7 LEZIONI DI FILOSOFIA PITAGORICA.
LEZIONE SECONDA
PARTE PRIMA
Giustificazione e sviluppo dei più importanti principii
originali del pitagorismo.
Abbiamo imparato dalla prima lezione il carattere di due
insegnamenti nuovi che Pitagora apprese dalla civiltà egiziana del
proprio tempo, e che modificò a suo genio nell' insegnamento in Crotone:
Il primo, la sacralizzazione della emanazione; col che, senza
copiare le storie e i culti della religione egiziana, egli diede a tutta
la propria cultura un carattere religioso unicamente libero.
Per "emanazione" si intende l' insieme dell' universo fisico,
materiale e vivente.
Il concetto di sacralizzazione della emanazione giustificava
allora lo spirito della tetractys (la
potenza dei primi quattro punti della numerazione attica), dalla quale
nel quinto secolo a.C. derivò, con Filolao, la sacralizzazione della decade,
ovvero delle prime 10 lettere della numerazione ionica, con le quali la
emanazione stessa avrebbe potuto essere misurata.
Il giuramento sulla sacra tetractys rimase
valido nella memoria dei pitagorici rimasti, sino, credo, al giorno d'
oggi. Di fatto scomparve dalla cultura delle città della Magna
Grecia da dopo che, morto Archita, la Magna Grecia stessa si confuse
nella potenza di Roma.
Il secondo fra gli insegnamenti principali che Pitagora portò a
Crotone, riguardò la introduzione dell' Orfismo.
Il quale, sebbene non approfondito nel proprio culto religioso,
partecipò a pieno titolo nella filosofia; e qui, come vedremo, ebbe
grandissima importanza.
I pitagorici infatti, come già appreso nella prima lezione,
continuarono liberamente nei sacrifici agli dèi, ma attribuirono alla
individualità umana NON un carattere di gerarchia permanente, ma un
valore "DI PASSAGGIO".
Per cui la vita nella emanazione, iniziata dalla animalità,
avrebbe potuto rinnovarsi (non solo mediante continui perfezionamenti,
ma anche regressi) sino a tornare nella mente di Dio, dalla quale era
nata. L’ ultima fase della transizione sarebbe stata quella umana.
Il tema, se si toglie la narrazione canonica dell' Orfismo, che
è più complessa e mitologica, ha rapporti con il
buddhismo, anch' esso nato nel sesto secolo a.C.
La differenza utile ai nostri scopi, però rimane quella fra religione e
filosofia.
L' orfismo in realtà arrivò in Grecia nel sesto secolo a.C., e
quindi, in Mesopotamia avrebbe
dovuto essere nato prima; sennonché la storicizzazione delle religioni è
sempre stata un tema complesso e spesso irrisolvibile, ed affrontarlo
ora non servirebbe alla buona comprensione della nostra lezione.
Certo entrambi, orfismo e buddhismo, sono autonomi, e nessuno
oggi sostiene fra essi scambi diretti al loro inizio.
Ciò che adesso vogliamo esaminare è la conseguenza logica, diciamo l' apporto storico e psicologico dei due temi trattati: l' emanazione e la mentalità orfica.
1. Conseguenza logica del concetto di "emanazione".
2. Conseguenza logica della mentalità orfica. ...
1. Conseguenza logica del concetto di "emanazione".
Il termine "emanazione" non compare, in effetti, nelle
traduzioni dei pitagorici primi; compare primamente in Plotino, che
certamente conosceva il pitagorismo, non foss'altro dall' opera di
Porfirio, e interpretò con tale vocabolo il tutto fisico (la materia
svelabile alla tetraktys) che, attraverso la sacralizzazione del
giuramento i pitagorici riconoscevano.
Ciò è affermato sia dalla Timpanaro Cardini che dall' Abbagnano,
il quale, nel suo "Dizionario", ne scrive in riferimento alla voce
"Tetraktys".
Il termine "emanazione", che usò anche Spinoza, è già
quindi la rappresentazione di un universo sacralizzato per sé, e ci
riporta al discorso su Dio.
La interpretazione di Dio nella filosofia pitagorica è
diversa da quella delle religioni monoteiste, ed anche da quella delle
religioni politeiste.
Non esiste, infatti, una figurazione di Dio, o degli dèi.
Esiste la potenza di Dio autore della emanazione. Un Dio però
sconosciuto.
Diviene quindi possibile una interpretazione materialista dello
spirito della emanazione stessa.
