7 LEZIONI DI FILOSOFIA PITAGORICA.
LEZIONE TERZA
PARTE TERZA
Filolao e il mondo presocratico
Un’altra delle materie alle quali si interessarono Filolao e la
sua scuola, fu la fisica meteorologica. Egli ed Empedocle furono i primi
a considerare uniti i quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco.
Prima di allora le scuole filosofiche non avevano trattato il
problema del principio del mondo considerando gli elementi globalmente.
Con Ippaso (che si collega in questo a Parmenide) aveva trattato il
fuoco (54), e con Ione di Chio la terra e l’aria (55). Ne' vi era
comunanza dei quattro elementi nelle scuole ioniche, ne' in Elea.
Secondo Talete, l’elemento primordiale, il generatore di tutte
le cose era l’ acqua. Anche per Aristotele l’acqua doveva essere l’
elemento più antico, poiché egli ricorda che i primi teologi misero
Oceano e Teti al principio della generazione (56).
Secondo Anassimandro la terra si forma dalla continua
trasformazione degli elementi (57), e tale concetto Galeno attribuì a
Talete. Comunque, per lui (Anassimandro) gli elementi e la terra
provengono dal fuoco (la sfera di fiamma). Fu questo un postulato che
precorse l’atomismo della scuola di Abdera.
Dello stesso avviso fu Eraclito: tutto si genera dal fuoco, per
rarefazione e condensazione (58):
"Spegnendosi il fuoco, si viene a formare l’universo" (59).
Simplicio ricorda che Anassimandro pone a principio l’infinito
(60), ed Aristotele (61) la natura che sta fra l’aria e il fuoco,
o l’aria e l’acqua (62).
Secondo Ezio, la meteorologia di Anassimandro vuole che i tuoni,
le folgori, le bufere e i tifoni, abbiano origine dall’aria mossa.
Secondo Anassimene, al principio starebbero l’aria e l’ infinito
(63); i venti sarebbero aria condensata e questa, rarefacendosi, può
diventare fuoco (oggi diremmo che il calore dilata i gas). La
compressione dell’aria formerebbe le nubi, e la sua condensazione le
piogge, e tutte le altre precipitazioni. Alla fine, la estrema
condensazione dell’aria formerebbe la terra.
L’ arcobaleno, secondo Anassimene, si formerebbe per riflessione
dei raggi solari quand’essi si specchiano nella umidità di una nube
oscura. Non riuscendo ad attraversarla, rifletterebbero (64). Per
lui l’arcobaleno si formerebbe anche la notte, ad opera dei raggi lunari
(65).
I terremoti avverrebbero durante la siccità, o nei periodi
eccezionalmente piovosi.
Senofane di Colofone pone a principio la terra (66).
Secondo l’ateo Ippone i principi sarebbero il freddo e il caldo
(67).
Per Diogene d’Apollonia l’elemento generatore è ancora l’aria
(68), sebbene l’origine delle cose proceda dall’ uno, ciò perchè il
caldo può diventare freddo, l’asciutto umido e viceversa (69). La sua
meteorologia è anch’essa originale e molto vicina alle conoscenze
attuali. Il tuono sarebbe prodotto dallo spegnersi del fuoco sopra una
nuvola (70), mentre suo è il concetto del sole che, dopo aver
attratto a sé, con l’evaporazione, l’umidità, la ridistribuisce (71).
Molto vicina alla verità (intesa come conoscenza del reale) è,
comunque, la scuola pitagorica di Crotone, con Ippaso, all’inizio del
quinto secolo a.C. Egli ammette che tutte le cose si formino dal
fuoco per condensazione dell’astro (72), Alcmeone ammetteva due
soli elementi (73) e così la scuola di Elea che, con Parmenide,
supponeva soli elementi costitutori il fuoco e la terra, ai quali Ione
di Chio aggiunse l’aria. (74).
