G A L A T E O

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capi  19 - 24.

 

 

CAPO   XIX

 

Non doversi in conto niuno adoperare scherni;

in che gli scherni sieno differenti dalle beffe:

da queste ancora generalmente doversi ognuno guardare: quando si adoperino, con che cautela debbano usarsi:

di che sorta di motti; niuno dover mai usare motti che mordano.

 

Schernire non si dee mai persona, quantunque inimica; perch� maggior segno di dispregio pare che si faccia schernendo; conciossia che le ingiurie si fanno, o per istizza, o per alcuna cupidit�; e niuni � che si adiri con cosa o per cosa che egli abbia per niente, o che appetisca quello che egli sprezza del tutto: sicch� dello ingiuriato si fa alcuna stima e dello schernito niuna, o piccolissima.

Ed � lo scherno un prendere la vergogna che noi facciamo altrui, a diletto, senza pro alcuno di noi.

Per la qual cosa si vuole nell' usanza astenersi di schernire nessuno: in che male fanno quelli che rimproverano i difetti della persona o coloro che gli hanno, o con parole, come fece messer Forese da Rabatta delle fattezze del maestro Giotto ridendosi, o con atti, come molti usano contraffacendo gli scilinguati, o zoppi, o qualche gobbo, similmente chi si ride d' alcuno sformato o mal fatto, o sparuto, o piccolo.

O di sciocchezza che altri dica, fa la festa e le risa grandi; e chi si diletta di fare arrossire altrui, i quali dispettosi modi sono meritamente odiati.

 

E a questi sono assai simiglianti i beffardi, cio� coloro che si dilettano di far beffe e di uccellare ciascuno, non per ischerno ne' per disprezzo, ma per piacevolezza.

 

E sappi che niuna differenza � da schernire a beffare, se non fosse il proponimento o la intenzione che l' uno ha diversa dall' altro, conchessia che le beffe si fanno per sollazzo, e gli scherni per istrazio, come che nel comune favellare e nel dettare si prenda assai spesso l' un vocabolo per l' altro.

Ma chi schernisce sente contento della vergogna altrui; e chi beffa prende dello altrui errore, non contento, ma sollazzo, laddove della vergogna di colui medesimo per avventura prenderebbe cruccio e dolore.

 

E come che io nella fanciullezza poco innanzi procedessi nella grammatica, pur mi voglio ricordare che Mizione, il quale amava cotanto Eschine, che egli stesso aveva di ci� maraviglia, nondimeno prendeva talora sollazzo di beffarlo, come quando e' disse seco stesso: - Io vo' fare una beffa a costui.

Sicch� quella medesima cosa a quella medesima persona fatta, secondo la intenzione di colui che la fa, mostra essere beffa e scherno.

 

E perciocch� il nostro proponimento male pu� essere palese altrui, non � util cosa nella usanza fare arte cos� dubbiosa e sospettosa; e piuttosto si vuol fuggire, che cercare di esser tenuto beffardo, poich� molte volte interviene in questo, come nel ruzzare o scherzare, che l' uno batte per ciancia, e l' altro riceve la battitura per villania, e di scherzo fanno zuffa. Cos� quegli che � beffato per sollazzo e per dimestichezza, si reca talvolta ci� ad onta e a disonore, e prendene sdegno senza che la beffa � inganno, e a ciascuno naturalmente duole di errare e di essere ingannato.

Sicch� per pi� cagioni pare che chi procaccia di esser ben voluto e avuto caro, non debba troppo farsi maestro di beffe.

 

Vera cosa � che noi non possiamo in alcun modo menare questa faticosa vita mortale del tutto senza sollazzo, ne' senza riposo, e perch� le beffe ci sono cagione di festa e di riso, e per conseguente di ricreazione, amiamo coloro che sono piacevoli, e beffardi, e sollazzevoli.

 

Per la qual cosa pare che sia da dire in contrario, cio� che pur si convenga beffare alle volte e similmente motteggiare.

 

E senza fallo coloro che sanno beffare con amichevol modo, e dolce, sono pi� amabili che coloro che nol fanno, ne' possono fare. Ma egli � di mestiere avere riguardo in ci� a molte cose.