Sarebbe anche possibile una interpretazione atea della
emanazione, ma sarebbe come affermare: - il mondo non esiste, noi non
esistiamo. - E' infatti, nella logica individuale dell' ateismo, la
convinzione che, per noi, nulla esisterà più dopo la nostra morte
personale; se pur rimarranno gli eredi.
E’ difficile attribuire un valore morale alla continuazione del
mondo, se si è convinti che nulla esisterà più dopo la nostra morte. Per
questo motivo i modi di intendere l’ ateismo sono infiniti: esso può
giustificare qualsiasi tipo di comportamento morale.
Ciò che conduce tutti i pitagorici a credere in Dio è il
giuramento sulla Tetraktys,
ovvero la sacralizzazione che essi fanno della emanazione.
Ciò consente ad essi morale sufficiente a giustificarsi nel
mondo, in quanto essi vivono nel Dio totale e libero, cosa che non è
concessa ad alcuna religione, le quali sono limitate tutte da un canone;
ovvero, NON da un
rapporto intimo e libero fra l' uomo e Dio, bensì da un rapporto che
passa attraverso una gerarchia.
Si può perciò affermare che dove Dio non sarà totale, anche la
morale sarà limitata.
Ciò dà ai pitagorici ragioni sufficienti a credere in Dio
riconoscendo in esso una logica consequenziale, sia interpretandolo come
forza universale della materia, che dello spirito. Secondo l’ indole
intellettuale di ognuno.
2. Conseguenza logica della mentalità orfica.
Si deve ricordare che il pitagorismo è una filosofia che accetta
qualcosa dalla religione orfica, ma non ammette i lacci che tutte le
religioni pongono.
L' unica cosa infatti che rende giustificabile la vita e
restituisce a Dio giustizia e bontà è la credenza nella trasmigrazione
delle anime, cosa affermata nell' Orfismo, senza che qui se ne ricerchi,
come appena scritto, il culto.
La trasmigrazione delle anime parte dalla mente di Dio, e torna
in essa alla fine del viaggio.
Ciò può essere accettato o meno da chi si aspetti prove
scientifiche; costringe però la filosofia pitagorica ad accettare la
conseguenza logica della interpretazione del gerarchismo inerente la
vita umana intesa nella sua individualità.
Perché una cosa è essere persone gerarchizzate in eterno, altra
cosa è attribuirsi una facoltà di percorso.
Chi fa del male dev' essere punito sulla terra, non nel Cielo,
ciò perché non si può attribuire alla giustizia celeste lo stesso
carattere che alla giustizia terrena.
Io non mi sono chiamato a nascere, quindi devo credere in un Dio
giusto, responsabile e totale; non ingiusto e parziale per il quale la
salvezza è una fune sottile che devo attraversare tra fiamme e diavoli
sottostanti che non aspettano altro che di vedermi cadere.
E poi, cos'è questa salvezza? La possibilità di felicità eterna
per alcuni e di dannazione eterna per altri? Tanta grettezza può
appartenere solo a una mente umana.
Non voglio dilungarmi molto su questo tema, ne' cercare
citazioni su libri sacri; ma è chiaro che la morale parziale delle
religioni attuali, non potendo conquistare il mondo (fingendo di
proporselo), persegue soltanto lo scopo di spartirselo a fini di comando
e controllo, a spese della libertà nostra.
Lezione 2^ -
PARTE SECONDA
Giustificazione e sviluppo dei più importanti
principii originali del pitagorismo.
Premessa:
Il
percorso filosofico del Nuovo Pitagorismo
fonda le sue radici su quello antico, che noi
riteniamo ancora capace di buona linfa.
Come scrisse l'Autore della voce "Pitagora di
Samo" dell'Enciclopedia Vallardi ed, 1952:
"La
concezione matematica dell'universo ci appare,
prima ancora che come un sistema, come una
grandiosa intuizione la quale rappresenta, nella
storia del pensiero antico, come un indice di
nuove esigenze speculative e una fonte di nuovi
problemi e interessi spirituali; e come tale
doveva esercitare influssi e suggestioni
profonde, non solo nel pensiero filosofico
posteriore, ma anche nella vita stessa dei
greci…"
In coerenza, il nostro discorso ha inizio dal
pitagorismo delle Scuole post – crotoniate,
delle quali le più note sono quelle di Filolao
in Tebe e di Teodoro in Cirene.
