica di libertà. Non possiamo "inventarci" l' uomo. Seneca qui in 62, forse ci appare agnostico riguardo al relativismo , perchè ogni cultura deve salvaguardare (fondarsi) sui propri principii.

La libertà consiste appunto nel poter scegliere i propri principii fondamentali.

Per noi non è lecito fondarli su valori esclusivamente metafisici, e poi sostenerli con imposizioni dogmatiche (e nella storia con la violenza).

La libertà civile e religiosa sarebbe la risoluzione più bella. Ma la libertà, purtroppo, non richiede soltanto una mente libera, esige anche una saggezza morale di fondo.

 

UMANITA'.  I valori fondamentali degli uomini e delle donne dovrebbero pretendere  che essi si riconoscessero tali. Almeno finchè fossero vivi e sulla terra. L' uomo magico o l' uomo divino non esistono. Può esistere una gerarchia delle anime, ma essa è, e deve rimanere segreta. Se esiste una legge etica "in più" oltre a quella già in atto nella fisica dell' universo, essa non può essere conosciuta da noi finchè abitiamo il Pianeta. Ciò ammettendo che nell' universo, oltre alla nascita naturale fisica degli astri, si sia verificata anche una nascita naturale della mente, così come voleva Anassagora.

 

MONDO.  Il valore fondamentale del mondo può solo compararsi a quello di Dio. Se crediamo in Dio, cioè nella  potenza positiva dal quale proviene, allora dobbiamo credere che anche il mondo sia collegato ad esso. Ma non in termini di "casa e bottega". Non "Uno" come tutti pitagorici o tutti cattolici o musulmani. Non c' entrano le religioni o le ideologie. Dio è di tutti, uno per uno nel mondo. Tutti hanno diritto a comprendersi in  Dio, e in effetti ne sono compresi anche se non lo sanno e non lo vogliono. Questo è un principio fondamentale della morale.

 

LIBERTA'.  La libertà, come valore fondamentale, per i pitagorici significa prima d' ogni altra cosa "rifiuto delle costrizioni mentali". Anche il valore della libertà è correlato a quello di Dio. Se Dio è di tutti, anche la libertà di intenderlo (con la necessaria accettazione di precetti diversi) dovrà esser di tutti.

La pretesa della necessità della "conversione" lanciata come grido di battaglia dalle Religioni enoteiste (forse con esclusione dell' Ebraismo) secondo me è controproducente e rinforza soltanto le giustificazioni dell' Ateismo. Che poi anche quello può essere assimilato a una religione di certezze. Il materialismo è una cosa diversa. La libertà è la strada migliore, ma per capire la libertà occorre nascere con l' amore per essa.

 

Alla fine, abbiamo brevemente enumerato pitagoricamente quattro principii fondamentali - Dio, Umanità, Mondo, Libertà. -  accettati, ma non interamente compiuti - perfezionabili nel tempo storico.

Onestamente dubitiamo che una  presunzione di civiltà possa essere fondata sulla coercizione, specialmente se a sostegno di una verità ontologica.

In conclusione, la storia ci mostra una esistenza di speranza pre - cristiana conclusa nel Concilio di Nicea, cioè  dall' Imperatore Costantino, il quale ebbe almeno il merito di por fine alle persecuzioni (Giuliano non ne fece). Dopo la vittoria del Cristianesimo, nel 380 e 390 o giù di lì, la clessidra si rovesciò, ma il mondo non conobbe quella morale migliore sulla quale contava, se non forse a livello di qualche mistico isolato.

La "Speranza" deve riguardare il miglioramento del mondo, non il paradiso, ammesso che poi lo si meriti.

Comunque, non bisogna limitare la morale storica al giudizio sulle guerre di religione (Lepanto, Vienna, conquista del Nord Africa e dell' Asia minore, Spagna, Olanda, Parigi (notte di S. Bartolomeo), America colombiana ecc. Si può scrivere un buon libro di storia anche lodando le religioni: sviluppo dell' arte, liberazione degli schiavi, ecc. Certo, ci sono delle presunzioni. Lo sviluppo della matematica e della medicina, ad esempio (Averroè e Avicenna) è avvenuto nonostante le religioni, o a dispetto delle Autorità religiose se consideriamo il lavoro dei  traduttori nei conventi cristiani. L' arte pittorica e architettonica ne ha avuto certamente incoraggiamento, sebbene  non certo l' astronomia.

E così per tutto. Ma certo, le tre religioni enoteiste sono state costruite dagli uomini. La Bibbia deve considerarsi la base del Corano  e del Concilio di Nicea (consideriamo per brevità solo quello), comunque gli uomini, dopo aver creato e rifondato le religioni, sempre a loro criterio, hanno  poi giustamente preteso i diritti d' autore.

Giustamente, lo ripeto. Ma se adesso qualcuno pretendesse la libertà religiosa ? Non una spartizione di poteri.  Le tre religioni si scoprirebbero dispotiche "antirelativiste" ?  Certo che sì. Penso.

Saluterò i lettori secondo l' uso di Lucio Seneca.

Statemi bene.

 

 

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