La  questione   Wagner

 

Confidando sulla mia naturale predisposizione per la sinossi, cercherò di rendere chiare, nell’ essenziale - con tre sole citazioni parziali – i motivi  che indussero il nostro filosofo a mutare radicalmente la propria valutazione sulla  musica e sul teatro wagneriani.

La prima citazione tratterà il “Richard Wagner a Bayeruth”, scritta da un Nietzsche di 31 anni,  ancora entusiasta del Wagner “quarantottino” e compiacente al mito germano – scandinavo, così come esso appariva nelle prime rappresentazioni bayeruthiane. Se ne distaccherà soltanto un anno più tardi.

La seconda citazione mostrerà, con nostra piacevole conferma, un Nietzsche molto attuale, un Nietzsche “europeo” assai più cosciente di esserlo di un uomo d’ oggi.

Se consideriamo il pensiero filosofico di  Nietzsche, ed anche quello del francese Fourier,  su come essi intendevano l’ Europa a venire,  dobbiamo seriamente  capire  che già da allora ci si era resi conto che una tale costruzione politica non si sarebbe potuta realizzare entro un sistema di contraddizioni economiche, “concorrenziali” fra Stati.  

Finalmente nel 2012 ci si è resi conto (noi popolino) che le due grandi guerre mondiali del Ventesimo secolo sono state nulla di più che una serie consequenziale di errori storico – politici commessi dai grandi pastori dei popoli e sottoscritti da tutti, volenti e non.

In realtà non ce ne fu alcuna necessità (della prima soprattutto, nata per obbligazioni diplomatiche). Quel che è peggio, la stessa forma mentale, purtroppo, ha creato oggi la U.E.  

In realtà non c’ è mai stato affatto bisogno della ragion filosofica per desiderare una Europa forte e pacifica, antesignana di ciò che un pensiero civile avrebbe dovuto da sempre proporsi.

Il desiderio di vivere in un mondo migliore non è filosofico, entra nella natura umana intesa come superamento dall’ animale. Dell’ homo homini lupus intendo.

La ricerca di un aggiustamento collaborativo nella economia dei continenti (non dico proprio  un associazionismo, e scrivo ciò anche giustificando un Bush) sarebbe stata sufficiente a procedere razionalmente verso una definitiva collaborazione mondiale.

Dopo i fatti di Grecia ho smesso di considerare uomini benemeriti coloro che, anni or sono,  hanno propagandato l’ euro senza rendersi conto delle conseguenze economiche inevitabili che ciò avrebbe comportato, sopratutto della necessità di almeno una parvenza di una Europa - Stato.

Io, per esempio, avevo creduto nelle buone ragioni di un Ciampi.

Il ritorno alle vecchie monete nazionali (per alcuni Stati) non potrebbero però costituire una risoluzione auspicabile. Sarebbero soltanto il riconoscimento del fallimento di una filosofia politica  e il riproponimento del protezionismo. Con tutti i pericoli che ciò implicherà. Soprattutto pericoli diplomatici, pericoli di nuove alleanze internazionali, con conseguenti “fumi” di "rivincite" e nuove guerre.

Già s’è sentita, nei discorsi televisivi, la notizia di una minaccia politica greca di lanciare “la bomba”, alla quale minaccia ha fatto seguito il commento: “Non c’è da preoccuparsene, tanto i greci sanno benissimo che sarebbe peggio per loro”. 

Io, per fortuna morirò prima, ma una terza guerra mondiale, logica entro un tale nuovo theatrum di pensiero,  non costituirebbe una improbabilità. Sarebbe esattamente la inevitabile conseguenza della “morte di Dio” nietzscheana. Vedremo, continuando la pubblicazione di queste citazioni, come la sua previsione delle grandi guerre del ventesimo secolo, non fosse una deduzione irrazionale, ne’ ingiustificata.

 

La prefazione dell’ ultima citazione (del “Nietzsche contra Wagner”) fu scritta nel natale del 1888, alla vigilia della estrema catarsi.  

In essa Nietzsche dimostrò un po’ di ingenuità (sono pensieri miei) nel sostenere che possa esservi una ragione imperativa nel giudicare una musica.

Può esservi una ragione personale del giudice, ma criticamente ogni autore va giudicato per sé.

Occorre riconoscere ad ognuno il proprio carattere. Se la musica di Wagner  non favorisce il balletto, ciò non giustifica che sulla stessa possa poi esprimersi un giudizio di valore assoluto.

A parte esigenze personali, (Wagner poteva accettare, accanto a sé, soltanto seguaci, mentre  Nietzsche era la negazione umana del “seguace”), a parte ciò rimangono, a giustificare Nietzsche, motivi estetico – filosofici che si risolvono nella sua sempre più forte opposizione al cristianesimo e, per conseguenza, la propria svalutazione dello spirito del  “Santo Graal”,  mascherato da mito storico, rappresentato da personaggi quali Parsifal, Brunilde, il drago, le valchirie, e via continuando.