Si tratta di fermare l'attimo storico sul
momento della scoperta del numero espresso in
caratteri ionici, verso la metà del quinto
secolo a.C., che consentì la chiarificazione
della religiosità pitagorica e la sua
purificazione dall' Orfismo che, comunque,
proprio in quanto ridotto alla propria
essenzialità (la metempsicosi) avrà ancora
importanza per definire ciò che diremo con
questo scritto.
I.
Filolao.
L' entusiasmo che suscitò in Filolao la nuova
tecnica di calcolo, fondata sulle lettere greche
universali, è espresso in questo frammento
tradotto da Maria Timpanaro Cardini già citato
da noi nella lezione terza, (parte quarta) di
"Filolao", del quale rammentiamo il primo
periodo:
"Di Filolao": L'
essenza e le opere del numero devono essere
giudicate in rapporto alla potenza insita nella
Decade. Grande, infatti, è la potenza del
numero, e tutto opera e compie, principio e
guida della vita divina e celeste e di quella
umana. Senza essa (la decade) tutto sarebbe
interminato, incerto, oscuro".
Ciò sarà molto importante per chiarire lo
spirito del Nuovo Pitagorismo e ci servirà, in
seguito, a comprendere anche il problema
platonico.
II.
L’
"emanazione".
L' atomismo, proprio come lo comprendiamo noi
oggi, affiancato alla dottrina morale
della "decade" pone in rilievo due aspetti della
realtà fisica.
Si tenga conto che il pitagorismo
anticipò, in un certo senso, già nel sesto
secolo a.C., l' atomismo, attraverso l' uso
della misurazione a punti.
Da una parte, il campione minimo del tutto
universale è materializzato nell'atomo e non
pone differenza tra la nostra conoscenza
"filosofica" del medesimo e quella che ne
avevano Democrito, Leucippo, Epicuro e gli altri
atomisti antichi. Tutto si riduce al quanto di
materia più piccolo possibile dal quale si sono
formate tutte le forme atomiche, che poi
sarebbero diventate connessioni molecolari
materiali e viventi di altre forme, dalle più
semplici alle più complesse. Si veda il nostro
file "Scienza", di Rocco Fedele.
Ieri tale conoscenza era soltanto teorica
e intuitiva, oggi possiamo costruire la bomba
nucleare, mentre la conoscenza della unità della
materia non è più una ipotesi, ma un limite
scientificamente raggiunto.
Dall'altra parte, il campione massimo del tutto
è materializzato nell'intero universo, ovvero
nella totalità della emanazione. Tutto ciò è
intuibile anche da noi moderni e conduce a
pensieri trascendenti meritevoli di essere
considerati col dovuto rispetto.
Pensieri che, verso la fine del sesto secolo
a.C. furono anticipati dalla Scuola di Elea.
III.
La Scuola di Elea.
Si espresse in Magna Grecia e in Grecia
successivamente all'Orfismo, la importante
religione misterica contenuta nei riti
eleusini. Dall' Orfismo il pitagorismo più
antico trasse la prima giustificazione alla
necessità della purificazione umana attraverso
la trasmigrazione di più vite che,
evidentemente, prevedevano una sola anima che le
percorresse.
Ciò esigeva il corredo di una metafisica
giustificativa e di una cosmogonia sviluppata su
piano artistico, che includesse la necessità di
un peccato originale comprendente la caduta dal
Cielo di un'anima già beata che lo rinnegasse, e
la necessità della successiva purificazione
umana.
Orfeo era, si dice, sacerdote di Diòniso, ma di
quest' ultimo i pitagorici non raccolsero il
culto, e nei loro frammenti non si accenna mai a
danze orgiastiche, se non, forse, interpretate
in senso materno o di allattamento.
La Scuola di Elea fu, come si è scritto,
posteriore all' Orfismo e, secondo noi, influì
più di esso nel giustificare la credenza nella
trasmigrazione delle anime in più corpi fisici,
sia nelle scuole pitagoriche post – crotoniate
del quinto secolo, sia nella filosofia di
Platone.
Ne abbiamo i massimi rappresentanti in Parmenide
e Zenone, sui quali ci informa, appunto, Platone
nei propri "Dialoghi".
La Scuola di Elea, attraverso la teorizzazione
dell' "Uno" introdusse in filosofia il parametro
"Verità".
La "Verità", in questo senso, è quella parte del
sapere che non può subire modifiche. Ciò,
naturalmente, deve avvenire per logica
dimostrativa, non per coercizione morale, o
fisica. Ad es. in natura, un sasso può essere
modificato, ma non un triangolo rettangolo, o un
numero. Chi studia Platone deve cominciare da
qui.
