VIAGGIO

 

VERSO IL PIANETA OMEGA

 

 

 

 

 

 

un racconto di Rigo Camerano

 

 

 

I.

 

La mia ultima ora di vita sulla Terra sta per concludersi : appollaiato sulla sommit� di una duna sabbiosa della profonda spiaggia prospiciente il mare di Metaponto, attendo l�astronave che mi porter� via. Poco di luce intorno, salvo la brace del mio sigaro e la luna ; e freddo, nonostante la favorevole stagione : sono le tre del mattino. Smetto di fumare : adesso, nell�aria, solo odore di posidonie spiaggiate e rosmarino.

I miei primi contatti con gli abitatori del pianeta Om�ga risalgono ad una decina d�anni, quand�essi comunicarono ai terrestri il desiderio di visitarli. Ma il primo tentativo si risolse in un tragico fallimento, in quanto gli astronauti omeghiani, discesi dal loro apparecchio, morirono dopo appena alcune ore, infettati dalla sola vicinanza dei terrestri che erano giunti a dar loro il benvenuto. Per questo motivo quell�incontro fu tenuto assolutamente segreto.

Gli omeghiani, almeno cos� si dice, possiedono una civilt� pi� antica della nostra, sono riusciti a ottenere la ottimizzazione definitiva della circolazione arteriosa e, (almeno entro il loro pianeta) a rendere i loro corpi inattaccabili dai batteri nocivi; per la qual cosa vivono pi� lungamente di noi, anche se, per contrappasso, fuori del loro ambiente sono vulnerabili a tutti i germi che noi tratteniamo e che servono a immunizzarci dai piccoli attacchi.

Dopo quel primo fallimento se ne andarono, lasciando soltanto una piccola catena spaziale di trasmettitori coi quali si ripromettevano di rimanere in contatto. Ma anche questa possibilit� ben presto si perse, sia per insufficienza tecnologica di entrambi i pianeti (le distanze sono troppo grandi e i ripetitori si disperdevano), sia perch� i messaggi che, sempre pi� raramente, provenivano da Om�ga, non uscivano ormai pi� dai laboratori specializzati ed erano considerati segreti da tutti i governi.

Devo perci� alla intraprendenza del mio amico Leonello, un assistente universitario in fisica, se sono riuscito, personalmente, a stabilire una comunicazione con il lontano pianeta.

Che cosa mi abbia indotto a chiedere insistentemente di visitarlo, non saprei dire con precisione; non certo il fallimento della mia vita, e nemmeno l�assenza di un sostegno affettivo. La mia inguaribile tendenza all�illusione, legata alla constatazione della mia insufficienza d�uomo, questo s�,  e fors�anche il desiderio di veder raddoppiata la durata della mia vita.

Gli omeghiani hanno posto condizioni precise e abbastanza severe : la pi� impegnativa fra queste � che non potr� mai pi� ritornare, poich�, quando sar� completamente liberato dai microbi, il contatto con i terrestri mi ucciderebbe. Nonostante tutto ho accettato, poich�, avendo ormai superato i quattro quinti della mia esistenza, e avendo fallito nelle occasioni importanti, non mi riconosco prospettive, e gi� la presente � un�opportunit� superiore a tutte le mie speranze.

Porto con me una sola valigia, voluminosa, contenente vestiario, ma assai poco in oggetti dimostrativi della civilt� della Terra. Due soli libri (gli omeghiani ne sanno abbastanza di noi, grazie alla recepibilit�  dei nostri mass media), niente denaro, n� cartaceo n� in moneta, a parte i miei risparmi in oro. Dentifricio, spazzolino, collutorio, un po' di tabacco e il minimo per sbarbarmi ; praticamente nient�altro.

Mi aspetto che l�astronave mi si avvicini in orizzontale dal nero limite della notte : discende, invece, direttamente dallo zenit, col portellone basso gi� spalancato, il quale m�inghiotte in meno di una frazione di secondo, stroncandomi dall�ambiente terrestre quasi mi fossi tirato un colpo di pistola.

Quando mi riprendo � come se fosse, ormai, la mia sola anima a vivere : l�astronave � assai pi� piccola di quanto immaginassi, non pi� di un nostro aerobus ; tondeggiante come da prassi, vagamente somigliante a una raja marina, o a una sogliola.

Da una parete della piccola hall disadorna nella quale mi trovo, si apre una feritoia bassa quasi a livello del pavimento, e da l� un raggio arancione illumina il suolo delineando un percorso. Intuisco che quella  � una strada che dovrei seguire, penso, per portare il meno possibile di microbi a bordo.

Mi accorgo soltanto ora di avere agito senza vera coscienza della enormit� del mio gesto, e solo ora che il portellone si � chiuso avverto il panico.

- Che faccio qui ? - Ma ormai � tardi : posso solo farmi coraggio. Leonello, che � sulla strada, ad un chilometro di distanza, ripartir� con la mia automobile, ormai sua.

- Non lascio figli, n� moglie, e neanche un appartamento mio. Non nostalgie, non rimorsi...entro alcuni anni sarei morto comunque.

- E adesso ? -...Avevo desiderato di conoscere un nuovo tipo di umanit�, ma ora mi contenterei di non finir torturato, di non trascorrere il rimanente della mia vita fra un laboratorio scientifico e un altro, fotografato, palpato e studiato come una specie di mostro umano.