 

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FEDERICO  NIETZSCHE

 

  RICHARD  WAGNER  A  BAYERUTH

Capitolo  11°

Versione di Sossio  Giametta.

 

La sola ragione ci preservi dal credere che l’umanità stia per trovare un giorno, quando che sia, ordinamenti ideali definitivi, e che allora la felicità debba risplendere con raggio sempre uguale,  come il sole dei paesi tropicali, sugli uomini in tal modo ordinati: con una tale credenza Wagner non ha niente a che fare, egli non è un utopista.

Se non può fare a meno della fede nel futuro, ciò significa solo che egli scorge nell’ uomo di oggi qualità che non appartengono al carattere e all’ ossatura immutabili dell’ essere umano, ma sono mutevoli, anzi caduche, e che proprio per questa qualità l’ arte dev’ essere fra loro senza patria, ed egli stesso il precursore e annunciatore di un’ altra epoca.

Non un’ età dell’ oro, non un cielo libero da nubi e destinato a queste generazioni future a cui il suo istinto lo fa volgere, e a cui i tratti incerti si possono indovinare dalla scrittura cifrata della sua arte, fino al punto in cui è possibile dedurre della specie della soddisfazione la specie del bisogno.

Neanche la bontà e giustizia sovrumana sarà tesa sui campi di questo futuro come un immobile arcobaleno.

Forse quella generazione apparirà in complesso addirittura più cattiva di questa odierna – perché sarà, nel male e nel bene, più sincera; sarebbe anzi possibile che la sua anima, se un giorno si esprimesse con suono pieno e libero, scotesse e atterrisse le nostre anime come se si fosse fatta sentire la voce di un maligno spirito della natura rimasto fino allora nascosto.

O come suonano queste frasi al nostro orecchio: che la passione è migliore dello storicismo e dell’ ipocrisia, che la sincerità, anche nel male, è migliore del perdere sé stessi con la moralità della tradizione, che l’ uomo libero può essere tanto buono che cattivo, ma che l’ uomo schiavo è un disonore della natura e non partecipa a nessuna consolazione ne’ celeste ne’ terrena; infine, che chiunque voglia diventar libero, deve diventare da sé, e che a nessuno la libertà cade in grembo come un dono miracoloso. Queste frasi hanno forse un suono stridulo e inquietante, ma in esse echeggia la voce di quel mondo futuro,  che ha veramente bisogno dell’ arte, e che dall’ arte può attendersi vero appagamento; è il linguaggio della natura ristabilita anche nell’ umano, è esattamente ciò che ho prima chiamato sentimento giusto, in contrapposizione del sentimento non giusto ora dominante.

Ora però ci sono vere soddisfazioni e liberazioni solo per la natura, non per ciò che è innaturale e per il sentimento non giusto.

A ciò che è innaturale resta, una volta che esso sia giunto alla consapevolezza di sé, solo la nostalgia del nulla, la natura invece anela al mutamento attraverso l’ amore: quello non vuole sapere,  questa vuole essere diversamente.

Chi ha compreso ciò faccia passare in silenzio davanti all’ anima i motivi schietti dell’ arte wagneriana, per chiedersi se con essi sia la natura o la innaturalità a perseguire le sue mete quali sono state or ora definite.

L’ instabile, il disperato trova la redenzione dal suo tormento attraverso l’ amore pietoso di una donna, che preferisce la morte all’ infedeltà: motivo dell’ Olandese volante.

La donna amante, rinunciando ad ogni felicità propria, diventa, in un celeste mutamento dell’ amor in caritas, santa, e salva l’ anima dell’ amato; motivo del Tannhäuser.

Ciò che è più magnifico e più alto scende anelante sugli uomini e non vuol che gli si chieda donde venga; esso, quando la funesta domanda vien fatta, ritorna per dolorosa necessità alla sua vita superiore: motivo del Lohengrin. – L’ anima amante della donna e così anche il popolo accolgono volentieri il nuovo genio, apportatore di felicità, benché i cultori delle tradizioni e della consuetudine lo respingano da sé e lo diffamino: motivo dei Maestri cantori. - Due innamorati, non sapendosi amati e credendosi invece profondamente feriti e disprezzati, desiderano bere, l’ uno dell’ altra la bevanda di morte, apparentemente per espiare l’ offesa, ma in realtà, per un inconsapevole impulso: essi vogliono essere liberati con la morte da ogni separazione e finzione.

La creduta vicinanza della morte libera la loro anima e la conduce a una breve raccapricciante felicità, come se veramente fossero  sfuggiti al giorno, all’ illusione e alla vita stessa: motivo del Tristano e Isotta.