Parla Parmenide:
– "Orbene, io ti dirò, e tu ascolta
accuratamente il discorso: quali sono le vie di
ricerca che sole sono da pensare; l'una, che "è"
e che non può che non sia, e questo è il
sentiero della Persuasione (infatti, segue la
Verità) l'altra che "non è" e che è necessario
che non sia, e io ti dico che questo è un
sentiero del tutto inaccessibile, infatti non
potrebbe aver cognizione di ciò che non è
(poiché non è possibile) ne' potresti
esprimerlo…" -
Il punto "che non è possibile che non sia" è
quello della Verità.
Verità che viene rappresentata, idealmente, da
una sfera racchiudente in sè l'intero universo
(l'emanazione), il quale, nel proprio insieme di
materia e di vita è l' "Uno".
Si può chiarire questa posizione ricordando che
Cicerone nel "De
natura deorum" giudicava
la sfera delle stelle fisse quale realtà
perfetta assimilandola alla dimora delle
divinità, opinione già propria dei sacerdoti di
Atena al tempo di Socrate, sostenuta molto più
tardi, in epoca cristiana, da Simplicio nel "De
caelo".
Non si deve comunque attribuire alla Scuola di
Elea alcun errore di forma. E' vero,
Parmenide si pone "dalla parte degli dèi", però
sostiene una verità dialettica durevole. La
scienza, in quel tempo, aveva questo carattere.
A rigore, la sacralità pitagorica (la decade)
potrebbe identificarsi nell'Uno, anche se ciò
non è espresso esplicitamente. Però, con la
differenza che, mentre la sfera parmenidea
permane al limite, al confine dell'universo, l’
emanazione sprofonda sulla terra, ovvero nei
luoghi ove, in senso eleatico, la Verità non
dovrebbe aver forza di entrare se non nelle
forme matematiche e geometriche “eterne”
comprensibili al genere umano.
L'uomo pitagorico, tuttavia, è un uomo di
scienza e persegue la Verità dimostrata, che lui
umanamente trova nel numero e in tutte le forme
geometriche sulle quali l' indagine deve
fermarsi, perchè "così è".
IV.
Eraclito.
Nella Scuola di Elea l' Essere perfetto era
rappresentato come una sfera priva di
imperfezioni, completa nello spazio e nel tempo,
e identica in ogni sua parte.
Ciò poneva una cesura tra la perfezione teorica
e la separazione delle cose limitate, la cui
distanza era stata rafforzata dai paradossi di
Zenone, secondo i quali l' esistenza della
verità temporale sarebbe stata dialetticamente
indimostrabile.
Il carattere della scienza presocratica era
pertanto religioso.
Matematica, geometria, astronomia, meteorologia,
musica, tutte realtà da scoprire per le verità
che racchiudevano in loro stesse, oppure da
ritenersi insostituibili strumenti di misura.
Tutto il resto, (medicina, architettura,
falegnameria, scultura, pittura…) era arte
sottoposta alla perfezione, o imperfezione,
umana, ove si poteva essere bravi o cattivi
esecutori, non scopritori di cose esistenti "di
per sè stesse".
La filosofia rimaneva ambigua, un po' scienza,
un po' moralismo, e ne fa fede Epicuro, atomista
e moralista insieme.
Sull'altro versante gnoseologico (quello della
ricerca sulle cose "passanti") rimane tuttavia
eminente la figura del filosofo Eraclito, che
precorse il periodo storico–critico che stiamo
attraversando, che finirà con la "vittoria" di
Aristotele su Platone
Eraclito di Efeso (540 – 480 a.C.), sacerdote di
Artemide, ebbe un carattere di studioso che oggi
si potrebbe definire moderno, rispetto agli
altri studiosi qui nominati (compresi i
pitagorici, per il giudizio sui quali si dovrà
arrivare in fondo alla lettura).
Egli indagò la natura e intuì la formazione
della terra dalla "sfera di fiamma" o dal fuoco,
cercando poi di indovinare le mutazioni avvenute
durante il corso del suo raffreddamento.
A differenza degli altri, fu scienziato "del
mutamento", conosciuto per il suo motto "tutto
scorre", ("panta rhei"), quindi, in opposizione
alla Scuola di Elea, e in parte a quella
pitagorica, indagò il "limitato", cosa che, in
seguito, lo avvicinerà esemplarmente ad
Aristotele.