Verso la metà del quinto secolo a.C., o appena un po’ più tardi,
Filolao ed Empedocle giunsero contemporaneamente alla conclusione di
collegare fra loro i quattro elementi naturali. Empedocle, sappiamo,
rifiutava l’idea dell’unità del principio e, come ricorda Guido
Calogero, cercò di conciliare le ragioni della scuola di Elea con quelle
contenute nelle teorie di Eraclito. Egli pose a genesi delle cose
esistenti le quattro radici del tutto: acqua, terra, aria, fuoco. Che
poi oggi si sappia che gli elementi sono molti di più, filosoficamente
la cosa non è importante.
Anche le cognizioni di Filolao riguardano soprattutto la
trattazione di quelli che, dopo le sistemazioni dell’Accademia, saranno
definiti i quattro elementi naturali (75) .
La trattazione dell’argomento acquista in Filolao carattere di
particolare originalità, poiché Ezio ricorda la connessione che i
pitagorici facevano fra i cinque poliedri regolari e gli elementi
naturali (76).
La Timpanaro-Cardini, commentando il passo di Ezio, attribuisce
invece l’accostamento al nostro autore (77). La cosa è molto probabile
dato il carattere della scienza platonica (di Ezio), che risente molto
di influenze pitagoriche, in particolare filolaiche.
Dei corpi solidi inseriti nella sfera, si sa che la scuola
pitagorica conosceva in principio il cubo, il dodecaedro e la piramide,
cui si aggiunsero, al tempo di Filolao, l’ottaedro e l’ icosaedro
regolari.
A dire il vero, uno scolio al libro XIII degli Elementi di
Euclide, attribuisce la costruzione degli ultimi due poliedri a Teeteto,
che fiorì nella prima metà del IV secolo a.C.; ma non bisogna
dimenticare che quest’ultimo era allievo del pitagorico Teodoro di
Cirene, per cui non è escluso che i cinque poliedri regolari descritti
fossero tutti conosciuti dai pitagorici già al tempo di Filolao.
Non bisogna dimenticare che Platone, di Filolao usò largamente i
libri, dei quali andava in cerca, come abbiamo già visto, tanto che fu
accusato di avere da lui plagiato il Timeo (78). Occorre però
considerare che Platone visitò anche Teodoro di Cirene (79).
Quindi vanno posti in rilievo i contatti che esistevano fra le scuole
pitagoriche di Eraclea italica e quelle di Cirene, e si possono
rammentare Clinia e Prorus (80). Ciò si spiega, naturalmente, solo
ammettendo la permanenza di Filolao in Eraclea negli ultimi anni della
sua vita.
Alla fine, accettando la tesi della Timpanaro-Cardini, che si
debba a Filolao la connessione fra elementi e solidi geometrici
inscritti nella sfera, si deve concludere che questo argomento ha
interesse storico in quanto stabilisce che furono Filolao ed Empedocle a
trattare per primi, unitamente, i quattro elementi.
Altrettanto potrebbe dirsi per le cognizioni aritmo geometriche,
le quali progredirono notevolmente nel quinto secolo a.C., per merito
delle scuole pitagoriche, sino a scindersi definitivamente nella
matematica e nella geometria propriamente dette.
L’evoluzione cominciò al tempo di Ippaso, durante la scoperta
dei cosiddetti numeri irrazionali. Prima di allora si consideravano
soltanto le unità intere, ad es. un punto, o un corpo formato da una
serie indeterminabile, ma pure finita, di punti. Non si aveva ancora
idea del numero non finito (come potrebbe essere, ad es. il famoso
2,314159… determinato poi da Archimede). Fu proprio il gruppo di Ippaso,
che speculando intorno a quello che oggi è definito il teorema di
Pitagora si trovò ad imbattersi in quello che oggi è definito il "numero
irrazionale".
