7 LEZIONI DI FILOSOFIA PITAGORICA
LEZIONE TERZA
Filolao e il mondo presocratico.
1.
ENRICO ORLANDINI: Episodi e figure della Taranto classica.
Filolao.
Estratto dalla Rassegna e Bollettino di Statistica del Comune di
Taranto. Anno XXXIII. 1964. n. 1 - 12.
Venire esattamente
a capo della cronologia è impossibile poiché i documenti antichi dai
quali si deve trarre, come osservò giustamente il Mondolfo (1), non
creano una tradizione, ma si confondono, tanto che gli autori moderni
non sono meno discordi degli antichi.
La
più importante raccolta di testimonianze e frammenti sui presocratici è
stata fatta, da tempo, in lingua tedesca, dal Diels. L’opera, completata
dal Kranz (2), è giunta oggi a numerose edizioni e la sua fortuna è
tutt’altro che in declino. Sulla traccia di essa sono state composte in
Italia utilissime raccolte, fra le quali sono da menzionare quelle di
Quintino Cataudella, di Antonio Maddalena, di Angelo Pasquinelli e della
Signora Maria Timpanaro Cardini, con buon corredo di note e saggi
introduttivi sui vari autori, in particolare quello della Signora
Timpanaro – Cardini su Filolao (3).
Dalla lettura di tali frammenti e dai saggi degli autori moderni (v.
bibliografia), ci si può render conto che non è molto facile potersi
definire esatti. Basterà dire che sul nostro autore esiste una corrente
critica (4) che lo vuole non esistito, bensì inventato in epoca
ellenistica, ed anche più tardi. Corrente che è stata combattuta con
successo dalla stesso Diels, dal Mondolfo, dal De Ruggiero, dalla
Timpanaro, dall’ Olivieri, e da altri. Dispute avvengono poi intorno ai
fatti della sua vita, e si discute sulla durata del suo soggiorno in
Tebe, o se si debba considerarlo scampato all’incendio, o se sia
veramente tornato a Taranto verso la fine della sua vita, ed abbia poi
preso dimora in Eraclea, ove avrebbe insegnato ad Eudemo e ad Archita.
Nonostante ciò, il lettore non deve aspettarsi una storia confusa.
Gli autori antichi e moderni sono discordi nell’attribuire la nascita di
Filolao, e si vuole che egli sia nato in Tebe, in Crotone, o in Taranto.
Noi propendiamo per Taranto fra gli anni 480-475 a.C. e ne
daremo giustificazione in nota (5), (6). La società che, stando alla
maggior parte dei suoi studiosi, accolse la sua giovinezza, fu quella
che precedette l’introduzione in città del pitagorismo, pervasa da
un’ansia di rinnovamento che esplose nel 473 a.C. col mutamento della
Costituzione della città. Si manifestò in quel tempo il fenomeno che poi
si ripeterà ancora in secoli diversi nell’antico mondo mediterraneo e
che sempre si identificherà con la rinascita fisica, e spesso anche
morale, del popolo che lo compirà; la genesi della borghesia, ovvero di
quella classe sociale che sta nel mezzo fra il padrone e il servo, e che
spesso ha interesse personale allo studio.
Dall’epoca della spedizione di Falanto l’indirizzo politico e gli usi
della città (di origine spartana e di dialetto dorico), erano
stati tali da favorire, soprattutto nel VII e nel VI secolo a.C., la
fortuna di una classe sociale di aristocratici fondiari sulla quale si
appoggiava il potere monarchico. Le guerre di penetrazione, o di difesa,
contro le genti japige, ampliavano o riducevano i terreni coltivabili, e
impoverivano o arricchivano la città, a seconda della fortuna. Non
sembra che Taranto perseguisse altro genere di politica, almeno sino al
mutamento della propria costituzione.
Nel secolo VI a.C. inizia comunque a definirsi la classe borghese
cittadina, rappresentata da marinai, mercanti, artigiani, artisti e
intellettuali. Molto importanti risultano, da questo punto di vista,
alcuni ritrovamenti del prof. Felice lo Porto, sovrintendente a Matera
(7), i quali ci rivelano l’esistenza di una attiva vita
commerciale della città. L’importazione di oggetti d’arte e di prodotti
manufatti doveva essere compensata dalla esportazione di altri articoli,
con tutta probabilità derrate alimentari, grano, orzo, segala, miglio,
avena, olio, vino, frutta secca, ed anche animali da riproduzione,
ed altro.
La
evoluzione della società tarantina in questi primi tre secoli della sua
esistenza è dunque tipica: all’inizio espansione territoriale e messa a
coltura di appezzamenti e latifondi, per mangiare. Poi, quando la
fame è saziata, ed anzi si hanno derrate in abbondanza, queste si cedono
contro prodotti pregiati. Si agevolano gli scambi: navi giungono a
Taranto, e navi ne partono; la primitiva società patriarcale e rozza si
affina, la città si ingrandisce, comincia ad arricchirsi; il ricco
aristocratico terriero e l’oplite che combattendo ha meritato il suo
campicello, imparano a conoscere il mondo, le nuove possibilità offerte
dalla società in cui vivono, e si trasferiscono nella città.
La
popolazione aumenta, le terre non bastano a tutti, ne' il cittadino
probabilmente le desidera più. Le belle navi che giungono da Corinto, o
da Atene, e da tutte le città mercantili della Grecia, del Medio Oriente
e dell’Africa, cariche di vasellame pregiato, di monili, di stoffe, i
contatti che il mare porta con le più o meno fastose civiltà straniere
(8), introducono fra i cittadini desideri e prospettive molto diverse da
quelle di un tempo.
In
breve, l’uomo della città comincia a sentirsi più fortunato del
campagnolo legato alla terra, anche se quest’ ultimo ne è il padrone e
se schiavi lo servono.