V.
La metempsicosi.
Ogni studioso che tratti problemi molto antichi
(che non riguardino la Bibbia) deve imparare a
sbagliare da sè.
Così io ora sostengo che a influenzare i
pitagorici, ed anche Platone, dal quinto secolo
in poi non fu l'Orfismo, ma la Scuola di Elea.
Filolao non poteva intendere la sua imperfezione
umana come un peccato da dover espiare, ma come
naturale ignoranza, e la sua aspirazione doveva
essere quella di liberarsene. Ora, la Scuola di
Elea gli dava il modo di definire il punto al
quale era giunto e poteva arrivare.
Se però la sfera di Parmenide rappresentava una
espressione di verità (come la decade, come la
emanazione in sè, come l'intero universo…), non
si poteva negare che, dentro la sfera, ove il
tempo inesorabilmente scorreva, dove la morte
era obbligatoria per tutti, la Verità era
tutt'altro che a portata di mano.
La Verità in quel tempo, sia dalla Scuola di
Elea che dai pitagorici, oltre che "vera", era
intesa anche come buona e giusta, così come
avrebbe dovuto, per coerenza, esserlo Dio.
Per raggiungerla, pertanto, si trattava di
superare un ostacolo (non di scontare una pena),
ed era evidente che, per ottenere ciò, una vita
non sarebbe bastata.
VI.
L' Accademia
Per una rapida comprensione dei temi riguardanti
l'Accademia platonica e Platone stesso,
consiglio ai non professionisti la lettura
del testo: "Quindici lezioni su Platone", del
prof. Mario Vegetti (Giulio Einaudi 2003) e
"Platone" (Mondadori 2008), reperibile anche
nelle edicole. Per un approfondimento maggiore,
consiglio sempre le biblioteche e,
secondariamente, Internet.
L'Accademia fu fondata da Platone verso il 387 -
385 a. C., all'interno del giardino pubblico
ateniese dedicato all'atleta Accademo, insieme a
un tempietto dedicato alle Muse entro il quale
Platone stesso fu deposto quando morì, nel 347
a.C.
Nella fase storica che interessa il nostro
discorso, il pitagorismo finì con la morte degli
ultimi caposcuola, fra i quali il più celebre fu
Archita, che intervenne a salvare Platone
dalle proprie avventure siracusane.
Successivamente al terzo viaggio, numerosi
furono i pitagorici che parteciparono, dalla
parte di Dione, alle lotte contro Dionisio II.,
nelle quali scorse anche parecchio sangue.
Sia Dione che Dionisio il giovane erano stati
allievi di Platone e morirono di morte violenta,
come narrano Plutarco (Dione 22) e Diodoro
Siculo (XVI 6 – 91).
La figura di Platone è sempre stata discussa in
senso culto, entro i suoi "Dialoghi", ma fu
controversa, in toni anche molto severi, per i
suoi scritti posteriori, la "Repubblica" e le
"Leggi". Suscitò, come è noto, la riprovazione
di Kant, e ancora oggi, da alcuni, la
"Repubblica" è considerata un testo di
criptocomunismo.
In ogni modo Platone non fu ne' un Licurgo, ne'
un Solone, i quali legislatori seppero dare alle
loro città quelle particolari impronte di
originalità civile che le caratterizzarono per
secoli.
Atene, prima della vantata democrazia (che fu,
comunque "democrazia degli antichi") praticò,
molto più di Sparta, una politica da "piccolo
impero", che fu biasimata da Pericle.
Sparta, sino ad un certo momento storico, fu una
buona monarchia provvista di contrappesi legali
efficienti. Guerriera, ma difensiva (a parte la
invasione della Messenia).
Dopo la guerra del Peloponneso tutto degenerò ed
anche Sparta (vincitrice), proprio per questo
motivo, imboccò la via della decadenza.
Platone, si pensa, anche quando avesse ottenuto
successo a Siracusa, avrebbe prodotto, al
meglio, una tirannia illuminata, con troppe
leggi obbliganti, anche perchè il naturale della
città era diverso.
VII.
Aristotele.
Fu discepolo di Platone, membro dell'Accademia
dalla quale si distaccò fondandone una per conto
proprio, che intitolò col nome "Scuola
peripatetica".
Indagò su tutto lo scibile esistente
raccogliendo anche molte notizie di natura
storica sui pitagorici, delle quali si occupò la
Signora Maria Timpanaro Cardini lamentando
la perdita di numerosi frammenti.