Se si suppone il cateto a = 1 ; allora la diagonale del
quadrato, per quasi qualsiasi grandezza di b, sarà uguale a un numero
irrazionale. Ad esempio, per b= 2 il valore dell’ipotenusa sarà
2,23606797…, cioè si sarà ottenuta una espressione numerica non
realizzabile con riga e squadra, ovvero il primo di una serie di
risultati cui pervennero in seguito Teodoro di Cirene e il suo celebre
discepolo Teeteto, i quali condurranno alla fine dell’aritmogeometria
come scienza ed alla suddivisione di essa in geometria e matematica.
Tale scoperta – si dice (vedi Giamblico) – potrebbe essere stata
fatta dallo stesso Ippaso durante i suoi studi sul dodecaedro o sul
teorema di Pitagora, ed essere stata considerata, sulle prime, una vera
contraddizione di Scuola che Ippaso stesso avrebbe rivelato tradendo il
segreto e screditando il sodalizio. Cosa che suscitò indignazione
contro di lui e che lo volle, o affogato nel mare per naufragio (per
castigo divino) oppure, proprio affogato di proposito (81).
Tornando ai numeri irrazionali, Antonio Maddalena sostiene (82)
che la dimostrazione della irrazionalità di √2 si deve ad Archita.
Durante l’auge di Archita, infatti, la divisione sarà
completamente compiuta, tanto che egli sosterrà essere l’aritmetica
superiore alla geometria. Per il momento, comunque, ci si mantiene in un
periodo di transizione durante il quale progressi sono compiuti dalle
scuole di Cirene, ma non da quella di Filolao in Tebe.
Ben diversa è, invece, l’importanza di Filolao per quanto
riguarda l’ evoluzione delle teorie musicali e per la conoscenza della
fisica acustica. E’ importante rilevare che, nella storia della scienza
greca, le prime esperienze di sperimentazione acustica furono compiute
proprio nella scuola pitagorica di Crotone.
E’ stato scritto che fu Pitagora a iniziare i crotoniati alle
teorie musicali, e che avesse egli stesso tratte le proprie conoscenze
dai babilonesi (83). Sperimentalmente, comunque, le prime
sperimentazioni musicali greche devono attribuirsi al gruppo del
metapontino Ippaso (84) del quale facevano parte Glauco e Laso di
Ermione.
Di Glauco è stato detto che usava misurare il timbro dei suoni
percotendo dischi sovrapposti. Laso di Ermione (85) eseguiva
misure seguendo il criterio della velocità delle vibrazioni. Attraverso
tali sperimentazioni si scoprì che, variando la quantità di liquido
contenuta in un vaso possono ottenersi suoni misurabili di timbro
diverso.
Se, ad esempio, si prendevano due vasi uguali, ed uno lo si
teneva vuoto, e l’altro lo si riempiva a metà, si poteva attribuire un
valore alla differenza dei suoni ottenuti.
A un accordo similare si diede nome di ottava, mentre nome di
quarta si diede a un accordo ottenuto percuotendo un vaso vuoto e un
altro (uguale) pieno la quarta parte.
Fra un vaso vuoto e un altro (uguale) riempito per un terzo si
otteneva un accordo detto di quinta. Cioè: 2:1 nell’ottava, 3:2 nella
quinta, 4:3 nella quarta.
Secondo Boezio (86), Eubulide ed Ippaso perfezionarono questi
rapporti. Unendo i rapporti di quinta e ottava essi ottennero un
rapporto definito triplo ovvero, 2:1 per 3:2 uguale a 3:1. Ed unendo il
triplo alla quarta ottennero il cosiddetto rapporto quadruplo, che
chiamarono anche doppia ottava (87).
Al gruppo di Filolao può attribuirsi, in questo campo, la
divisione del tono in apotome e leimma (88).
Le conoscenze antiche si basavano, abbiamo visto, nella
constatazione, valida tutt’oggi, che i suoni vengono percepiti in quanto
vibrazioni dell’aria provocate da oggetti. Da qui la ricerca di rapporti
numerici fra il timbro di detti suoni e la lunghezza delle corde, o lo
spessore dei dischi che vengono posti in vibrazione.