Attraverso il mare può giungere a Taranto tutta la civiltà del mondo,
che può esprimersi, non soltanto negli oggetti, ma anche in un nuovo
fermento intellettuale. E’ questo il tempo in cui giungono Pitagora a
Crotone e Senofane di Colofone a Elea (9); la cultura ionica fertilizza
ora la futura Magna Grecia e prepara quei frutti che fra non molto si
chiameranno Parmenide, Zenone, Filolao e Archita. In questo momento si
muovono le correnti di pensiero, le filosofie, gli uomini migliori di
tutta la grecità, mutando radicalmente le condizioni di vita, il
costume, l’ intelligenza dei cittadini che ne vengono a contatto,
naturalmente con tutte le contraddizioni che poi la storia dimostrerà.
Comunque, sul momento la città si sviluppa; se navi straniere giungono
al porto tarantino, la città ne costruisce di proprie, e dal VI secolo
all’epoca della conquista romana avrà una delle flotte più prestigoose
del Mediterraneo. Se dall’estero giungono bei prodotti d’artigianato, la
città si pone in condizione di fare meglio, e fra poco avrà propri
laboratori di vasellame, alleverà pecore pregiate, sfrutterà nell’arte,
col bisso e la porpora, le risorse del mare.
Anche l’architettura della città si affinerà. Dal quinto secolo alla
conquista romana Taranto sarà una delle più belle città del mondo
mediterraneo.
Per concludere, il fiorire della città porta con sé la nascita della
classe borghese (e viceversa), In questo tempo emergono molti
personaggi che saranno nominati nel proseguire di queste righe. I più
rappresentativi fra tutti sono comunque (a parte Archita), Icco, che
rappresenta la bellezza fisica e materiale della città, e Filolao, che
incarna invece in sè i valori spirituali e intellettuali della sua
epoca.
Fra le religioni più in voga nella Taranto del tempo erano il
culto di Apollo, al quale si collegava il mito di Falanto, ovvero quello
dell’Uomo sul delfino, e l’Orfismo.
Riguardo all’orfismo, le raccolte dei frammenti mostrano passi di
Aristotele, Eliano, Taziano, Damascio, Atenagora e altri (9), dai
quali si rende evidente l’ essenza di questa dottrina: dalla
speculazione intorno ai principi del mondo si giungeva alla genealogia
degli dèi, che quindi apparivano materializzazioni di idee, o
idealizzazioni di fatti naturali veri.
In
principio erano l’acqua, e la materia sulla quale si formò, per
condensato, la terra. Il terzo principio è Crono, mentre a questi si
congiunge Ananche, la materia incorporea stendentesi per tutto il cosmo
e toccante i confini di esso,
Crono genera una triplice figliolanza; l’umido Etere, l’infinito Caos, e
l’Erebo caliginoso (10).
Naturalmente, più inesatta è la cognizione, più nebulosi e irreali sono
gli dèi che la rappresentano, e meno esatte le leggi di vita che se ne
traggono. Ciononostante l’ Orfismo genera alcuni principi morali tuttora
validi, sebbene non tutti coerenti, come l’astenersi dalla uccisioni e
la credenza in un giudizio finale, cioè della premiazione dei buoni,
della condanna dei cattivi e della necessità della purificazione.
Platone, nelle sue "Leggi" espone come orfico un principio simile a
quello del Karma, nel senso che la purificazione non avverrebbe
attraverso un giudizio finale, ma dopo un percorso terreno di molte
vite, per responsabilizzazione dello stesso soggetto vivente, del quale
si dovrebbe dedurre un corpo che si rinnova, però con un’anima sempre la
stessa, sebbene modificabile anch’ essa.
L’anima, in senso classico, era intesa come un motore, anche se
contemporaneamente come un extra corpo che poi si addosserà tutte
le responsabilità di una vita.
Da
qui il carattere filosofico del pensiero pitagorico più antico che,
superando l’orfismo, mantiene l’unità della scienza con la teologia e la
morale. Da notare che il carattere scientifico del pitagorismo era
sperimentale.
Ma
se l’orfismo degenerava in una mistica piuttosto tenebrosa che,
setacciata, concedeva ben poco oltre la fiaba, l’ esigenza di progredire
nella ricerca del vero consigliava molti giovani tarantini a prendere la
via di Crotone per istruirsi nel sodalizio pitagorico. Di costoro ci
giungono alcuni nomi: Archippo, Liside, Clinia, Filolao. E’
proprio ora, nella prima metà del quinto secolo a.C., morto ormai da
tempo Pitagora, che inizia la migrazione culturale.
Di
questo temporaneo espatrio della migliore gioventù possono vedersi
diverse cause. La prima, per quel che riguarda il periodo monarchico, la
si potrebbe considerare, ma solo in parte, come un segno di opposizione
allo indirizzo politico del Re Aristofillide e di altri, chiaramente
militaresco e ancora legato alle tradizioni spartane.
La
migrazione, che continua in periodo democratico, la si può considerare
causata dal fervore spirituale seguito al mutamento politico. In
definitiva i giovani si recavano in Crotone per educarsi e apprendere.
Fra essi erano sia aristocratici che popolari, poiché l’ associazione
era aperta a tutti i ceti.
Importante comunque, dal punto di vista storico, è osservare che
l’educazione contribuì certamente ad affinare la borghesia ed a
permettergli di sostituire, nel governo della città, la vecchia
aristocrazia. Un processo analogo vedremo ugualmente compiersi nella
Roma repubblicana, sebbene in maniera più lenta, dopo secoli di lotte
popolari (11).
Più o meno intorno al 460 a.C. Filolao, secondo il nostro testo,
si reca in Crotone. Possiamo immaginarlo giovane, ricco di entusiasmo e
di speranze, affascinato dal pensiero della vita che lo avrebbe atteso e
dalle cose che avrebbe imparato (12).