Nell’ Anello del nibelungo l’ eroe tragico è un dio il cui animo è assetato di potenza, e che percorrendo tutte le vie per ottenerla, si lega con patti, perde la sua libertà e viene implicato nella maledizione che pesa sulla potenza.

Egli sperimenta la sua mancanza di libertà proprio nel fatto di non avere più alcun mezzo per impadronirsi dell’ anello d’ oro, compendio di tutta la potenza terrena e nel contempo dei maggiori pericoli per lui stesso, finché è nelle mani dei suoi nemici: lo prende la paura della fine e del tramonto di tutti gli dèi, e così anche la disperazione di dover assistere impotente a questa fine.

Ha bisogno dell’ uomo libero e senza paura che, senza il suo consiglio ed aiuto, anzi, in lotta contro l’ ordine divino, compia per conto suo l’ impresa negata al dio: egli non lo vede, e proprio quando si risveglia una nuova speranza, deve obbedire all’ obbligo che lo lega: di propria mano deve annientare l’ essere a lui più caro e punire chi ha dimostrato la compassione più pura verso la sua afflizione.

Finalmente egli è preso dalla nausea per la potenza, che porta in grembo il male e la schiavitù, la sua volontà si spezza, egli stesso desidera la fine che incombe da lontano.  E solo ora accade ciò che prima aveva tanto desiderato: appare l’ uomo libero e senza paura, la cui nascita contraddice ogni tradizione; I suoi genitori devono espiare il legame contro l’ ordine della natura e del costume che li ha congiunti: essi periscono, ma Sigfrido vive.

Alla vista del suo magnifico divenire e fiorire, la nausea abbandona l’ anima di Wotan, egli segue la sorte dell’ eroe con l’ occhio dell’ amore e del timore paterni. Come egli si fabbrichi la spada, uccida il drago, conquisti l’ anello, sfugga all’ astuto tranello, svegli Brunilde; come la maledizione che pesa sull’ anello non risparmi neanche lui e lo incalzi sempre più; come egli, fedele nell’ infedeltà, ferendo per amore colei che gli è più cara, venga circondato dalle ombre e dalle nebbie della colpa; emergendone però alla fine puro come il sole, e soccomba accendendo tutto il cielo col suo splendore di fuoco e purificando il mondo dalla maledizione: - tutto ciò vede il dio, a cui è stata spezzata, nella lotta con il liberissimo, la lancia dominatrice, e che ha perso con essa la sua forza, pieno di gioia per la propria sconfitta, piano di amorosa gioia e di compassione per il suo vincitore: il suo occhio si posa sugli ultimi eventi con lo splendore di una dolorosa beatitudine, egli è diventato libero nell’ amore, libero da sé stesso.

Ed ora interrogate voi stesse, generazioni di uomini oggi viventi! Fu ciò poetato per voi? Avete il coraggio di levare la mano verso le stelle di tutta questa celeste volta di bellezza e bontà e di dire: è la nostra vita che Wagner ha innalzato fra le stelle?

Dove sono fra voi gli uomini che possano spiegarsi la divina immagine di Wotan in base alla loro vita, e che diventino anch’ essi sempre più grandi, quanto più, come lui, rinuncino?

Chi di voi vuole rinunciare alla potenza, sapendo e sperimentando che la potenza è male?

Dove sono coloro che, come Brunilde, sacrifichino per amore la loro conoscenza, finendo tuttavia per ricavare dalla vita la conoscenza suprema: “Profondissimo dolore di amore contristato mi aprì gli occhi?”

E i liberi, gli impavidi che crescano e fioriscano da sé in innocente indipendenza, dove sono gli uomini come Sigfrido tra voi?

Chi così domanda, e domanda invano, dovrà volgersi a guardare il futuro; e se il suo sguardo dovesse scoprire a qualche distanza proprio quel “popolo” che può leggere la propria storia nei segni dell’ arte wagneriana, capirà da ultimo anche che cosa Wagner sarà per un tale popolo: qualcosa che egli non può essere per noi tutti, ossia non il veggente di un avvenire, come a noi forse potrebbe apparire, bensì l’ interprete che trasfigura un passato.

 

Richard Wagner a Bayreuth, 11°. Collezione Adelphi, 1967, vol. IV, 1. pp. 77 – 80.

 

 

FEDERICO  NIETZSCHE

 

ECCE  HOMO

Come di diventa ciò che si è.

IL  CASO  WAGNER

Un problema per amatori di musica.

Versione di Roberto Calasso.

 

 

Per poter essere giusti con questo scritto bisogna soffrire del destino della musica come di una piaga aperta. – Di che cosa soffro io quando soffro del destino della musica?

Del fatto che la musica è stata spogliata del suo carattere di trasfigurazione del mondo, di affermazione – del fatto che essa è musica della  decadence e non più il flauto di Dioniso.