A Filolao sono attribuiti anche esperimenti con strumenti a
fiato, e le sue esperienze lo portarono a dedurre che l’ ottava era il
prodotto della quinta per la quarta: 3:2 per 4:3 = 12:6 = 2:1. mentre il
loro rapporto dava il tono 3:2 :4:3 = 9:8.
Il tono, a sua volta, si poteva dividere in due parti, la leimma
(semitono minore, o diesis, e l’ apotome (89).
Il rapporto della leimma era 243:256, e quello della apotome
2048:2187. Il prodotto di questo rapporto riconduce il tono intero a
9;8.
Importante è rilevare quanto ricorda Proclo (90), cioè che
la scala musicale di Platone descritta nel Timeo, deriva per notevole
parte da quella di Filolao. Anzi, in Platone manca l’ apotome, pure
essendo la scala più estesa.
Un progresso in questo campo si avrà ancora in Archita, e sarà
rappresentato nella importante scoperta scientifica, che le note sono
proporzionali alle velocità vibratorie, e in ragione inversa della
lunghezza.
Ancora nella fisica Filolao ci dà il limite cui era giunta la
scienza greca nel quinto secolo a.C. Egli si occupò della natura della
luce, di quella del calore e del colore.
Un frammento di Ezio (91) ricorda che, secondo Filolao, il
sole è di natura vitrea, esso assorbe il fuoco che è nel cosmo e ne
trasmette a noi la luce e il calore, tanto che, in un certo senso, vi
sono due soli, la sostanza ignea celeste e il corpo reso igneo da quella
(92).
Secondo gli studiosi ionici Anassimandro e Anassimene, il sole
era una massa d’aria condensata piena di fuoco, avrebbe avuto forma di
ruota, o di tromba, e avrebbe mandato luce dal centro, attraverso i
raggi (93) (Anassimandro). Esso sarebbe stato grande 28 volte la terra
(94), e l’eclisse sarebbe avvenuta quando uno spiraglio, o una
bocca, si otturavano.
Per quanto riguarda la fisiologia, Filolao rivela pienamente la
sua provenienza culturale italica.
Qui Filolao traeva da una tradizione illustre, considerando che
l’arte medica periodeutica della scuola di Crotone era, nella prima metà
del quinto secolo a.C., la migliore del mondo. Essa traeva i suoi
postulati fondamentali da un concetto puramente etico che veniva
applicato sul piano fisico: la constatazione che la perfezione si
identifica con l’armonia, sia essa formale, che morale.
Si riteneva che un corpo armonicamente proporzionato, sia
nell’estetica che nelle funzioni, dovesse essere un corpo sano, e questo
è un concetto che rivela una influenza spartana. Ma mentre in Sparta la
ginnastica era praticata fine a sè stessa e riguardava la preparazione
militare, in Crotone essa divenne raffinata arte medica avente lo scopo
di mantenere nell’uomo l’armonia fisica e, tramite questa, proteggerlo
dalle malattie. Il metodo era quindi, non tanto di guarire gli
ammalati, ma di non fare ammalare i sani. Se dobbiamo giudicare dalla
longevità dei pitagorici dei quali ci porta notizia Aristosseno, il
grande tarantino del quarto secolo, dobbiamo dedurre che il metodo
funzionava. Del resto Erodoto considera di 70 anni, la media della vita
nell’antichità (95), cifra interessante se si considerano le frequenze,
e i modi delle guerre di allora.
In conclusione, proprio i sani erano curati e controllati
costantemente dai medici, mediante gli esercizi di palestra e le diete.
Non si deve però pensare che, all’occasione, non si sapessero
guarire i malati; la storia ricorda la brutta caduta da cavallo di Dario
di Persia e la sua caviglia slogata, guarita dal celebre chirurgo
crotoniate Democede dopo che nessuno fra i medici egiziani e persiani
era giunto un buon risultato (96).
Ora, è chiaro che una buona chirurgia richiede adeguate
cognizioni di anatomia, così come una buona medicina richiede cognizioni
di fisiologia.