Il
viaggio dovette avvenire quasi sicuramente per mare. La rotta era
facile, percorsa quotidianamente da battelli dalle diverse forme e
nazionalità.
Tenendosi alle spalle la stella polare, e inseguendo la rosseggiante
Antares, o al dì volgendo la prora verso il centro dell’arco percorso
dal sole (se non costeggiando), in meno di una ventina d’ore si giungeva
a Crotone. La via di terra sarebbe stata certamente più faticosa e
lunga, anche per il forzato attraversamento di molti centri abitati.
Giunto nel sodalizio, Filolao dovette essere ammesso a far parte dei
novizi.
La
comunità pitagorica possiamo immaginarla come una via di mezzo fra una
università ed un convento. I novizi erano sottoposti a prove per essere
valutati nella loro preparazione e nello spirito d’obbedienza; si
osservava la loro condotta e si assumevano informazioni intorno alla
loro famiglia. Lo scopo era scoprire le loro tendenze, per indirizzarli
allo studio delle scienze o alla vita pubblica, oppure per conseguire i
misteri (Hegel) (13).
Soltanto per questi ultimi era poi prescritto un noviziato di 5 anni nei
i quali era loro prescritto il silenzio, inteso come proibizione a
parlare di argomenti di scuola..
Tale suddivisione di indirizzi può servire a spiegare, in parte, alcuni
aspetti contradditori del pitagorismo.
Le
fonti, o perlomeno gli autori neoplatonici e gli altri che ce ne parlano
(14) descrivono il sodalizio in modo da farcelo apparire quasi una
comunità di mistici studiosi vestiti d’abiti di bianco lino, intenti,
come moderni monaci benedettini, a distribuire il lavoro e la
meditazione nelle varie ore della giornata (15). D’altro canto
conviene osservare, come è stato anche notato dal prof. Detienne nel
quinto Convegno di studi sulla Magna Grecia, che fonti più vicine al
sodalizio mostrano un altro aspetto del pitagorismo, quello che, per
fare un esempio, ci sorprende quando leggiamo in Diodoro (16) che
furono proprio i pitagorici a promuovere la guerra sanguinosissima (e
spietata per i vinti) contro Sibari, o quando apprendiamo
dell’affogamento di Ippaso, o quando sorprendiamo la comunità in mezzo a
volgari beghe coi ciloniani per la ripartizione delle terre e dei frutti
della vittoria, o anche quando li vediamo organizzare squadre militari
in Lucania, o nel Bruzzio, durante i tentativi di riprendere il
sopravvento in Crotone.
Cilone era il capo della fazione democratica – popolare in Crotone,
rispetto alla quale i pitagorici potevano essere considerati
aristocratici.
Intorno al 440 a.C., età sulla quale la critica è sufficientemente
concorde nell’ attribuire la data dello incendio del bund e della grande
persecuzione che mandò esuli i pitagorici da quasi tutte le polis
italiote (17), Filolao è un uomo nel fiore delle proprie forze
intellettuali e fisiche. Ha probabilmente fra i 35 e i 40 anni, si è già
formato una cultura vasta e una maturità intellettuale che lo innalza
parecchio sui propri colleghi.
Il
fatto che egli non poteva essere troppo giovane quando migrò verso Tebe
ci è mostrato dai suoi scritti, per i quali Aristotele lo definì
Studioso italico. E del resto lo vedremo molto meglio, fra poco.
Se
Filolao si fosse recato in Tebe giovinetto, l’influenza italica nella
sua cultura sarebbe stata meno evidente (e sarebbe forzoso
spostare ancora in direzione del IV secolo la grande persecuzione),
mentre a ritardare troppo la partenza di Filolao da Crotone si corre il
rischio di farne un contemporaneo di Archita. E vedremo che la cosa non
è possibile, poiché Archita compie dei passi avanti rispetto al nostro,
sia per quanto riguarda la interpretazione di alcuni problemi musicali,
sia per la geometria. E certo ha ragione Cicerone (18) quando definisce
Filolao il maestro di Archita. In più, c’è il viaggio di Platone in
Italia, che giunge per conoscere Archita, e secondariamente Eurito
(discepolo di Filolao), mentre del nostro non ricerca che i libri (19).
Quando Filolao lascia Crotone per recarsi, dopo molte peripezie (20) in
Tebe, è già uno studioso maturo, bene in grado di dirigere una scuola,
di manifestare la sua spiccata personalità nella cultura del proprio
secolo.
La
distruzione della comunità pitagorica, la grande tragedia vissuta,
devono avere influito profondamente sulla sua personalità. Gli scampati
meno compromessi negli avvenimenti se ne saranno chiesti un
perchè, e Filolao avrà sicuramente meditato su essi, ricercandone le
cause profonde. Ciò anche se non si ammette (Boeck) che egli sia
scampato all’incendio, e anzi, se non si riconosce proprio che egli sia
vissuto in Italia, cosa, tuttavia, molto difficile da provare.
Per quante colpe si possano attribuire ai ciloniani, al loro demagogismo
e alla loro brutalità, certo è che una direzione settaria aveva portato
il bund ad una eccessiva politicizzazione provocando
l’isolamento scientifico ed inquinando la speculazione sul sacro.
Più tardi, autori neoplatonici e neopitagorici di epoca romana ci
daranno un quadro forse per nulla esatto della struttura ideale del
pitagorismo.
Tesi in uno sforzo competitivo con i cristiani, dei quali volevano
imitare i metodi, essi fecero di Pitagora un personaggio mitico, al
quale miracoli e fatti straordinari sarebbero stati usuali (21).
____________
NOTE:
1. Zeller – Mondolfo. La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico.
La Nuova Italia, Firenze, 1938, p. 369 sgg.
2. H. Diels. Die fragmente der Vorsokratiker. I. Berlin,
1903. L’ edizione rinnovata del Kranz è la quinta e risale al 1935.
3. M. Timpanaro – Cardini. I Pitagorici. Testimonianze e
frammenti. La Nuova Italia Firenze, 1962. Filolao. Saggio introduttivo.