Finalmente una voce mi saluta in lingua italiana, mi chiede di riprendere la valigia che avevo appoggiato a terra e di recarmi, seguendo la linea di luce descritta, in una cabina funzionante da infermeria. Mi si comanda di non uscire da l� per circa otto ore, di spogliarmi completamente e avvolgermi entro un lenzuolo azzurro forato in testa, una via di mezzo fra un tabarro e una toga. Devo anche svuotar la valigia e deporre la mia roba, orologio compreso, sopra un tapis-roulant  che me la fa sparire ingoiandola in una feritoia oscura.

Posso usare un lavabo e riposare : non devo mangiare, ho un obl� per guardar fuori. E� notte fonda : mi dicono che fra otto ore potr� trattenermi liberamente con gli omeghiani, e avvicinarli.

Mi accosto allo spesso cristallo del finestrino : l�astronave si � mossa senza scossoni e si accinge a superare la barriera gravitazionale terrestre alla minima velocit� possibile : la primissima parte del viaggio, la pi� molesta a un organismo non allenato, si svolger� quindi con pochi fastidi.

Odo ancora una voce : dice che la stazione d�arrivo sar� raggiunta entro quarantotto ore terrestri, e la cosa mi meraviglia molto, sapendo che la distanza che ci separa dal pianeta Om�ga � notevolissima, trovandosi esso in una delle innumerevoli periferie della nostra galassia.

Guardo sotto di me : la Terra ci lascia pigramente, invitante e ingannevole come sempre, brillante in un orizzonte sempre pi� ampio di luci artificiali e naturali...luci sotto di me, luci nel cielo. La Terra � bella dovunque, in panoramica : bella nella sua sintesi, sublime nella tragica contraddizione della sua analisi.

Senza che lo desideri, una lacrima mi cola sul volto. Mi dichiaro vinto : la vita � fatta di considerazione di esistere, non di sola curiosit�...Sono pentito : ho sbagliato tutto.

 

A otto ore dalla partenza un altoparlante, incorporato entro un mobile, mi annuncia la visita di due piloti dell�astronave. Sono sveglio da una mezz�ora, meravigliato io stesso di non aver trascorso una notte insonne. Mi accorgo di poter camminare, sebbene non perfettamente, senza �volare�. Esco dalla toletta : mi infilo alla svelta la toga-accappatoio  ed apro io stesso la porta.

Appaiono due uomini in tuta, ma senza casco, i quali mi si presentano : Munyani e Pim Ydo, due nomi abbastanza facili a pronunciare, entrambi  giovani dalla apparente et� di trent�anni, assai diversi d�aspetto : il primo, basso, bruno e tarchiato, olivastro come un polinesiano ; l�altro, alto e biondo, simile a un europeo  del Nord : affermano di essere le uniche persone a bordo.

Siccome mi meraviglio di sentirli comprendere e addirittura parlare perfettamente la mia lingua, mi informano che essi stanno parlando correttamente la loro, e che sono soltanto le onde sonore a giungermi trasmutate da una microscopica cellula acustica che mi � stata introdotta nell�orecchio durante il sonno. Le raccomandazioni d�inizio erano, invece,  programmate.

Ydo mi porge quattro tubetti di pastiglie : sono vitamine, protidi, glucidi, lipidi e sali minerali sufficienti per una quarantina d�ore.

- La diminuzione della forza di gravit� pu� produrre complicazioni in una persona non allenata - mi spiega. - E� meglio, perci�, all�inizio, ridurre al minimo le funzioni fisiologiche, anche se il corpo avrebbe bisogno di vero cibo. Appena giunti alla stazione d�arrivo potrai mangiare regolarmente.

Comprendo adesso che la stazione d�arrivo non si identifica con il pianeta Om�ga, e immagino si tratti di un�astronave pi� grande e idonea. Infatti, quando chiedo fra quanto finir� il viaggio, mi si dice : dieci anni, e che l�intergalattica da raggiungere ha nome �Lontana�.

Munyani mi spiega che Om�ga ha compiuto grandi sforzi nel campo della esplorazione siderale, e fa il nome del pi� celebre fra i suoi esploratori : G�rion, il quale si perse accanto al confine di un buco nero e si salv� schiumando particelle di antimateria che, trattenute, permisero alla sua astronave di contrastare e respingere la mortale attrazione supergravitazionale del buco.

- Ancor oggi - mi spiega - le nostre intergalattiche sono difese da forze antigravitazionali  che consentono loro di non essere attratte, n� di cozzare contro alcunch�. - G�rion si perse - conclude - e ritrov� la rotta dopo un�odissea durata oltre vent�anni.

- Il doppio del nostro Ulisse - esclamo, e siccome i piloti si incuriosiscono, ne approfitto per raccontar loro, a mio modo, qualche passo dell�Odissea.

In contraccambio, mi invitano a visitare il resto dell�astronave, ma io sono ancora emozionato e non desidero ponderare su differenze tecnologiche che non sarei in grado di capire. Preferisco, perci�, tornare in cabina a smaltire ci� che ancora rimane della mia ansia trascorsa.

Il primo impatto non � stato scoraggiante : ora ho speranza che forse non mi aspetta un avvenire da scimmia ammaestrata e intuisco di essere pi� vicino alla vera natura umana di quanto avessi pensato.

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I.    II.

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