Fra i crotoniati si era distinto Ippone, ma Alcmeone ci è noto
come il vero e proprio fondatore della vivisezione (97).
Ancora può venirci in mente quanto da queste deduzioni trassero
Diogene d’Apollonia ed Empedocle, che certo alle scuole pitagoriche
devono molto.
Per Filolao. anch’egli convinto fautore dell’armonia, (e lo
vedremo meglio trattando il suo pensiero teologico), il corpo umano,
invece di dovere la vita a un equilibrio di contrari, è formato di solo
caldo, e il freddo vi s’introduce attraverso la respirazione. Però, come
giustamente osserva la Timpanaro – Cardini riprendendo una opinione del
Covotti, in questo concetto esiste implicito il senso di un’armonia
dinamica: il continuo riequilibrio del caldo col freddo.
Secondo le testimonianze di Menone, per Filolao le malattie si
generano o per cause dovute alla bile, o al sangue, o al catarro, che
egli ritiene caldo. Cause pratiche ne sarebbero l’eccesso o la scarsità
di riscaldamento, o di aria, o di nutrimento, e simili, secondo una
traccia alcmeonica.
Da notare che l’autenticità del frammento citato in nota (98) fu
messa in dubbio dal Doëring, che credette di rilevare incompatibilità
tra il Filolao aritmogeometra, o astronomo, e il medico. L’obiezione fu
contestata dal Mondolfo (99), secondo il quale le materie delle quali
Filolao si occupava erano tutte introdotte nella scuola pitagorica.
__________
NOTE:
54. Aristotele. Metaph. A 3, 984 a 7; Simplicio.
ln Phys. p. 23, 33; Ezio. I. 5, 5; (T.C. 5 18 a
7).
55. Isocrate. XV, 268 (T.C. 14 (36) a 6).
56, Aristotele. Metaph.
A 3, 983 b .6; Simplicio. Phis. 21, 23
M 1 a 12-13.
57. Simplicio . Phys. 24,
13; Galeno. in Hipp. de hum. I.
1 M (11) b3.
.
58. Aristotele. Metaph. A 3 984 a 7:
Simplicio, Phys. 28, 33; Teofrasro. Phys. Opin. fr 1 D
475.
59. Ezio. I. 3, 11, passo tradotto da Quintino Cataudella, op.
cit. o. 140.
60. Simplicio. De caelo 615, 13 A
61. Aristotele. Phys.
T 4, 203 B 6.
62. Augustino. C. D. VIII,
2.
63. Diogene L. II, 2.
64. Ezio. III,
5, 10.
65. Schol. Arat. p. 516, 27. M.
66. Teodoreto. 4, 5, (da Ezio):
Stobeo. Ecl. I. 10 12; Olimpiodoro. De
arte sacra, 24.
67. Simplicio. Phys. 22, 23; Ipolito. Ref.
I. 16.
68. Diogene. IX, 57.
69. Aristotele. De gen. et con., A 6 322 b
12.
70. Ezio. II. 3, 8; Seneca. Nat. quaest.
II. 20.
71. Seneca. Nat. quaest. IV, a 2, 26 sgg.
72. Aristotele. Metaph. A 3 784 a
7; Simplicio. in Phis. 23, 33; Ezio I. 5, 5,
( T.C. 5 (18) A 7).
73. Isocrate XV., 268.
74. Isocrate. X75V., 268 (T.C. 14 (36) a 6.
75. Ezio. II., 5, 3. (T.C. Fil. a 18.
76. Ezio II., 6, 5, da Teofrasto, Phys. opin. (T.C.
Fil. a 15).
77. Timpanaro-Cardini. op. cit. II. p. 99, in nota. Aetio in II,
6, 5 attribuisce a Pitagora la teoria che fa derivare i
quattro elementi da quattro dei corpi solidi, mentre dal quinto, il
dodecaedro, si è formata la sfera dell’universo.