Ne cito brevemente uno:
Aristotele (Metafisica A 5, 985. Cfr. T.C. pit.
3°).
"I filosofi chiamati pitagorici, essendosi
applicati allo studio delle matematiche, per
primi le fecero progredire e, approfonditisi in
esse, si formarono l'opinione che i loro
princìpi fossero i princìpi di tutte le cose
esistenti. E poichè dei princìpi matematici i
primi sono per natura i numeri, e nei numeri
essi credevano di scorgere molte somiglianze con
ciò che esiste e diviene, più che nel fuoco, o
nella terra, o nell' acqua, così, ad es. una
certa proprietà dei numeri era per loro
giustizia, un' altra anima, o mente… vedendo poi
che, in ogni cosa tutta la natura sembrava
assimilarsi ai numeri… furono indotti a supporre
che gli elementi dei numeri fossero elementi di
tutte le cose esistenti, e tutto quanto il Cielo
fosse armonia e numero…"
E pur muovendo perplessità per un tipo di sapere
che lui non condivideva nel metodo, mostrò
sempre grande rispetto di tale cultura antica e
rimproverò a Platone di manipolarla e
confonderla.
Per ciò che interessa il presente file,
Aristotele fu, soprattutto, un filosofo di
stampo moderno che indagò le scienze naturali
anticipandone e favorendone il futuro progresso.
Dopo di lui la cultura del mondo prese strade di
natura diversa da quelle battute dalla cultura
precedente, la quale noi oggi chiamiamo
"presocratica".
La
collocazione gnoseologica di Aristotele, dal
punto di vista pitagorico lo accosta ad
Eraclito, distinguendolo dagli studiosi eleatici
e pitagorici proprio per il carattere della sua
scienza, rivolta alla indagine sul "limitato".
Vegetti riferisce che, comunque. anche
nell'Accademia si eseguirono le prime indagini
tassonomiche su vegetali (cavoli e simili) per
stabilirne eventuali differenze di forma e
scoprire variazioni che in futuro sarebbero
state definite "famiglie", "generi", "specie".
Se teniamo per fermo lo spartiacque "Aristotele"
(invece di "Socrate"), allora potremmo dividere
la storia della cultura occidentale in pre e
post ellenistica, cosa, del resto, che fu già
proposta in Germania nell'inizio del '900 (v.
note a Filolao, 1.).
VIII.
Ricapitolazione.
Converrà comunque fare una breve ricapitolazione
del momento culturale entro il quale, in quel
tempo, si trovava il mondo.
La Scuola di Elea ed il pitagorismo del quinto
secolo a.C. introdussero nella cultura
occidentale il concetto dialettico, e poi la
prova geometrico – matematica della esistenza -
nella intelligenza del mondo - del parametro
"Verità" che entrambi sacralizzarono nelle
ipostasi dell' "Uno" e della "Decade".
Platone ne fu toccato e ne trasse la propria
"visione del mondo" che divideva la realtà in
una parte "vera" e in un'altra "illusoria" dalla
quale trasse la sua "dottrina delle idee" che io
qui non mi azzardo a riassumere.
In breve, si realizzò allora che la mente umana
è capace di trattenere in sè – insieme –
concetti di forme astratte e nello stesso tempo
concrete e calcolabili, indifferenti al tempo e
allo spazio.
Ciò però cozzava con l'idea popolare del
"divino", che allora era identificato attraverso
la idealizzazione di uno o più personaggi
superumani buoni o cattivi, o entrambi,
che in genere sovrintendevano alla vita di uno
Stato, di una città, di una etnia, di una o più
tribù.
Il concetto giustificatore di tutto il
paganesimo pre elllenistico era questo:
– Nasce l'erba? – C’è un dio sottoterra che
spinge per farla crescere.
– Cade la pioggia? – C'è un dio che provvede a
ciò.
– E' morta una persona? – Ci pensa Persefone.
Si dava cioè la partecipazione (il governo) di
un dio ad ogni miracolo naturale.
E così via, con una straordinaria produzione
artistica proveniente, oltreché dal clero, da
cantastorie ambulanti che ritroviamo nella più
alta poetica greca, ad iniziare da Omero, per
finire con gli amici nei banchetti di Socrate, e
con Socrate stesso quando, nell'ombra di un
salice, improvvisava le sue preghiere al dio
Pan.