4. La discussione sulla autenticità de frammenti di
Filolao è stata da tempo conclusa dal Mondolfo sulle note al testo dello
Zeller (op. cit. 1), e ad essa rimando il lettore che già non la
conoscesse.
In breve, tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nostro si
sviluppò la polemica culturale sull’argomento. Contro l’autenticità
scrissero l. Bywater, il Burnet, il Doering, il Covotti (La filosofia
nella Magna Grecia e in Sicilia. Pisa, 1901), lo Heidel, il Tannery (A
propos des frgs. philolaiques sur la musique. 1904. Mem. sc. III, 220
sgg.) e altri, mentre favorevoli erano il Bauer, (der alt Phytag. Bern,
1896), l’Olivieri (Osservazioni sulle dottrine di Filolao, 1921), il
Rostagni e il Reinhardt (Parmenides). Fra i massimi oppositori
dell’autenticità furono il Frank, in sfavore del quale è scritta tutta
la critica del Mondolfo, e lo Cherniss. (Aristotles criticism).
Uno degli argomenti sui quali si basavano i demolitori era che si
dovesse considerare anacronistico l’uso fatto da Filolao del dialetto
dorico (Burnet, Bywater), il quale non apparirebbe ancora negli
scrittori dorici dell’età di cui si tratta, tutti fermi all’uso
dell’ellenico. Ma se noi che abbiamo una certa dimestichezza con la
storia particolare di Taranto consideriamo che l’uso del dorico era
proprio di Archita, e se pensiamo che in dorico parlava e scriveva
tutta la città, allora non ci meraviglieremmo più di vedere Filolao
scrivere in questo dialetto.
Del resto, ho proposto come valida la permanenza di Filolao in Eraclea
italica, colonia tarantina e turina, (Gamblico, 266), appunto basandomi
su tale fatto, supponendo perciò che i libri di Filolao siano stati
scritti verso la fine della sua vita, come dimostrerebbe sia la
completezza della dottrina, che rivela derivazioni italiche e greche,
sia il fatto, se si deve credere a Diogene L. VIII, 84, quando scrive
che Platone dovette cercare i suoi libri anche in Sicilia, ma non in
Tebe o in Atene.
Del resto, che la critica del Mondolfo abbia ormai detto l’ultima parola
è ormai comunemente ammesso, come rilevano anche Charles Lloyd e lo
Heath.
Naturalmente, occorre considerare le numerose testimonianze presentate
dal testo Diels – Kranz, accuratamente scelte fra quelle ritenute
autentiche, e tutte le altre traduzioni seguite ad esso Per la
esecuzione del presente lavoro mi sono perciò attenuto a un
giudizio critico ritenuto comunemente valido.
5. Che Filolao sia nato in Taranto viene ammesso da molte fonti
(Laurenzio Lidio De mens II. 12), Vitruvio, I. 1, 16; Cicerone de orat.
III, 34, 139; Diogene L VIII, 46; Giamblico Vita di Pitagora, ad
eccezione di un passo di Diogene Laerzio, (VIII, 84), smentito
peraltro dallo stesso in VIII 46 in un luogo che proviene da Aristosseno
e che perciò è comunemente ritenuto più attendibile. Lo stesso accade in
Giamblico, che giudica Filolao crotoniate in 148 e tarantino in 267.
Molto importante è, a questo riguardo, considerare che Filolao scriveva
in dorico, al pari di Archita. Se si considerano autentici i suoi
frammenti (ed almeno per ciò che riguarda l’astronomia dovremmo averne
le prove), allora, se uno degli argomenti più solidi contro l’
autenticità era offerto dalla considerazione che, in fondo Platone e
Aristotele nulla avevano detto meno di quanto poi scrissero neoplatonici
e neopitagorici. Si può rilevare, anche in questo stesso testo, che
riguardo all’astronomia non era esattamente così, poiché nè Aristotele,
nè Platone, avevano forse valutato perfettamente il valore del sistema
filolaico se si ammettono autentici i frammenti, ripeto, come sembra
ormai riconosciuto.
Si deve ammettere che in quell’ epoca nè un crotoniate, nè un
tebano avrebbero scritto in dorico, mentre un tarantino sì, come
dimostra Archita. A questo riguardo mi sono attenuto sia alla opinione
espressa nel testo dello Zeller – Mondolfo, sia a quella del Boekh (Philol.
p. 5 sgg.) e alla opinione della Signora Maria Timpanaro Cardini e a
quella di Sir Thomas Little Heath dell’Università di Oxford.
Alberto Fiori in Le città della Magna Grecia. Roma, Priviteri, 1965, a
pag. 125 scrive: (Filolao) da alcuni erroneamente chiamato tarantino, in
realtà nacque a Crotone verso il 470 a.C., senza dare altre spiegazioni.
6. Riguardo alla data di nascita di Filolao, per individuarla
approssimativamente, ritengo si debba prendere in considerazione il
fatto che egli non poté andarsene da Crotone, nè troppo giovane, nè
troppo vecchio. Non giovane perchè le fondamenta della sua cultura sono
fin troppo evidentemente crotoniate, particolarmente per ciò che
riguarda l’astronomia, l’acustica e la fisiologia.
Filolao non dovette lasciare Crotone in venerabile età, sia perchè i
frammenti che lo vogliono scampato alla persecuzione (Plutarco, De gen.
Socr. 13; Olimpiodoro, Phaedon p. 8 sgg.; lo descrivono giovane (una
simile attribuzione era considerata accettabile sino a 40 anni), sia
perché le proprie derivazioni dalla cultura di Grecia sono anch’esse
molto forti. Tutto considerato penso si possa ritenere abbastanza esatta
l’età di 40 anni per il trasferimento di Filolao in Tebe. mentre lo
scioglimento forzato del sodalizio lo si ritiene avvenuto poco prima del
440 a.C., periodo intorno al quale la critica è abbastanza concorde.