78. Timone. (In Gellio III. 17, 4; Diogene J. III. 9:
Giamblico V, p. 199 (T.C. Fil. a 8.
79. Diogene L. III., 6. (R.C. Fil. a 5).
80. Diodoro. (in fragm. 554).
81. Giamblico. V. P. 88, 246 (T.C. 5 (18) a 4.
82. A. Maddalena, op. cit. p. 46.
83. Giamblico. in Nicom. 118,
23. (T.C. Fil. a
24).
84. Schol. Plat. Phaed. 108 D (T.C. 5 (18) a 12).
85. Teone di Smirne. p. 59, 4 Hiller (T.C. 5 (18) a
13).
86. Boezio. Inst. mus. II. 19.
87. T.C. 5 (18) a 14.
88. Boezio. Inst. mus, III. 5. (T.C. Fil. a 26).
89. Porfirio. in Ptolem. V., p. 91; Proclo. in Tim. p.
189. 18; (T.C. Fil. a 25,26).
90. Proclo. in Tim. II. p. 189, 18 Dielh. . in riferimento a
Platone, Timeo 13 b – d.
91. Ezio. II. 20, 12.
92. T.C. a 18. Brano tradotto dalla Signora Maria Timpanaro
Cardini.
93. Achille. Isag. 19.
94. Ezio. ii. 20.
95. Erodoto. I. 32.
96. Erodoto. III. 129.
97. Calcidio. In Tim. p. 729
98. Anonimi londinesi. 19, 8.
99. Zeller –
Mondolfo. op. cit. II, p. 430.
LEZIONE
TERZA
PARTE QUARTA
Filolao e il mondo presocratico
Questi erano gli argomenti che Filolao
trattava nella sua Scuola di Tebe, sebbene sia
molto probabile che i suoi libri siano stati
preparati in Italia (100). Ma, come è già stato
detto, per la maggior parte dei filosofi
presocratici, la scienza era speculazione
completa intorno alla verità. Non si poteva
perciò disgiungere l’argomento scientifico da
quello etico. Anzi, la speculazione del piano
fisico non aveva altro scopo che la ricerca del
giusto modo di interpretare la vita, nè era
consentito, per tali scopi, limitarsi all’
astrazione.
Già il poeta Archiloco aveva detto che "gli
uomini hanno tali pensieri qual’ è il giorno che
Zeus adduce". (101),
intendendo che la nostra conoscenza possiede
caratteri e preferenze intimamente legati alla
nostra natura umana.
In Filolao si trova lo stesso modo di
penetrare; in un frammento di Sesto (102) è
detto:
"diceva
Filolao che essendo la ragione rivolta alla
contemplazione della natura e dell’universo, ha
con essa una certa affinità, secondo il
principio che il simile è compreso dal simile".
Per il pensiero pitagorico, universo,
natura vivente, e l’uomo stesso che li indaga
appartengono a un tutto che diventa sacro quando
è definito attraverso il simbolo della decade,
figura simbolica che esprime la misurabilità
della emanazione di Dio della quale tutte
le cose, ed anche noi stessi come genere umano,
facciamo parte.
La decade è definita, nell’alfabeto
ionico dalla serie delle prime dieci
lettere.
Esempio 1=eis; 2=duo;
3=treis; 4=téssares; 5=pente ;
6=chz ; 7 =éptà ; 8=octò ;
9=ennéa; 10=déka;
Tali numeri erano espressi con valori
alfabetici minuscoli che ora io non mi ritrovo
tutti nel computer, ma che gli studenti del
classico conoscono benissimo a memoria. Con essi
si può contare l’intero universo, anche se i
valori 20, 30, 40…fino ai multipli di mille,
sono espressi con altre lettere.
Ma l’11 è già 10+1; il 20 corrisponde a
10×2; e così via.
Altrettanto può dirsi per la numerazione
romana:
I., II., III., IV., V., VI., VII.,
VIII., IX., X.
mentre il 50, il 100, il 1000, pure con
altri simboli, possono essere costruiti con i
numeri precedenti.
