Vetrinetta di antiche novelle

 

2.

 

GianBattista Basile.  Nato in Napoli verso il 1575 da famiglia assai povera, tent� presto la fortuna arruolandosi nell�esercito veneziano ove, in Candia, si distinse, oltrech� come soldato, anche come compositore di rime,  cose che gli valsero la protezione delle importanti famiglie dei Malipieri, dei Mocenigo e dei Morosini. Dovette, anzi, essere uomo di ottimo carattere poich�, dovunque and�, fu protetto.

Dal 1610 (o 12) fu in Mantova, gentiluomo del cardinal Gonzaga, e successivamente in Napoli, ove ricevette incarichi da governatore in Montemarano, Lagonegro e Giugliano, localit� ove, il 28 febbraio 1632, mor�.

Fecondo d�opere in poesia e prosa, scritte per la maggior parte in dialetto napoletano, fu autore di madrigali, componimenti pastorali, tragedie (La Venere addolorata, Le avventurose disavventure, Il pianto della Vergine), favole e novelle, le pi� fortunate delle quali furono raccolte e pubblicate, nel 1634, sotto il titolo �Lo cunto de li cunti o vero lo trattenimento de� piccerille�, ove l�autore fu presentato con lo pseudonimo di Gian Alessio Abbattutis. L�opera propone cinquanta racconti popolareschi, narrati in cinque giornate.

Ripresa, da editori successivi, sotto il titolo di �Pentamerone�, fu versata in lingua italiana da Benedetto Croce (Bari, Laterza, 1923).

 
 

 

Gagliuso

 

C'era una volta, nella citt� di Napoli mia, un vecchio pezzente che era cos� spiantato, stremato e disperato, cos� trito, brullo e senza l'ombra di un grano nell'ombra della borsa, che andava nudo come il pidocchio.

Giunto all�ora in cui gli toccava scuotere i sacchi della vita (Qui il Basile pigia un po� il suo barocco; oggi potremmo dire: ��giunto nell�ora di presentarsi nel tribunale di Dio��o anche pi� brevemente) per farne cadere quanto ancora vi rimanesse, chiam� a s� i suoi due figli, Oraziello e Gagliuso, e tenne loro questo discorso: - Gi� sono stato citato, giusta il tenore dell�istrumento, per debito che ho con la natura; e credetemi, se siete cristiani, che io avrei un piacere grande a uscire da questo mandracchio  (molo peschereccio, ove in genere la confusione � grande) di affanni, da questa catorbia (luogo dove si vede oscuro) di travagli, se non fosse che io vi lascio sulla nuda terra, grandi quanto la chiesa di Santa Chiara, alle cinque vie di Melito (crocevia verso Aversa, frequentato da accattoni), e senza una maglia, netti come un bacile da barbiere, lesti come sergenti, asciutti come osso di prugna, che avete quanto porta nel piede una mosca e, se correte cento miglia, non vi cade un picciolo. (Un barocco, per�, assai colorito, che d� ragione alle opinioni del Croce).

-   La sorte mi ha cos� ridotto, che non ho se non la vita, e come mi vedi cos� mi scrivi (si intende: fai l�inventario scritto di ci� che ho), perch� sempre, come sapete, ho fatto sbadigli e crocette (sbadigli per fame e scongiuri) e sempre mi sono coricato senza candela. Con tutto ci� voglio pure, alla morte mia, lasciarvi qualche segno di amore. Perci� tu, Oraziello, che sei il primogenito mio, pigliati quel crivello che sta appeso al muro, col quale puoi guadagnarti il pane; e tu, che sei casalingo, pigliati il gatto, e ricordatevi del padre vostro.

Cos� parlando, ruppe in pianto e, poco di poi, disse: - Addio, che � notte.

Oraziello, provveduto a seppellire il padre per limosina, si tolse il crivello e and� cercando di qua e di l� per guadagnarsi la vita, e quanto pi� cerneva (setacciava) e pi� guadagnava.