A tale conclusione arriva anche lo Zeller seguendo un testo di Plutarco
De gen. Socr. 8, 13. Se dunque si ammette che a quel tempo Filolao
avrebbe potuto avere una quarantina d’anni, se ne può dedurre con buona
approssimazione, che il nostro dovrebbe essere nato intorno al 480 a,C.,
ed essere più vecchio di Socrate e Democrito.
7, Lo Porto F, G, Tombe arcaiche tarentine con terrecotte ioniche.
Bollettino d’arte XLVII n. 2-3 1862, pp. 153-170. – Anfora attica a
figure nere con scena di aucupio dalla necropoli di Taranto. Bollettino
d’arte XLVIII n. 1-2 1963, pp. 18.22. Inoltre: Gli scavi sull’Acropoli
di Satyrion. I. Premessa storica. Bollettino d’arte XLIX n. 1.
1964. pp. 67-80.
8. Erodoto III, 136-137.
9. Aristotele Metafisica A 6, 1071 b, 26; A 3, 983 b 27. Eliano,
Varia historia VIII, 6; Taziano, p. 41, p. 42, 4. Damascio, de princ.
124.
10. Esposizione della teologia orfica di Jeronimo e di Ellanico ap.
Damascio 123 bis.
11. Livio IV, 41, 4 sgg.
12. Nella nota 24 a Il trionfo di Icco Rass. Com. XXXII 1-12
1963, avevo calcolato la partenza di Filolao da Taranto a prima del
mutamento della costituzione cittadina. Penso però si potrebbe dire
anche contemporanea, o appena successiva.
13. Per questa interpretazione mi sono attenuto ad Hegel G.G.F. Lezioni
sulla storia della filosofia. La Nuova Italia, Perugia, Venezia, 1930,
p. 224 sgg. Nuova edizione, 1963.
14, Diogene Laerzio VIII 8, 56, IX. Isocrate Busiride 28. Proclo
In Eucl. 65. Clemente alessandrino Strom. I, 62. Porfirio, Vita
di Pitagora.
15. Gianblico V.P. XXI, 100. Diogene Laerzio VIII, 22.
Porfirio 40.
16. Diodoro 9,2.
17. vedi nota 6.
18. Cicerone, De orat. III, 34, 139.
19. Diogene L. VIII, 84. Gellio, III, 17,4. Giamblico V P 199.
Zeller – Mondolfo, op. cit. p. 367 sgg.
20. Plutarco, De genio socr. 13, p. 538. A.
21. Apollonio, Eliano, Porfirio e Diogene Laerzio (periodi
alessandrino e romano imperiale) raccontano che Pitagora era la
reincarnazione di numerosi illustri personaggi trascorsi. Di lui si
scrisse che uccise con un morso un serpente velenoso (quindi che
predisse l’incendio del sodalizio, e che, mentre percorreva le sponde di
un fiume presso Metaponto, udì una voce sovrumana che lo salutò ponendo
in grande spavento i suoi accompagnatori.
Noto è che Pitagora possedeva il dono dell’ubiquità (Apollonio, Mirab.
6), sicchè veniva visto spesso in luoghi diversi alla medesima ora. Una
volta, in teatro, si sollevò le vesti lasciandosi ammirare una coscia
d’oro. E’ chiaro che un tale modo di presentare il pitagorismo, come il
concorrente di una religione, provocò, inevitabilmente, la sua
scomparsa, nonostante esso fosse ancora popolare in epoca
rinascimentale, come dimostra Leonardo da Vinci. (vedi le sue "novelle"
in questo stesso sito).
LEZIONE
TERZA
PARTE SECONDA
Filolao e il mondo presocratico.
La descrizione della dottrina e della intelligenza di
Filolao sarà divisa in due parti. Nella prima saranno
presentate le sue intuizioni di astronomia, aritmo –
geometria, acustica, ottica e fisiologia; la seconda sarà
dedicata al suo concetto etico della vita, alla decade e
alla esposizione dei suoi principi morali.
Sarà bene riepilogare brevemente il succedersi delle
scoperte e intuizioni astronomiche dei greci sino al quinto
secolo a.C., allo scopo di comprendere bene il valore del
sistema filolaico che sarà presentato.
Le prime intuizioni astronomiche greche delle quali siamo a
conoscenza, appartengono alle scuole ioniche del settimo
secolo a.C.
Secondo Talete, il grande astronomo noto dai testi di
Erodoto per avere preannunciato l’eclisse di sole
dell’estate 610 a.C., al tempo di Ciro il Grande, la
terra è piatta come una tavola che galleggia sull’acqua
(22).
Un tale errore
non impedì la esecuzione di interessanti misurazioni, come
quella dell’ intervallo fra solstizio e solstizio, quella
dell’anno, che fu diviso in 365 giorni, 12 mesi e 4
stagioni. Calcolò Talete la grandezza del sole e quella
della luna, relativa alle loro orbite (23). Insegnò ai
naviganti a servirsi dell’ orsa minore, costellazione che
permette di osservare la stella polare (24).
Mise l’acqua a principio del tutto.
Secondo Anassimandro, dall’ infinito generatore nacque
una sfera di fiamma la quale, spezzatasi e separatasi in
cerchi, diede origine al sole, alla luna e
ai
pianeti (25).
E’ questa una ipotesi sull’origine del sistema solare che,
alla luce delle nostre conoscenze, resta una delle più vere.
La rappresentazione del sistema è geocentrica, e la
forma della terra è quella di una colonna di marmo (26)
sovrastata dalla calotta del firmamento. Ciò a simiglianza
delle esperienze visibili: guardandoci intorno dall’ alto di
un colle, o sulla superficie del mare, scorgiamo il circolo
dell’orizzonte, sicché potrebbe sembrare, se non avessimo
cognizioni più approfondite, di starcene proprio sulla
estremità di un cilindro piantato in verticale.