Il giuramento sulla Tetraktys, sacro ai
pitagorici, era simbolizzato dalla somma:
1+2+3+4 = 10 espressione di potenza,
verità e totalità.
Al tempo dei primissimi pitagorici
doveva essere usata la numerazione attica, e si
lavorava molto con i punti. Ed è proprio
nell’auge di Filolao che viene introdotto il
numero ionico, così com’è conosciuto adesso; con
grande entusiasmo per la scoperta, anche se in
seguito il numero arabo si dimostrerà più
praticabile.
Un passo di Stobeo (103) è introdotto in
questo modo:
"Di Filolao: L’essenza
e le opere del numero devono essere giudicate in
rapporto alla potenza insita nella decade;
grande infatti è la potenza del numero, e tutto
opera e compie, principio e guida della vita
divina e celeste e di quella umana. Senza essa
(la decade) tutto sarebbe interminato, incerto,
oscuro.
Conoscitiva è la natura del numero, e
direttrice e maestra per ognuno in ogni cosa che
gli sia dubbia o sconosciuta. Perciò, nessuna
delle cose sarebbe chiara ad alcuno, ne’ per sè
stessa, ne’ in rapporto ad altre, se non ci
fosse il numero e la sua essenza.
Ora questo, armonizzando tutte le cose
con la sensazione nell’interno dell’anima, le
rende conoscibili, e tra loro commensurabili…
Ne’ solo nei fatti demoniaci e divini tu
puoi vedere la natura del numero e la sua
potenza, ma anche in tutte, e sempre, le opere e
parole umane, sia che riguardino le attività
tecniche in generale, sia propriamente la
musica.
Nessuna menzogna accoglie in sè la
natura del numero, ne’ l’armonia; il falso nulla
ha in comune con esse.
Menzogna e inadeguatezza sono proprie
dell’interminato, dell’ inintelligibile,
dell’irrazionale. Giammai menzogna spira verso
il numero, mentre la verità gli è propria e
connaturata".
Questa è la prima forma di teologia che
valorizza la conoscenza delle verità
fisiche e le unifica a quelle sulla natura
divina.
Nel senso in cui Filolao intendeva il
numero, esso ci appare sia come la
rappresentazione delle singole unità costituenti
il tutto, sia come la misura delle nostre
capacità di conoscenza, poichè è attraverso il
numero (la misurazione, l’esperimento), che noi
siamo in grado di conoscere e valutare tutte le
cose. Ed è solo in quanto esistono le entità
misurabili che noi possiamo avere pensieri
attribuibili al nostro genere.
Inteso in questo senso il numero altro
non è che il materiale che consente alla mente
di funzionare e a noi di esistere come uomini
allo interno della emanazione di Dio, della
quale noi stessi facciamo parte insieme al
tutto.
Questo è ciò che Filolao e i pitagorici
antichi definivano logo mathematico, nel quale
non è sentito ciò che usualmente vien definito
il contrasto dello spirito con la materia.
Al contrario, per esso, tutto è
unificato.
Si comprende quindi che la vita
dev’essere intesa come aspirazione all’armonia,
non più come contrasto di forze, poiché è chiaro
che, una volta simboleggiato il tutto (o la
decade, o il dieci, o l’ Uno in senso
parmenideo), nessun odio può venir concepito
verso una parte di esso.
Per questo motivo, nella morale
pitagorica, la parte, o il cosiddetto limitato,
è concepito in senso negativo come male per sé,
o causa del male.
In termini moderni, la decade è
rappresentata dalle dieci unità arabe: 0. 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, mediante le quali può
comporsi qualsiasi cifra.
A differenza della decade antica, ove il
10 costituisce un numero come agli altri, ora il
10 sta fuori della decade, ma la rappresenta
ugualmente e completamente in quanto l’uno
è l’unica cifra che, sommata continuamente a sè
stessa, può rappresentare tutte le altre, mentre
lo zero può rappresentarne un ausiliare
funzionale.