Ma se si sente la causa della musica a questo modo, come propria causa, come storia della propria sofferenza, allora questo scritto sembrerà pieno di riguardi ed estremamente mite. In casi del genere è il senso stesso di umanità a volere che si sia sereni e si coinvolga bonariamente anche sé stessi nello scherzo – ridendo dicere severum, là dove il  verum dicere giustificherebbe ogni durezza.

Chi può seriamente dubitare che io, da vecchio artigliere, non saprei mettere in postazione contro Wagner la mia artiglieria pesante?

In questo affare mi sono tenuto per me tutti i pezzi decisivi -  io ho amato Wagner. –

E poi il senso e la via del mio compito mi impongono di attaccare con un più sottile “sconosciuto” che difficilmente un altro saprebbe individuare  - oh, io debbo scoprire ancora ben altri  “sconosciuti” che non un Cagliostro della musica – attaccare piuttosto la nazione tedesca, che sta diventando sempre più pigra e povera di istinto delle cose dello spirito, sempre più rispettabile, che continua a nutrirsi, con invidiabile appetito, di tutti gli opposti, “la fede” la va bene come la scientificità; l’ amore cristiano come l’ antisemitismo; la volontà di potenza  (di “Impero”) come l’ évangile des humbles, e ingoia tutto senza avere difficoltà di digestione. … Questa maniera di non prender partito fra gli opposti! … Questa neutralità stomacale, questo “disinteresse” !

Questo palato tedesco così sensibile alla giustizia, che dà pari diritti a tutto – che trova tutto saporito … Non c’è dubbio, i Tedeschi sono idealisti …

L’ ultima volta che visitai la Germania trovai che il gusto tedesco si sforzava di concedere pari diritti a Wagner e al trombettiere di Säckingen,  fui testimone io stesso di come a Lipsia, per onorare uno dei musicisti più autentici e più tedeschi, non un qualunque tedesco dell’ Impero, ma un tedesco nel senso antico della parola, il maestro Heinrich Schütz, fu fondata una Società Liszt, allo scopo di coltivare e diffondere musica di chiesa listata di furbizia. …

Non c’è dubbio, i Tedeschi sono idealisti. …

 

2.

 

Ma questa volta nulla mi impedirà di diventare villano e dire ai Tedeschi un paio di dure verità: chi lo farebbe altrimenti?

Parlo della loro sfrontatezza in historicis.Non solo gli storici tedeschi hanno perso completamente la visione in grande del corso dei valori della civiltà, non solo sono diventati tutti dei buffoni della politica (o della Chiesa) ma hanno addirittura messo al bando questa visione in grande.

Prima di tutto bisogna essere “tedeschi” , essere “razza”, poi si potrà decidere su tutti i valori e non valori in historicis – si potrà fissarli … Dire “tedesco” vale da argomento, “Deutschland, Deutschland über Alles” è un principio, i Germani rappresentano nella storia “l’ ordinamento morale del mondo”; rispetto all’ imperium romanum sono i portatori della libertà, rispetto al diciottesimo secolo sono i restauratori della morale, dell’ “imperativo categorico” …

C’è una storiografia dell’ impero tedesco, c’è, ho paura, perfino una storiografia aulica e il signor von Treitschke non si vergogna …

Ultimamente un giudizio da idiota in historicis, una frase dell’ etnologo svevo Vischer, per fortuna oggi defunto, fece il giro dei giornali tedeschi come “verità”, a cui ogni tedesco doveva dire di sì: “Il Rinascimento e la Riforma congiunti costituiscono un tutto – la rinascita estetica e la rinascita morale”

Di fronte a frasi del genere io perdo la pazienza e mi viene la voglia – lo sento perfino come un dovere – di dire una volta ai Tedeschi tutto quello che hanno già sulla coscienza.

Hanno sulla coscienza tutti i grandi delitti contro la civiltà degli ultimi quattro secoli!...

E sempre per la stessa ragione, per la loro intima vigliaccheria davanti alla realtà, che è anche vigliaccheria davanti alla verità, per la loro falsità divenuta istinto, per “idealismo” …

I Tedeschi hanno fatto perdere all’ Europa il suo raccolto, il senso dell’ ultima grande epoca, l’ epoca del Rinascimento, nel momento in cui un ordine di valori superiori, i valori aristocratici, che dicono sì alla vita, che garantiscono l’ avvenire, erano arrivati alla vittoria sostituendosi ai valori opposti, i valori del declino – e penetrando persino sugli istinti di coloro che su quei valori poggiavano!

Lutero, questo monaco fatale, ha restaurato la Chiesa e, quel che è mille volte peggiore, il cristianesimo, questa negazione della volontà di vita divenuta religione! …

Lutero, un monaco impossibile, che appunto per questa sua “impossibilità” attaccò la Chiesa e – in conseguenza! La restaurò …

I cattolici avrebbero tutte le ragioni di fare feste e rappresentazioni in onore di Lutero … Lutero – e la “rinascita morale” !