Il sistema di far procedere la scienza per osservazioni del
reale sempre più approfondite, deve considerarsi corretto.
Scoperte e misurazioni importanti dell’epoca sono tuttavia
la scoperta dell’esistenza del polo (mediante la stella
polare), lo gnomone (27), la divisione del giorno in 12
parti e la constatazione della obliquità dell’ellittica. Ad
Anassimandro viene attribuita la prima tavola della terra
conosciuta (28). e, secondo Simplicio (29) la misurazione
della grandezza apparente del sole e quella della luna, e la
loro distanza, mediante lo studio delle eclissi.
Per Anassimene ogni cosa è originata dall’aria, intendendo
con questo nome anche ciò che molto più tardi sarà definito
etere cosmico.
La terra ne è ferma nel mezzo, e il cosmo si muove intorno
ad essa come una mola di mulino (30). Le stelle sono ignee,
conficcate nel cielo come chiodi (31).
Degna di nota è la intuizione che la luna riceve la propria
luce dal sole, e la scoperta che lo stesso giorno dell’anno
aveva una durata di luce diversa, dipendentemente dalla
latitudine (32); quest’ultima scoperta favorì notevolmente
la successiva constatazione della rotondità della terra.
Per Anassimene, comunque, la terra è ancora di forma piana
(33).
Diogene d’Apollonia, suo discepolo (34), fu un convinto
assertore della sfericità della terra, che però non
distaccò dal geocentrismo.
Al suo nome sono legate alcune osservazioni molto
interessanti:
Tutte le cose – egli dice – hanno origine dall’uno, poiché
il caldo può divenire freddo, l’asciutto umido, e così via
(35). Tale considerazione lo pose a dare un
significato etico alle proprie scoperte, definendo, con
Anassagora, l’esistenza del Nous, ovvero di un principio
d’intelligenza universale suo proprio.
Per dire tutto in breve – egli afferma – a me sembra che
tutte le cose esistenti siano per alternanza del medesimo
che si trasforma e muta (36). A questo principio egli
attribuì intelligenza.
Non potrebbe – aggiunge – distribuirsi se non avesse
intelligenza, in modo che ci sia per ogni cosa una misura,
per l’inverno e per l’estate, per la notte e per il giorno,
per le piogge, per i venti e per il sereno (37).
La Scuola di Elea conobbe la sfericità della terra grazie a
Parmenide (38), probabilmente più tardi di quella di
Crotone. Anzi, se si ritiene Parmenide discepolo del
pitagorico Aminia, come è probabile (39), può darsi che
questa conoscenza sia giunta a Elea grazie ai rapporti con
gli studiosi del sodalizio.
Ezio, Diogene e Strabone scrivono di Parmenide come di un
astronomo serio, che non si limitava alle congetture. Di lui
si dice che osservò gli astri Espero e Lucifero, scoprendo
che si trattava dello stesso corpo celeste (il pianeta
Venere), e che divise la terra in cinque zone: l’artica e
l’antartica, le due temperate, e la zona torrida (40).
Comunque, la scuola pitagorica aveva già effettuato una
analoga divisione della volta celeste (41).
Quando Pitagora giunge a Crotone porta con sè la conoscenza
della sfericità della terra.
Riepilogando, abbiamo visto che già le ricerche di
Anassimene sulla diversa durata del giorno avevano preparato
la scienza greca a tali risultati.
Al gruppo di Ippaso si deve la constatazione, del resto non
originale, che l’universo è in perpetuo movimento, ma
soltanto con le scoperte di Alcmeone si preparano le
successive costruzioni filolaiche. Al crotoniate Alcmeone si
deve infatti la importante osservazione che i pianeti
presentano un moto apparentemente ritardato rispetto a
quello delle stelle fisse (42), e vedremo in seguito che
questa indagine risulterà importantissima per la costruzione
della teoria pirocentrica di Filolao.
Quest’ultimo, infatti, toglierà la terra dal centro
del sistema planetario e porrà le basi per le più esatte
concezioni eliocentriche di Aristarco di Samo e Copernico.
Si noti che in epoca presocratica le cognizioni scientifiche
si susseguono le une alle altre ordinatamente, per
progressione, così come avviene oggi, e che raramente si
notano recessioni. Ricorda il Sambursky che la storia della
scienza moderna, caratterizzata da una organica successione
cronologica, non trova riscontro nella scienza greca,
slegata e individualista. Però ciò avviene con, e dopo
Aristotele.
"Alcune idee di
Aristotele, ad esempio, seguono un passo indietro rispetto a
quelle dei primi atomisti, giacché hanno impedito lo
sviluppo di alcuni principi validi contenuti in tali
dottrine"
(Sambursky (43).
Se questo accade nei lunghissimi secoli che vanno da Socrate
a Galileo, con le eccezioni splendide, ma isolate, della
scienza dell’età ellenistica, bisogna pur riconoscere che,
nei presocratici, anche tra scuola e scuola, esistevano
interdipendenza, organicità, continuazione di pensiero e
progressione di risultati.
Sulla traccia delle scoperte alcmeoniche ci giungono le
deduzioni di Ippocrate di Chio intorno alla natura delle
comete. Secondo questo autore si deve riconoscere la
dipendenza delle comete (o della cometa) dal sistema
planetario. Soltanto che, invece di risolvere il problema
supponendo un’orbita molto grande (ciò che permise, ad es. a
Halley e ad Encke di pronosticare esattamente le
frequenze delle apparizioni delle loro), egli dedusse che la
cometa si trovava talmente vicina al sole da apparire
invisibile per lunghissimo tempo. Ciò egli affermava a
similitudine di quanto accade al pianeta Mercurio, raramente
percettibile con mezzi ottici normali, o allo stesso pianeta
Venere, l’astro più luminoso del cielo, però visibile
soltanto nei brevi intervalli crepuscolari
mattutino e serontino.