La notizia che ci dà Giamblico (104)
del ritorno di Filolao in territorio tarantino e
sulla sua dimora in Eraclea, sebbene non possa
considerarsi una vera e propria prova storica, a
me, tutto considerato, sembra attendibile.
Diels, del resto, ci crede, e il testo dello
Zeller – Mondolfo la giudica probabile. In
fondo, Filolao era tarantino, e le notizie che
dalla città provenivano dovevano essere buone;
persecuzioni di pitagorici, che forse all’epoca
dell’incendio di Crotone si erano temute, non ce
n’ erano state, ed anzi, in Taranto il
pitagorismo era sempre stato favorito. Per di
più Eraclea, colonia fondata da pochissimi anni,
poteva avere motivi per attrarlo. La democrazia
tarantina era certamente più vivibile di quella
greca, che aveva imboccato la via della
decadenza. Il desiderio di rivedere la patria,
intesa almeno come territorio italico, doveva
essere forte.
Così, Filolao tornò nella sua terra,
forse intorno al 420 a.C., nel tempo della pace
di Nicia. La propria permanenza in Tebe era
durata una ventina d’anni.
L’importanza della scuola di Eraclea non
fu minore di quella di Tebe; fra i tarantini che
Filolao poté istruire furono Eurito ed Archita.
Intorno a quest’ultimo, è più probabile
abbia frequentato una scuola pitagorica in
patria, piuttosto che a Crotone, ove una fonte
lo avrebbe voluto scampato all’incendio.
Fra Archita e Filolao vi sono in comune
molte affinità: una è l’uso del dialetto dorico,
cosa che non è priva di importanza, se si pensa
che Crotone era colonia Achea, e che i filosofi
dori della madrepatria scrivevano allora tutti
in ellenico. Quindi la comune idea della
decade (Archita aveva scritto un libro su tale
argomento); la cultura di Archita, per molti
punti, e soprattutto per ciò che riguarda
l’acustica e la matematica, non sembra altro che
la continuazione di quella filolaica (105).
Completati i suoi studi Archita si recò
a Reggio, luogo di raccolta di pitagorici verso
i quali doveva sentirsi attratto.
Al ritorno da quella città fu in grado
di occuparsi di affari pubblici e di scienza, e
di amalgamare così bene queste sue qualità da
diventare l’uomo di governo più illuminato della
Taranto antica, ed il più illustre, forse, di
tutta la Magna Grecia.
Ci piace immaginare felici gli ultimi
anni di Filolao. Apprezzato e rispettato più che
in Tebe, ov’ era un emigrato, con discepoli che
lo amavano, egli passava il suo tempo nello
studio e nella compilazione dei suoi libri
"Sulla Natura", e "Le Baccanti" (106). La vita
di Filolao probabilmente ebbe termine fra il 410
e il 390 a.C. dopo una esistenza durata fra i 65
e i 90 anni.
Intorno al luogo della sua morte,
nessuno ce ne dà notizia, e la cosa non desta
meraviglia, considerata la pessima conservazione
delle memorie di Magna Grecia nel quinto secolo.
Ne’ il suo trapasso avrebbe potuto suscitare
rumore. Morì un insegnante, un professore, un
uomo assai semplice che, tuttavia, a distanza di
venticinque secoli ha ancora qualcosa da dirci.
__________
NOTE:
100. v. note 5, 6.
101. Sesto. Adv. math.
VII., 126.
102. Sesto. Adv. math.
VII., 92.
103. Stobeo. ecl. I.
proem. coroll. 3, p. 16, 20 W. Passo
tradotto dalla Signora Maria Timpanaro Cardini
Fil. b 11.
104. Giamblico. V.P.
266.
105. Proclo. Eucl.
prolog. II. p. 66. 14; Ptolomeo.
Harm. 1, 13. Si veda : Timpanaro Cardini, opera
citata II. pag. 297 sgg.
__________
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La presente bibliografia si limita a
lavori editi prima del 1966 e non comprende le
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