Ma Gagliuso, toltosi in gatto, si lament�: - Ora vedi che sorta di eredit� mi ha lasciato mio padre! Non ho da campare per me, e ora dovr� fare le spese a due. Perch� questo tristo lascito? Meglio se ne avessi fatto di meno! �

Il gatto, che ud� questa fastidiosa querela, gli disse: - Tu ti lamenti del troppo, ed hai pi� fortuna che senno! Non conosci la tua sorte, che io sono buono a farti ricco, se mi ci metto. �

Gagliuso, a quella speranza, ringrazi� la Gatteria sua, e, lisciandole tre o quattro volte la schiena, le si raccomand� caldamente.

Compassionevole di lui, il gatto, ogni mattina, quando il Sole con l�esca della luce posta nell�amo d�oro pesca le ombre della notte, prese a recarsi o alla marina di Chiaia o alla Pietra del pesce, e, adocchiando qualche grosso cefalo o qualche buona orata, se l�arraffava e la portava al re. Al quale, nel presentarla, diceva:

-  Il signor Gagliuso, schiavo devotissimo di Vostra Altezza, vi manda questo pesce, con riverenza e dimandando indulgenza. A gran signore, piccolo presente.

E il re, con volto allegro, come si usa a chi porta doni, rispondeva: -  D� a questo signore che io non conosco, che lo ringrazio a gran merc�. �

Qualche altra volta, il gatto correva ai luoghi ove c�era la caccia, alle Paludi o agli Astroni; e come i cacciatori facevano cadere qualche rigogolo o cinciallegra o capinera, la raccoglieva e la portava al re con ambasciata dello stesso tenore. E tante volte us� quest�artifizio, finch� il re, un giorno, gli disse: -  Io mi sento cos� obbligato a codesto signor Gagliuso, che desidero conoscerlo per rendergli il contraccambio dell�amorevolezza che mi ha mostrata. �

Il gatto rispose: - Il desiderio del signor Gagliuso � di metter la vita e il sangue per la vostra corona; e domattina senz�altro, quando il sole avr� dato fuoco alle ristoppie dei campi dell�aria, verr� a farvi riverenza.

Ma, venuta la mattina, il gatto si ripresent� al re: - Signor mio, il signor Gagliuso si manda a scusare se non viene, perch� questa notte certi suoi camerieri lo hanno derubato, lasciandolo senza nemmeno una camicia. �

Il re, udito ci�, fece prendere subito dalla sua guardaroba vestiti e biancheria, e li mand� a Gagliuso, che, due ore dopo, venne al palazzo guidato dal gatto.

Il re gli fece mille complimenti, volle che gli sedesse accanto e gli di� un banchetto magnifico. Ma mentre si mangiava, Gagliuso di tanto in tanto si voltava al gatto, dicendogli: - Micio mio, ti siano raccomandati quei miei quattro stracci, che non vadano alla malora � E il gatto rispondeva: - Sta zitto, tura (taci), non parlare di queste pezzenterie! �

E volendo il re sapere se gli bisognava qual cosa, il gatto rispondeva per lui, che gli era venuta voglia di un piccolo limoncello; e il re and� subito al giardino a prenderne un cestino.

Gagliuso, dopo un po�, torn� alla stessa musica dei panni e dei cenci suoi; e il gatto torn� a dire che turasse la bocca, e il re domand� di nuovo quel che gli occorresse; e il gatto pronto con un�altra scusa, per rimediare alla vilt� di Gagliuso. Alla fine, dopo che si fu mangiato e discorso per un pezzo di questo e di quello, Gagliuso si accomiat�.

Il gatto, rimasto solo col re, si fece a descrivere il valore, l�ingegno e, soprattutto, la gran ricchezza che Gagliuso si trovava di possedere nelle campagne di Roma e di Lombardia, e per la quale meritava d�imparentarsi con un re di corona. Il re domand� a quanto potesse ascendere quella ricchezza; e il gatto rispose che non era possibile fare il conto dei mobili, degli stabili e delle suppellettili di questo riccone, che non sapeva lui stesso quel che possedeva.; e che, se il re voleva informazione, mandasse con lui gente sua fuori del regno, che gli avrebbe fatto conoscere per prova, che non c�era ricchezza al mondo pari a quella.