La luminosità dei componenti la cometa si attribuiva a
rifrazione di raggi solari, teoria che, tutto sommato, non
si discosta molto dalle conoscenze attuali (44).
Aristotele ricorda (45) che il ritardo della cometa sarebbe
avvenuto in prossimità dei due circoli polari. Tale ritardo,
già constatato da Alcmeone nei pianeti, faceva sì che il
moto apparente di questi (e della cometa) dovesse
considerarsi retrogrado.
Questa era la base delle cognizioni astronomiche greche al
tempo di Filolao.
Al nostro studioso va il merito di averle di molto ampliate
e migliorate.
La concezione astronomica di Filolao comprende, in breve,
per prima, il moto della terra. Anche se il sole non è
ancora collocato al centro del sistema, e se il suo posto è
occupato da un invisibile fuoco, non vi è dubbio che questa
concezione spinge avanti, nel modo giusto, il progredire
scientifico. Soprattutto se si considera, che, nonostante le
scoperte di Aristarco di Samo, si dovette giungere al XVI
secolo dopo Cristo per ottenere una teorizzazione (con quali
contrasti tutti sappiamo) di eliocentrismo.
Maggior merito acquistano le considerazioni di Filolao se si
constata che esse costituiscono la logica conseguenza delle
scoperte astronomiche sino a quel momento avvenute, in
particolare delle scoperte sul moto ritardato dei pianeti, e
degli studi, che si perfezionarono sempre più, intorno alle
eclissi di sole e di luna.
Proprio per giustificare le eclissi la scuola di Filolao
mise un astro accanto al fuoco centrale e lo chiamò
Antiterra.
Questa Antiterra, primo dei pianeti del sistema
pirocentrico, era invisibile dalla terra, perchè, secondo le
cognizioni dell’ epoca, soltanto l’emisfero boreale era
abitato. L’ altro emisfero volgeva all’antiterra, con la
quale la terra era in congiunzione, e l’antiterra volgeva al
fuoco.
Le distanze della terra e dell’ antiterra dal fuoco erano
relativamente piccole, e ciò, come informa Aristotele (46)
per minimizzare l’errore di parallasse che, secondo il suo
giudizio, avrebbe dovuto rendersi evidente nel caso la terra
non si fosse trovata al centro.
Vedremo che, a parte la determinazione della parallasse
equatoriale della luna, dovuta a Ipparco, dovremo giungere
addirittura a Henderson, in pieno XIX secolo, o perlomeno al
1662, con la determinazione della parallasse solare, per
ottenere misurazioni soddisfacenti in questo settore.
Si noti quindi che non si poteva ancora parlare di
rivoluzione della terra intorno al sole, così come la
conosciamo noi oggi. Si parlava allora di rivoluzione della
terra e dell’ antiterra a fianco del sole. Rivoluzione che
la terra eseguiva velocemente, essendo vicina al fuoco
centrale, sicchè in un intero giorno essa perdeva il sole
(che eseguiva la propria rivoluzione intorno al fuoco assai
più lentamente (essendo più lontano), e lo riguadagnava
all’alba nel modo indicato nella figura.
E’ da rilevare che qui il sole è considerato fermo, e che le
grandezze non sono, ovviamente, proporzionali alle distanze.
In effetti il moto del sole intorno al centro doveva
produrre uno sfasamento, ovvero un ritardo rispetto al moto
apparente delle stelle fisse. Tale ritardo, se non poteva
essere osservato a occhio nudo di giorno, dato che la
luminosità del sole cancella la luce di riferimento delle
stelle, era tuttavia rilevabile nei pianeti che, al pari del
sole, erano interessati alla rivoluzione intorno al fuoco
centrale.
Il moto retrogrado era già stato osservato, come abbiamo
visto, nel sodalizio crotoniate.
Filolao dunque trae logiche conclusioni dalle osservazioni
dei suoi predecessori, e sulla base di esse postula una
teoria di sistema astronomico avanzato.
Si noti che, come la constatazione delle diversa durata del
giorno a differenti latitudini aveva avuto come conseguenza
la consapevolezza della sfericità della terra, in modo
analogo la scoperta del moto apparentemente più lento dei
pianeti avrebbe dovuto condurre la scienza al ripudio della
concezione geocentrica.
Il moto retrogrado era comunque spiegato con
supposizioni molto arbitrarie: alcuni ritenevano che i
pianeti rallentassero la loro corsa in corrispondenza dei
poli, altri, come gli astronomi Eudosso e Callippo, seguiti
da Aristotele, che eseguissero strani movimenti di rotazione
di sfere concentriche.
Filolao, in definitiva, si rese conto del valore della
scoperta di Alcmeone e compì il primo passo nella direzione
giusta. Per concludere, il suo sistema comprendeva, oltre
all’antiterra, terra, luna e sole, anche i pianeti (in
ordine di vicinanza dal sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove
e Saturno, quindi i cielo delle stelle fisse (47). Non è ben
chiarito se Filolao attribuisse movimento al cielo delle
stelle fisse, ma sembrerebbe di no, perlomeno in senso
relativo ai pianeti.
Se si eccettua la parentesi eliocentrica di Aristarco di
Samo (che ebbe, comunque, assai poco seguito nella sua
epoca), dovranno passare oltre duemila anni prima che il
mondo sia reso in grado di postulare un sistema astronomico
più progredito. Teofrasto riferisce che Platone, da vecchio,
si pentì di non avere teorizzato il fuoco centrale (48).