Al diavolo tutta la psicologia ! – Non c’è dubbio, i Tedeschi sono idealisti. – Per due volte, proprio quando con ardimento immenso, superando sé stessi, gli uomini avevano raggiunto un tipo di pensiero retto, univo e del tutto scientifico, i Tedeschi sono riusciti a trovare delle vie tortuose per tornare al vecchio “ideale” delle conciliazioni tra verità e “ideale”, in fondo delle formule che dànno diritto a rifiutare la scienza, che dànno diritto alla menzogna.

Leibniz e Kant – questi sono i due grandi cunei che bloccano la rettitudine intellettuale dell’ Europa! Infine i Tedeschi, quando a cavallo fra due secoli della décadence apparve una force majeure di genio e volontà, forte a sufficienza per fare dell’ Europa una unità, una unità politica ed economica, tesa a governare tutta la terra, hanno privato l’ Europa, con le loro “guerre di liberazione” del senso, di quel miracolo di senso che l’ esistenza di Napoleone rappresenta – e perciò essi hanno sulla coscienza ciò che poi ne è seguito, ciò che esiste oggi, questa malattia, questa insensatezza, contrarie alla civiltà come null’ altro, il  nazionalismo, questa nevrose nationale di cui soffra l’ Europa, questa perpetuazione di una Europa fatta di staterelli, di piccola politica: hanno privato l’ Europa del suo stesso senso, della sua ragione – l’ hanno spinta in un vicolo cieco. –

C’è qualcuno, all’ infuori di me, che sappia uscire da questo vicolo cieco? …

Legare di nuovo i popoli, non è un compito sufficientemente grande?    

 

Ecce Homo. Collezione Adelphi, 1970, vol. VI, 3. Il caso Wagner. pp. 367 – 374.

 

     

 FEDERICO  NIETZSCHE

 

  NIETZSCHE  CONTRA  WAGNER

Versione di Ferruccio  Masini

 

PREFAZIONE

 

I seguenti capitoli sono stati tutti, non senza cautela, trascelti trai miei scritti anteriori – alcuni risalgono al 1877 – chiariti forse qua e là, e soprattutto accorciati.

Letti l’ uno appresso all’ altro non lasceranno alcun dubbio ne’ su Richard Wagner ne’ su me: noi siamo antipodi.

Si comprenderà anche qualche altra cosa; per esempio che questo è un saggio per psicologi, non per tedeschi …  Ho i miei lettori ovunque, a Vienna, a San Pietroburgo, a Copenaghen e a Stoccolma, a Parigi, a New York – non li ho invece nella pianura d’ Europa, in Germania … E avrei forse anche da dire una parola all’ orecchio dei signori italiani, che amo tanto quanto … Quousque tandem, Crispi … Triple alliance: con il “Reich” un popolo intelligente potrà fare soltanto una mésalliance …

Friedrich Nietzsche, Torino, natale 1888.

 

DOVE  IO  AMMIRO

 

Credo che spesso gli artisti ignorino il meglio delle loro possibilità: sono troppo vanitosi per rendersene conto … L’ animo loro è rivolto a qualcosa di più superbo di quel che sembrano essere queste pianticelle che sanno crescere sul loro terreno nuove, rare e belle, in una reale perfezione.

Il bene più recente del loro stesso giardino e vigneto è da essi superficialmente apprezzato, il loro amore e la loro perspicacia non sono di grado uguale. Ecco un musicista che più di qualsiasi altro rivela la sua maestria nel saper trarre i suoni dal regno delle anime dolorose, oppresse, torturate, come pure nel dare un linguaggio alla muta miseria .

Nessuno è pari a lui nei colori del tardo autunno, nella felicità indescrivibilmente commovente di un godimento estremo, estremo più d’ā ogni altro, breve più d’ ogni altro; egli possiede un accento per quelle quietamente inquietanti mezzanotti dell’ anima, in cui causa ed effetto sembrano perdere la loro connessione, mentre a ogni istante qualcosa può sorgere “dal nulla”.

Più felicemente di qualsiasi altro egli attinge all’ ultimo fondo della gioia umana, per così dire al suo calice interamente vuotato, dove le gocce più aspre e più disgustose si sono commiste con quelle dolci in un ultimo buono e cattivo residuo.

Egli conosce quella stanca oscillazione dell’ anima, che non può far più balzi e voli, anzi, neppur più camminare; ha lo sguardo schivo del dolore dissimulato; della comprensione senza conforto, del congedo senza confessione; sì, come l’ Orfeo di ogni segreta miseria egli è più grande di qualsiasi altro, e soprattutto per mezzo suo sono state aggiunte all’ arte molte colse che fino a oggi sembravano inesprimibili e persino indegne di essa – le ciniche rivolte, a esempio, di cui soltanto il più sofferente è capace, e similmente molte piccolissime e microscopiche cose dell’ anima, le scaglie, per così dire, della sua natura anfibia – si, egli è il maestro dell’ assolutamente piccolo. Ma non lo vuole essere !