Il re comand� ad alcune persone sue fide che avessero preso minuta informazione del fatto, le quali andarono sulle orme del gatto. E questo, col pretesto di far loro trovare rinfresco per la strada, di posta in posta, come fu uscito dai confini del regno, correva innanzi, e quante greggie di pecore, mandrie e buoi, razze di cavalli incontrava, diceva ai pastori e guardiani: - Ol�, state all�erta, che una banda di briganti vogliono mettere a sacco quanto si trova in questa campagna; ma se volete salvarvi dalla loro furia e che vi sia portato rispetto, dite che � roba del signor Gagliuso, e non vi sar� toccato un pelo. �

Il simile diceva per le masserie per le quali passava: cosicch�, dovunque le persone del re arrivavano, trovavano una zampogna accordata, e si sentivano dire che tutte le cose che vedevano, erano del signor Gagliuso.

E stanchi di pi� domandare e di udire la medesima risposta, se ne tornarono al re, riportandogli mari e monti della ricchezza del signor Gagliuso. A questa relazione, il re promise una buona mancia al gatto, se trattava il matrimonio della sua figliuola col signor Gagliuso.

E il gatto, fatta la spola di qua e di l�, all�ultimo concluse il parentado.

Venne Gagliuso, e il re gli consegn� la figliuola e una grossa dote; e dopo un mese intero di festeggiamenti, quegli disse che voleva condurre la sposa alle terre sue e, accompagnato dal re sino ai confini, part� per la Lombardia, dove, per consiglio del gatto, compr� territori e terre e divenne barone.

 

Ora Gagliuso, vedendosi ricco sfondato, rese grazie al gatto che non si potevan maggiori, dicendogli che da esso e da� suoi buoni uffici riconosceva la vita e la grandezza sua, e che l�arte di un gatto gli aveva reso maggior giovamento che non l�ingegno del padre. Perci� esso poteva fare e disfare e disporre a piacimento  della roba e della vita sua; e gli di� parola che quando fosse morto, di l� a cento anni!, l�avrebbe fatto imbalsamare e porre dentro una gabbia d�oro nella stessa camera sua.

Non passarono tre giorni da questa millanteria, che il gatto, fingendosi morto, si lasci� trovare steso lungo lungo per terra.

Lo vide la moglie di Gagliuso e grid�: - O marito mio, quale grande sventura! Il gatto � morto! �

-  Si porti con s� ogni male! � rispose Gagliuso � meglio a lui che a noi.

-   Che cosa ne faremo? � replic� la moglie. E quello: - Prendilo pel piede e buttalo dalla finestra! �

Il gatto, che ud� questo bel rimeritamento, che mai si sarebbe immaginato, salt� sulle quattro zampe e disse:

-  Questa � la gran merc� dei pidocchi che ti ho tolto dalla persona? Questo � il �mille grazie� pei cenci che t�ho levato di dosso, ai quali si potevano sospendere i fusi? (erano sbrindellati, ridotti a filo). Questo � il ricambio di averti posto in forma di ragno, e di averti sfamato, pezzente, straccione? Che eri sbrindellato, strappato, sfilacciato, cencioso e pidocchioso? Cos� accade a chi lava la testa all�asino! Va, che ti sia maledetto quanto ti ho fatto, che non meriti che ti sia sputato in gola! Bella gabbia d�oro che mi avevi apparecchiata! Bella tomba che m�avevi assegnata! Servi tu, stenta, fatica, suda; ed ecco il bel premio! O misero chi mette la pentola a speranza d�altri! Disse bene quel filosofo: - chi ciuco si corica, ciuco si trova! In breve, chi pi� fa, meno aspetti. Ma buone parole e tristi fatti ingannano savi e matti! -

Cos� parlando e scotendo il capo, infil� la via dell�uscio; e per quanto Gagliuso, col polmone (cibo per gatti) dell�umilt�, cercasse di rabbonirlo, non vi fu rimedio che tornasse indietro. Ma, sempre correndo senza voltare la testa, borbottava:

Dio ti guardi da ricco impoverito

E da pezzente quando � risalito!

 

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