Gli dèi, in quel tempo, eravamo noi stessi,
offrivamo loro, attraverso sacrifici, tutto ciò
che avremmo voluto desiderare per noi stessi,
chiedendone in cambio un favore corrispondente.
Naturalmente, tutto fu sempre regolato dal clero
professionale, perchè, lasciata libera a sè
stessa, la mente umana chissà quali guasti
avrebbe potuto combinare.
Dei filosofi? Zeus ce ne scampi.
Così, quando Aristotele si mise a fare ricerche
sul "limitato", ogni diffidenza provvisoriamente
si calmò, e la civiltà umana cominciò a prendere
una strada diversa.
Siccome però i filosofi pre - ellenistici
continuavano a tenersi le loro ragioni anche
dopo morti, si proseguì, nel popolo, a vivere
come si viveva prima, ovvero, privi di Dio ma
desiderosi di esso, in una continua
contraddizione esistenziale.
Intendo: se Dio c'è, e noi siamo tutti suoi
figli, resi tali dal riconoscimento della
emanazione comune che ci ha creati, allora la
mancanza diretta, con lui, di un dialogo,
sebbene non cancellava l'idea di Dio dal mondo,
rendeva tuttavia tutto il genere umano
contraddittorio a sè stesso.
Ciò perchè dai vecchi filosofi Dio non era
personalizzato, ma inteso soltanto per la
propria potenza. Ora, però, i vecchi filosofi
erano morti, e Aristotele non si curava di Dio,
ma del "limitato".
Che cosa intendeva Diogene il cinico quando
affermava: – Cerco l'uomo?
Perchè i pitagorici ritenevano che ci volesse la
successione di più vite per ottenerlo?
La concezione pitagorica dell'uomo era
armonica ed equilibrata. Tutto ciò, a nostro
avviso, è fondamentale per la comprensione della
cultura occidentale dal periodo post ellenistico
ai giorni nostri.
Dispersa l'Accademia (dal punto di vista
pitagorico), il concetto armonico di
"uomo–umanità" si perse in favore di "uomo
reale", concreto, unico responsabile di sé
stesso,
Questo piace di più, non c'è dubbio, ma
sottintende una complicazione negativa:
Ripensando al noto incidente capitato a Talete,
potremmo concludere: non soltanto guardando in
alto si può cadere nel fosso, ma anche guardando
in basso si può andare a sbattere contro un
palo.
In breve, la terra non fu più considerata un
passaggio ideale attraverso un "limitato" solo
percorrendo il quale il genere umano, nato
selvaggio, avrebbe potuto tornare a Dio.
Si possono idealizzare almeno due
momenti storici che possono essere considerati
"centrali" per il trapasso dal vecchio al nuovo
nella cultura dell’ Occidente, e
sono: la scissione
dell'Accademia platonica, realizzata da
Aristotele, e la rivolta dei paggi di Alessandro
Magno, episodio che evidenziò tragicamente il
problema della doverosa genuflessione al Re.
Non aggiungo le date, che sono scorrevoli e
potrebbero interessare anche altri episodi,
secondo altri studiosi; ad esempio Socrate che
però, secondo me, morì troppo presto.
Da quel momento, passata la metà del quarto
secolo a.C., tutta la cultura dell'Occidente,
che prima era libera di esprimersi (almeno
a livello culto) dovette da ora inchinarsi tutta
al potere assoluto.
Aristotele mai ebbe l'intenzione di
fare dimenticare al mondo il pitagorismo. Anzi,
lui rimproverò a Platone la contraddittorietà ad
esso, e la Signora Maria Timpanaro Cardini
lamentò la perdita di scritti aristotelici molto
importanti dai quali avrebbe potuto trarre
frammenti utili.
Dopo gli avvenimenti quivi descritti
il pitagorismo non avrebbe potuto avere più
ragion d'essere proprio in quanto il suo valore
"uomo–umanità" stava scomparendo dalla cultura,
sostituito dal valore "uomo–totalità di sè".
L'uomo moderno, sia grande che piccolo,
diventava ora responsabile della propria
nascita e della propria morte; giocava
tutte le sue carte nel corso di una sola
vita, della quale doveva rendere conto per
l'eternità dei secoli.
L'uomo grande e l'uomo piccolo diventavano "essi
stessi", non più "di passaggio", e ciò è stato
tutt'altro che privo di conseguenze storiche,
sia civili che religiose.
Ripeto, da ora in poi Dio continuerà a vivere
ugualmente nel cuore degli uomini, ma sempre in
maniera contraddittoria.