Il suo carattere ama invece le grandi pareti e i temerari affreschi! …

Quel che gli sfugge è che il suo spirito ha un altro gusto e un’ altra tendenza – un’ ottica diametralmente opposta – e ama starsene seduto in silenzio agli angoli di case diroccate : è lì che nascosto, nascosto a sé stesso, dipinge i suoi veri capolavori, che sono tutti brevissimi, lunghi spesso una sola battuta – è lì che comincia a diventare davvero buono, grande e perfetto, forse unicamente lì.

Wagner è uno che ha sofferto profondamente, questa è la sua priorità sugli altri musicisti.

Io ammiro Wagner ogni qualvolta egli mette in musica sé stesso.

 

WAGNER  COME  PERICOLO

 

L’ intento  che la musica moderna persegue con quella che oggi, in maniera molto forte, ma oscura, viene chiamata “melodia infinita”, può essere reso chiaro in questo modo: si entra in mare; poco per volta si perde la sicurezza di camminare sul fondo e ci si rimette infine al favore e al disfavore dell’ elemento; si deve nuotare.

Nella musica passata si doveva invece, in un leggiadro o solenne o focoso movimento e contro movimento, in un più presto e più lento, fare qualcosa di completamente diverso, cioè danzare.

La misura a ciò necessaria, l’ attenersi a determinati gradi equivalenti di tempo e di forza imponeva all’ animo dell’ ascoltatore una continua riflessione -  sul contrapporsi di questa più fresca corrente d’ aria, che proveniva dalla riflessione, all’ infervorato respiro dell’ entusiasmo riposava la magia di ogni buona musica.

Richard Wagner volle una specie diversa di movimento – rovesciò il presupposto fisiologico della musica esistita fino a oggi.

Nuotare, librarsi – non più camminare, danzare … Forse con questo si è detta la cosa decisiva . La “melodia infinita” vuole appunto rompere ogni simmetria di tempo e di forza,  arriva talvolta a schernirla -  essa trova la sua ricchezza d’ invenzione in ciò che a un orecchio d’ altri tempi suona come paradossia e blasfemia ritmica.

Dall’ imitazione, dalla supremazia di un simile gusto nascerebbe un pericolo per la musica, di cui è del tutto impossibile immaginarne uno maggiore  -  la completa degenerazione del senso ritmico, il caos al posto del ritmo … Il pericolo giunge al colmo quando una tale musica si appoggia sempre più strettamente a un’ arte teatrale e mimica del tutto naturalistica, non dominata da alcuna normativa plastica, che vuole l’ effetto e null’ altro … L’ espressivo a ogni costo, e la musica posta al servizio e resa schiava dell’ atteggiamento – Questa è la fine …

 

UNA  MUSICA  SENZA  AVVENIRE

 

Tra tutte le arti che sanno crescere sul terreno di una determinata civiltà, la musica si presenta come l’ ultima di queste piante, forse perché è la più interiore e giunge quindi assai tardi -  nell’ autunno e nello sfiorire della civiltà che a essa è propria.

Soltanto nell’ arte dei maestri olandesi l’ animo del Medioevo cristiano trovò la sua estrema risonanza – la loro architettura musicale è la sorella minore, ma pari per nascita ed egualmente legittima del gotico.

Soltanto nella musica di Hāndel  quanto  v’ era di meglio nell’ anima di Lutero e dei suoi affini ebbe una risonanza, quei lineamenti ebraico – eroici che dettero alla Riforma un tratto di grandezza – il Vecchio Testamento divenuto musica, non il Nuovo.

Mozart fu il solo a restituire in oro sonante l’ epoca di Luigi XIV e l’ arte di Racine e di Claude Lorraine; soltanto nella musica di Beethoven e di Rossini levò il suo ultimo canto il secolo XVIII, il secolo dell’ esaltazione, degli ideali infranti e della felicità fugace.

Ogni vera musica, ogni musica originale è un canto del cigno.  -  Forse che la nostra ultima musica, sebbene sia dominatrice e assetata di dominazione, ha ormai dinanzi a sé solo un breve tratto di tempo: essa infatti è scaturita da una civiltà il cui terreno sta rapidamente  sprofondando – una civiltà che sarà ben presto sommersa.

Un certo cattolicesimo del sentimento e un gusto per certi caratteri e malformazioni antichi e nativi, cosiddetti “nazionali”, sono i suoi presupposti.