Il numero totale dei corpi celesti compresi nel sistema di
Filolao, assomma a dieci (compresa la sfera delle stelle
fisse), ma se ad essi si aggiungono il fuoco centrale e la
cometa, la decade scompare, e qui appare inutilmente
polemica la critica di Aristotele (49) nella quale i
pitagorici italici sono accusati di pregiudizio. Cioè,
secondo lo stagirita, si sarebbe costruito un sistema
planetario di dieci corpi, soltanto per contemplare la
decade.
Anche Aristotele, comunque, opponeva un concetto valido per
quell’epoca, ed era la famosa questione della parallasse,
che, vedremo, potrà essere risolta soltanto dopo l’
invenzione del cannocchiale.
Si sapeva, all’epoca, che, essendo la terra sferica, un
angolo di parallasse si sarebbe dovuto poter misurare almeno
nei corpi celesti vicini, come la luna, il sole e i pianeti,
e abbiamo visto che Aristarco, in epoca ellenistica, tali
misurazioni le compì. Però, la negazione che uno spostamento
parallattico potesse rilevarsi dalla osservazione delle
posizione delle stelle fisse rimase, fino a Galileo, il
principale argomento di opposizione a tutti i sistemi
diversi da quello geocentrico.
In conclusione, è da escludere che il sistema astronomico
di Filolao presupponesse la conoscenza della precessione
degli equinozi; scoperta che si deve ad Ipparco di Nicea
(190 -120 a.C.).
La base scientifica sulla quale si fondava Filolao era
semplicemente quella del moto ritardato dei pianeti.
Censorino, nel "De die natali" 238 d.C. informa che il
grande anno di Filolao comprendeva 59 anni e 21 mesi. L’anno
solare sarebbe invece stato composto di 364 giorni e mezzo
(50).
Riguardo alla natura della luna e del sole, secondo Filolao
la prima sarebbe formata di sostanza terrosa, e simile al
nostro pianeta (51), anzi, il nostro autore giunse a
supporre che fosse abitata. Riguardo alla natura del sole,
secondo la testimonianza di Ezio (52), Filolao lo
intenderebbe formato di materia vitrea porosa capace di
assorbire il calore del fuoco cosmico e diffonderlo.
La Timpanaro-Cardini (53) ricorda Schiaparelli, il
quale riteneva che, nella concezione filolaica, il sole
dovesse assorbire anche la luce invisibile del fuoco
centrale.
Naturalmente, la scienza ha bisogno di un adeguato sussidio
di strumenti pratici, senza i quali non le è possibile
sapere se le deduzioni che si raggiungono sono esatte e
riproducibili.
__________
NOTE:
23. Diogene L. VIII 1, 22.
24. Suida. Schol.
Platonis in temp 600 A (ex Hesych).
25. Plutarco. Strom. 2l
26. Ezio II. 10, 2.
27. Strumento adatto a determinare il tempo
cronologico. Il corrispondente del latino Solarium. E’
questo il più semplice e primitivo orologio possibile. La
sua forma è data da una punta infissa a stilo su un
piano orizzontale, all’aperto.
28. Agathemer, I, 1.
29. Aristotele. De caelo 471, 1,
30. Ezio. II, 2, 4;
31. Teone di Smirne. p. 198, 14 Hill.
32. Plinio. N. H. II. 186.
33. Ezio. III, 10, 3.
34. Diogene L. IX, 57.
35. Aristotele. De gen. et con. A 6, 322
b.
36. Simplicio. Phis. 151, 28.
37, Traduzione di Antonio Maddalena.
38. Diogene L, VIII, 48; Ezio. III, 15, 7.
39. Diogene L, IX, 21-23.
40. Strabone, I. 94.
41. Ezio, II, 12, 1.
42. Ezio, II. 13, 2-3 (T.C. 8 (24) a 4).
43. Samburski S. The phisical word of the
Greeks. London.
1956. Trad. ital. di Virginia Geymonat. Feltrinelli,
Milano, 1958, p. 121
44. Olimpiodoro. ad h. 1.
45. Aristotele. Meteorolog. A 6, 342 B 29.
46. Per una recente traduzione italiana del De caelo
di Aristotele, si veda Longo O. Aristotele. De caelo,
(traduzione e note di O. Longo. Sansoni, Firenze, 1962.
Si vedano inoltre: Mondolfo R. Aristotele, antologia,
Commento e glossario a cura di Domenico Pesce. La Natura,
pp. 71-104. La Nuova Italia, Firenze, 1955.
Schiaparelli G. Origine del sistema planetario
eliocentrico presso i greci. Memorie del R. Istituto
Lombardo di Scienze e lettere 1896, p. 61, sgg. – I
precursori di Copernico nell’ antichità. Idem,
XII 1873.
47. Timpanaro-Cardini. Filolao.
48. Teofrasto, in Plutarco, Quaest. Plat. VIII, 2.
49. Aristotele. De caelo, B 13, 293 a. (T.C. a 16 b).
50. Riguardo a questo argomento riporto una nota della
Timpanaro – Cardini, op. cit. p, 178:
"Il grande anno di Enopide (56 anni) fu adottato da Filolao,
il quale calcolava l’anno solare in 364 giorni e mezzo. In
tutto si avevano 25.505 giorni e mezzo ripartiti in 729
lunazioni di 29 giorni e mezzo ciascuna. Con queste si
formavano 38 anni comuni di 12 lune e 21 anni intercalari di
13 lune. La 13^ luna era il mese intercalare di Censorino.
Questo calcolo non era molto esatto, infatti Enopide dava
all’anno solare 365 giorni, cosa nota anche in Egitto, e i
pitagorici dovevano saperlo. Schiaparelli (Precursori p.
375) dice che in 59 anni si contengono 2 rivoluzioni di
Saturno, 5 di Giove, 31 di Marte, 59 del sole, di Mercurio e
di Venere, 729 della luna.
51. Ezio. II. 39, 1. (T.C. Fil. a 10).
52, Ezio. II. 29, 12. (T.C.Fil. a 19).
53, op. cit. II. p. 173.
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