Le grandi religioni monoteiste non sono nate da
indagini di filosofi, o di scienziati
tranquilli, ma da grandi battaglie, come quelle
sostenute dai Maccabei, quelle di Maometto, ed
anche Gesù, ammesso che sia storicamente
dimostrabile, è arrivato a noi a seguito di una
grande tragedia personale.
Per la storia, morto nel 363 a.C. l' imperatore
Giuliano, la religione di Stato nell' Impero
Romano fu rifondata dagli imperatori cristiani
Graziano e Teodosio mediante l' Editto di
Tessalonica (380) e i Decreti teodosiani (391),
indegni del peggior basso impero; che
provocarono la distruzione di tutti i templi
pagani, le note stragi di Alessandria e quelle
sconosciute di tante altre città, fra le quali,
molto probabilmente, anche Milano.
Vorrei chiarire: la discussione su Cristo c'è,
ed io non vorrei ignorarla, pertanto giudico
questa la migliore posizione da prendere: il
cristianesimo esiste e, filosoficamente la
responsabilità della sua esistenza va data agli
evangelisti (siano nati quando si vuole), dei
quali personalmente io ne riconosco il valore
etico.
Al tempo della battaglia di Ponte Milvio
(Costantino) nell'impero romano almeno tre
religioni si contendevano il favore
dell'imperatore (chiunque fosse) e quindi il
potere assoluto; quella cristiana, quella di
Mitra, quella militare di Ercole.
Più tardi, l'imperatore Giuliano avrebbe potuto
riabilitare la vecchia tradizione, ma morì
durante una spedizione militare in Persia ancora
nel pieno delle sue forze.
Si parla molto dell'imperatore Giuliano e del
neoplatonismo rappresentato in quel tempo da
Plotino. Non starò qui a discuterlo, però si
deve accettare che tutto sfumò nella "religione"
dei misteri, soprattutto per responsabilità di
Giamblico, filosofo preferito, al tempo, dallo
stesso imperatore Giuliano.
E non possiamo dare a Giuliano fiducia di uomo
al di sopra del proprio tempo, quando lo vediamo
compiere, per propiziarsi la guerra persiana, un
sacrificio di cento buoi.
Alla fine, sarebbe interessante teorizzare il
risultato: e se in Roma fosse rimasto lo Stato
senatoriale repubblicano? Senonché queste sono,
per esperienza, operazioni inutili, da non
farsi.
Delle falsificazioni "misteriche" del
neopitagorismo, non ne scriviamo.
Giudico il lettore di questo sito abbastanza
colto da non avere bisogno di esempi storici che
gli dimostrino la contraddittorietà morale del
mondo, intendo, sino ai tempi d'oggi.
CONCLUSIONE
Noi continuiamo a sostenere che, dalla fine
della seconda guerra mondiale, l'etica della
vita umana è stata modificata strutturalmente
dal grande sviluppo della tecnologia che ha
comportato le conseguenze della bomba
termonucleare, della internazionalizzazione del
capitalismo, della aumentata velocità della
comunicazione umana, sia tecnologica che
antropica.
Tutte cose che hanno prodotto profondi
cambiamenti su usi e costumi dei popoli, creando
purtroppo anche grande disorientamento, prodotto
dal fatto che, se sino a ieri il mondo aveva
accettato di vivere nella contraddizione, oggi
non lo può più, sia per i grandi pericoli che
corre, sia per essere ancora troppo diviso,
conseguenza dell'aver rinunciato alle radici
della propria cultura filosofica, che non è solo
un prodotto dell'Occidente (anche se le grandi
scuole filosofiche presocratiche certamente lo
sono).
Però, se si vuole discutere di cultura umana,
allora le radici sono molto più profonde e
riguardano tutte le più antiche civiltà del
mondo, in confronto alle quali l'Occidente è
bambino.
Ribadiamo la nostra convinzione dell'utile che
ne avrebbe l'umanità a recuperare la cognizione
di Dio, dimostrabile in senso totale, dialettico
e libero.
Per chiarire: fuori dalle costrizioni religiose
attuali, che sono mondiali, ma riflettono
interessi di gerarchie limitate.
Confido che,
almeno l'apporto dato alla civiltà dalle grandi
Scuole presocratiche, fisiche e morali, sia
riconosciuto attuale, e utilizzato.
Enrico Orlandini, 16 gennaio 2010.
FINE DELLA SECONDA LEZIONE
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