L’ appropriazione wagneriana di antiche saghe e canti, in cui il pregiudizio dei dotti aveva appreso a vedere qualcosa di germanico par excellence - oggi ne ridiamo - la reviviscenza di questi mostri scandinavi accompagnata a una sete di estatica sensualità e di ascesi – tutto questo prendere e dare di Wagner, per quanto riguarda materia, figure, passioni e nervi, esprimono altresì chiaramente lo spirito della sua musica; posto che questa stessa, come ogni musica, non sappia parlare di sé senza ambiguità: giacché la musica è una donna … Non è lecito lasciarsi indurre in errore su questo stato di cose dal fatto che in questo momento viviamo precisamente nella reazione all’ interno della reazione.

L’ epoca delle guerre nazionali, del martirio ultramontano, tutto questo carattere di intermezzo che oggi è proprio della situazione europea, può in realtà procurare a un’ arte come quella wagneriana una gloria improvvisa senza garantirle con ciò un avvenire.

Gli stessi tedeschi non hanno un avvenire.  

 

WAGNER  APOSTOLO  DELLA  CASTITA’

1.

E questo ancora tedesco?

Venne da un cuore tedesco questo stridio soffocante?

Dilaniare sé stessi in tal modo è della tedesca natura?

Questo sacerdotale allargare le mani è tedesco, questa odorosa d’ incenso  lusinga dei sensi?

Stramazzare, impuntarsi, barcollare a tal

modo

è da Tedeschi, questo dolciastro ciondolare a din don?

Questo sbirciare di monache, questo tintinnar di campane dell’ Ave,

tutta quest’ estasi falsa, celeste e ultraceleste?

E’ questo ancora tedesco?

Pensateci! Siete ancor sulla porta …

Perché ciò che voi udite è Roma

La fede senza parole di Roma!

 

2.

 

Tra sensualità e castità non c’è necessariamente un’ antitesi; ogni buon matrimonio, ogni autentico affare di cuore trascende questa antitesi. Ma nel caso in cui realmente esista questa opposizione, fortunatamente, non c’è ancora alcun bisogno che sia una opposizione tragica.

Ciò dovrebbe valere almeno per tutti i mortali di buona costituzione e di umor gaio, che sono lontani dall’ imputare senz’ altro agli argomenti contrari all’ esistenza il loro labile equilibrio tra angelo e petite béte -  i più sottili, i più chiari, come Hafis, come Goethe, hanno persino veduto in questo un’ attrazione di più … Proprio tali contraddizioni seducono all’ esistenza … D’ altra parte è pure quanto mai evidente che ove gli sventurati animali di Circe vengano portati ad adorare la castità, vedranno e adoreranno in essa nient’ altro che il suo contrario - oh, con quale mai tragico grugnito e ardore, ce lo possiamo immaginare  - quel meschino e perfettamente superfluo contrario che Richard Wagner ha voluto, in maniera incontestabile, al termine della sua vita, ancora mettere in musica e portare sulla scena . A quale scopo? Ci si può legittimamente chiedere.

 

3.

 

Oltre a ciò, non si deve indubbiamente eludere quell’ altra questione: che cosa propriamente poteva importargli  di quella virile (ah, così poco virile “semplicità campagnola”  di quel povero diavolo, di quell’ anima naturalmente ingenua di Parsifal, che da lui finisce per essere fatto cattolico con mezzi tanto capziosi.

Come? Questo Parsifal è stato mai in generale preso sul serio? Che, infatti, si sia riso di lui, non vorrei minimamente contestarlo, e neppure Gottfried Keller lo mette in dubbio …  Vorremmo, in altre parole augurarci che il Parsifal wagneriano potesse venir inteso in senso allegro, quasi come un’ opera conclusiva  e un dramma satiresco con cui il Wagner tragico ha voluto precisamente congedarsi da noi, e anche da sé stesso, e soprattutto dalla tragedia, in una maniera onorevole e decorosa per lui, vale a dire con un eccesso di eccelsa e maliziosissima parodia dello stesso elemento tragico, di tutta la spaventosa terrestre serietà e terrestre consolazione di un tempo, della più stupida forma, ormai finalmente superata, espressa dalla contronatura dell’ ideale ascetico.

Il Parsifal è per l’ appunto una materia da operetta par excellence   Forse che il Parsifal di Wagner  è il suo segreto riso di superiorità su sé stesso, il trionfo della sua ultima suprema libertà di artista, della sua trascendenza d’ artista – un Wagner che sa ridere di sé medesimo?

Come si è detto, vorremmo augurarcelo: giacché, cosa sarebbe mai un Parsifal inteso seriamente?

Non saremmo costretti a vedere in esso (secondo una espressione usata contro di me) “il mostruoso prodotto di un odio della conoscenza, dello spirito e della sensualità divenuto folle?” Una bestemmia contro i sensi e contro lo spirito proferita in un solo respiro d’ odio? Un’ apostasia e un ritorno agli ideali oscurantisti di un cristianesimo morboso?

