6  Aprile  1724


Dalla  "Storia del Reame di Napoli"  di Pietro Colletta (1834)

Libro primo, capo primo, paragrafo undecimo.




In dieci anni, dal 1720 al 30, non avvenivano in Napoli cose memorabili, fuorche' tremuoti, eruzioni vulcaniche, diluvi e altre meteore distruggitrici. Ma dalla vicina Sicilia, l' anno 1724, fatto atroce apporto' tanto spavento al  regno, che io credo mio debito il narrarlo a fine che resti saldo nella memoria  chi leggera', e i Napoletani si confermino nell' odio giusto alla inquisizione, oggidi' che per l' alleanza dell' imperio assoluto al sacerdozio, la superstizione, l' ipocrisia la falsa venerazione delle antichita' spingono verso tempi e costumi aborriti, e vedesi quel tremendo Uffizio, chiamato Santo, risorgere in non pochi luoghi d' Italia, tacito ancora e discreto, ma per tornare, se fortuna lo aiuta, sanguinario e crudele quanto ne' tristi secoli di universale ignoranza.

Andarono soggetti al Santo Uffizio,l' anno 1699, fra Romualdo, laico Agostiniano, e sora Geltrude, bizzocca di San Benedetto: quegli per quietismo molinismo, eresia, questa per orgoglio, vanita', temerita', ipocrisia.  Ambo folli, per che il frate, con molte sentenze contrarie ai dogmi o alle pratiche del cristianesimo, diceva ricever angeli messaggeri da Dio, parlare ad essi, esser egli profeta, essere infallibile; e la Geltrude tener commercio di spirito e corporale con Dio, essere pura e santa, avere inteso dalla Vergine Maria non far peccato godendo in oscenita' col confessore; ed altri assai sconvolgimenti di ragione.

I santi inquisitori ed i teologi del Santo Uffizio avevano disputato piu' volte con quei miseri, che ostinati come mentecatti ripetevano deliri ed eresie.

Chiusi nelle prigioni, la donna per 25 anni, il frate per 18 (attesoche' gli altri sette li passo' in penitenza nei conventi di San Domenico) tollerarono i martirii piu' acerbi, la tortura, il flagello, il digiuno, la sete; e alla fine giunse il sospirato momento del supplizio. Avegnacche' gli inquisitori condannarono entrambi alla morte, per sentenze confermate dal vescovo Albaracin, stanziato a Vienna, e dal grande inquisitore di Spagna; dopo di che il devoto imperatore  Carlo VI comando' che quelle condanne fossero eseguite con la pompa dell' Atto di Fede.

Le quali sentenze amplificavano il santissimo tribunale, la dolcezza, la mansuetudine, la benignita' dei santi inquisitori; e incontro a' sensi tanto umani e pietosi, la malvagita', la irreligione, la ostinatezza dei due colpevoli. Poi dicevano la necessita' di mantenere le discipline della sacrosanta cattolica religione, e spegnere lo scandalo, e vendicare lo sdegno dei cristiani.

Il 6 di aprile di quell' anno 1724, nella piazza di Sant' Erasmo, la maggiore della cotta' di Palermo, fu preparato il supplizio . Vedevi nel mezzo, croce altissima di color bianco e dai lati due roghi chiusi, alto ciascuno dieci braccia, coperti da macchina di legno a forma di palco, alla quale ascendevasi per la gradinata; un tronco sporgeva dal coperchio di ogni rogo; altari di luogo in luogo, e tribune riccamente ornate ove stavano, disposte ad anfiteatro, dirimpetto alla croce; e nel mezzo edificio piu' alto, piu' vasto, ricchissimo di ornamenti per velluti, nastri dorati ed emblemi di religione.

Questo era per gli inquisitori; le altre logge per il vicere', l' arcivescovo, il senato, e per i nobili, il clero, o magistrati, le dame della citta'; il terreno per il popolo.

Ai primi albori le campane sonavano a penitenza; poi mossero le processioni di frati, di preti, le confraternite  cge, traversando le vie della citta', fatto giro intorno alla croce, si schierarono allo assegnato luogo. Popolata la piazza sin dalla prima luce, riempivano le tribune genti che, a corpi o a spicciolate, con abiti di gala, venivano al sacrificio; era pieno lo spettacolo; si attendevano le vittime. Gia' scorse di due ore il mezzo del giorno, mense innumerevoli ed abbondanti coprirono le tribune, cosi' che la scena, preparata a mestizia, muto' ad allegrezza.

Fra quali tripudi giunse prima la misera Geltrude, legata sopra un carro, con vesti luride, chiome sparse e gran berretto di carta che diceva il nome, scritto con dipinte fiamme do' inferno.

Convogliavano il carro, tirato da bovi neri e preceduto da lunga processione di frati, molti principi e duchi sopra cavalli superbi; e dietro, cavalcanti su mule bianche, seguivano tre padri inquisitori. Giunto il corteggio e consegnata la donna ad altri frati domenicani e teologi, per le ultime e finte pratiche di conversione, ricomparve corteggio simile al primo per il frate Romualdo; ed allora gli inquisitori sederono sulla magnifica ordinata tribuna.

Compiute le formalita', bandito ad alta voce l' ostinato proponimento dei colpevoli, lette le sentenze in latino, prima la donna sali' al palco, e due frati manigoldi la  legarono al tronco, e diedero fuoco alle chiome, imboitate innanzi di unguenti resinosi accio' le fiamme durassero vive intorno al capo; indi bruciarono le vesti, anch' esse intrise di catrame, e partirono.

La misera, rimasta sola sul palco, le ardevano sotto i piedi le fiamme, cadde col coperchio del rog; e scomparso il corpo, rimasero ai sensi degli spettatori i gemiti di lei; le fiamme, il fumo, che andavano ad oscurare l' alta croce di Cristo  svergognata.

Cosi' Fra Romualdo mori' nell' altro rogo dopo aver visto il martirio della compagna. Tra gli spettatori notavasi un drappello sordido, mesto, di 26 prigionieri del Santo Uffizio, voluti presenti alla cerimonia; i soli fra tutti che piangessero di quei casi, perciocche' gli altri, sia vilta', o ignoranza, o religion falsa, o empia superstizione, applaudivano l' infame olocausto.

Erano i tre inquisitori frati spagnoli; degli allegri assistenti non diro' i nomi, perche' i nipoti, assai migliori degli avi, arrossirebbero; ma sono in altre carte registrati; che raramente le pubbliche virtu', piu' raramente i falli, rimangono nascosti. 

Descrisse quell' atto in grosso volume  Antonio Mongitore; e dal dire e dalle sentenze si paleso' divoto o partigiano del Santo Uffizio; egli, lodato per altre opere  e soprattutto per la biblioteca siciliana, chiaro mostro' che la dolcezza delle lettere umane era stata in lui vinta dagli errori del tempo e dalla intolleranza del suo stato. Era canonico della cattedrale.

 

 

B A S E                H O M E

 

 

F  I  N  E