E da ultimo addirittura una negazione di sé compiuta da un artista  che sino a quel punto era rivolto con tutta la potenza della sua volontà, all’ opposto, alla suprema realizzazione spirituale e sensibile della sua arte? E non soltanto della sua arte, ma anche della sua vita?  Si ricordi con quale entusiasmo a suo tempo Wagner percorse le orme del filosofo Feuerbach. La parola di Feuerbach sulla “sana sensualità” risuonò negli anni Trenta e Quaranta per Wagner, come per molti Tedeschi – erano chiamati i giovani Tedeschi – come la parola della redenzione.

Ha forse finito per apprendere diversamente l riguardo?

Poiché sembra, se non altro, che abbia avuto in ultimo la volontà di insegnare diversamente su questo punto!  

Si è impadronito di lui, come è avvenuto per Flaubert, l’ odio contro la vita? …

Il Parsifal è, infatti, un’ opera di perfidia, di bramosia vendicativa, di segreto avvelenamento dei presupposti della vita, un’ opera scellerata.

La predicazione della castità resta un istigamento alla negazione della natura: io disprezzo chiunque non senta nel Parsifal un attentato alla eticità.

 

COME  MI  LIBERAI  DI  WAGNER

 

1.

 

Già nell’ estate del 1876, nel bel mezzo del primo  festival, presi dentro di me congedo da Wagner.  Non sopporto alcuna ambiguità; da quando Wagner venne in Germania , accondiscese poco per volta a tutto ciò che io disprezzo – persino all’ antisemitismo …

Era proprio quello, in realtà, il momento giusto per congedarsi: ben presto ne ebbi la prova. All’ improvviso Richard Wagner, apparentemente più ricco di vittorie, in verità un disperato décadent putrefatto, si prosternò, derelitto e a brandelli  dinanzi alla croce cristiana 

Nessun Tedesco ha avuto allora, per questo orribile spettacolo, occhi nella testa e compassione nell’ anima. Ero dunque il solo a soffrire di lui?

Basta così:   l’ inaspettato avvenimento mi dette come un lampo di lucidità sul luogo che avevo abbandonato – nonché quel brivido tardivo che chiunque sia passato inconsapevolmente attraverso un enorme pericolo avverte.

Riprendendo da solo il cammino, tremavo: non molto tempo dopo ero malato, ero stanco – stanco per l’ intollerabile delusione su tutto ciò che restava a noi, uomini moderni, come ragione d’ entusiasmo; per la forza, il lavoro, la speranza, la giovinezza,l’ amore sperperati ovunque; stanco di musica per tutta la bugiarderia idealistica e per la sua effeminatezza di coscienza, che ancora una volta avevano qui riportato vittoria su uno dei più valorosi;  stanco infine, e non in misura minore, per la pena di un implacabile sospetto -  quello di essere ormai condannato a diffidare più profondamente, e a più profondamente disprezzare, a essere più profondamente solo di quanto lo fossi mai stato prima.

Perché io non avevo avuto nessun altro all’ infuori di Richard Wagner … Io fui sempre condannato ai tedeschi …”

 

2.

 

Ormai isolato e acerbamente diffidente verso me stesso, presi allora partito, non senza un segreto rovello,  contro di me e a favore di tutto ciò che precisamente mi faceva male e mi riusciva duro: ritrovai così la via verso quel coraggioso pessimismo che è l’ antitesi di ogni mendacità idealistica, e anche, a quanto mi sembra, la via verso me stesso – verso il mio compito.

Quel qualcosa di nascosto e d’ imperioso, per cui non abbiamo assolutamente alcun nome sintantoché  non si riveli finalmente come il nostro compito – questo tiranno dentro di noi si prende una tremenda rappresaglia per ogni tentativo che facciamo di eluderlo o di sgaiattolarcene  via, per ogni decisione prematura, per ogni nostro assimilarci a coloro cui non apparteniamo, per ogni attività, ancorché rispettabile, quando essa ci distolga dalla nostra cosa più importante – e addirittura per ogni virtù volta a preservarci dalla durezza della responsabilità più intimamente nostra.

Malattia è la risposta, tutte le volte che vogliamo mettere in dubbio il nostro diritto al nostro compito e cominciamo a prenderlo, in qualche cosa, più alla leggera.

E’  strano e al tempo stesso terribile ! I nostri sollievi sono ciò che noi dobbiamo espiare nel modo più aspro !

E se poi vogliamo tornarcene alla salute, non ci resta scelta: dobbiamo addossarci una soma più pesante  di qualsiasi altra che avesse gravato prima di allora culle nostre spalle …  

Continua.

 

Nietzsche contra Wagner. Collezione Adelphi, 1970, vol. VI, 3. Capitoli. pp. 389 – 418.

 

 

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