 

E conciossia che la intenzione del beffatore � di prender sollazzo dello errore di colui di cui egli fa alcuna stima, bisogna che l' errore, nel quale colui si fa cadere, sia tale che nessuna vergogna notabile, ne' alcun grave danno gliene segua: altrimenti mal si potrebbono riconoscere le beffe dalle ingiurie.

 

E sono ancora di quelle persone con le quali, per l' asprezza loro, in niuna guisa si dee motteggiare; siccome Biondello pot� sapere da Filippo Argenti nella loggia de' Caviccioli.

 

Medesimamente non si dee motteggiare nelle cose gravi, e meno nelle vituperose opere, perci� che pare che l' uomo, secondo il proverbio del comun popolo, si rechi la cattivit� a scherzo, comech� a Madonna Filippa da Prato molto giovassino le piacevoli risposte fatte intorno alla sua disonest�.

 

Per la quel cosa non credo io che Lupo degli Uberti alleggerisse la sua vergogna; anzi la aggrav� scusandosi per motti della cattivit� e della vita da lui dimostrata, che potendosi tenere nel castello di Laterina, vedendosi steccare intorno e chiudersi, incontinenti il diede, dicendo che niuno lupo era uso di star rinchiuso.

Perch�, dove non ha luogo il ridere, quivi si disdice il motteggiare e il cianciare.

 

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CAPO  XX

 

Si tratta distintamente de' motti: deggiono essere leggiadri e sottili; son propri degl' ingegni acuti e non l' usino chi non ne ha disposizione di natura ad usarli.

Come uno possa conoscere s' egli abbia o no abilit� a motteggiare  con piacevolezza.

 

E dei oltre a ci� sapere che alcuni motti sono che mordono, e alcuni che non mordono.

De' primi voglio che ti basti il savio ammonimento che Lauretta ne diede: cio� che i motti, come la pecora morde, cos� mordono l' uditore, e non certo come il cane; perciocch� se come il cane mordesse, il motto non sarebbe motto, ma villania.

E le leggi, quasi in ciascuna citt�, vogliono che quegli che dice altrui alcuna grave villania, sia gravemente punito; e forse che gli convenga ordinar similmente non leggieri disciplina a chi mordesse per via di motti oltre il convenevole modo. Ma gli uomini costumati deono far ragione che la legge, che dispone sopra le villanie, si stenda eziandio ai motti, e di rado e leggermente pungere altrui.

 

Ed oltre a tutto questo s� dei tu sapere che il motto, come che morda o non morda, se non � leggiadro e sottile, gli uditori niuno diletto ne prendono, anzi, ne sono tediati. Se pur ridono, si ridono non del motto, ma del motteggiatore.

E perciocch� niuna altra cosa sono i motti, che inganni, e lo ingannare, siccome sottil cosa e artificiosa, non si pu� fare se non per gli uomini di acuto e di pronto avvedimento, e specialmente improvviso. Perci� non convengono alle persone materiali e di grosso intelletto.

Ne' pure ancora a ciascuno il cui ingegno sia abbondevole e buono, s� come per avventura non convennero gran fatto a Messer Giovanni Boccaccio; ma sono i motti speziale prontezza e leggiadria e tostano [richiedono tosto] movimento d' animo.

 

Per la qual cosa gli uomini discreti non riguardano in ci� alla volont�, ma alla disposizion loro, e provato che essi hanno una e due volte le forze del loro ingegno in vano, conoscendosi a ci� poco destri, lasciano stare di pur voler in s� fatto esercizio adoperarsi. Acciocch� non avvenga loro quello che avvenne al cavalier di madonna Oretta.

E se tu porrai mente alle maniere di molti, tu conoscerai agevolmente ci� che io ti dico, esser vero. Cio� non ist� bene il motteggiare a chiunque vuole, ma solamente a chi pu�.

 

E vedrai tale avere ad ogni parola apparecchiato uno, anzi molti, di quei vocaboli che noi chiamiamo "Bisticcichi" di niun sentimento; e tale scambiar le sillabe ne' vocaboli per frivoli modi e sciocchi; e altri dire o rispondere altrimenti che non si aspettava, senza alcuna sottigliezza e vaghezza.

- Dove � il Signore? - Dove egli ha i piedi; e

- Gli fece ugner le mani con la grascia di San Giovanni Boccadoro; e

- Dove mi manda egli? - Ad Arno; e

- Io mi voglio radere - e sarebbe meglio rodere [oppure] - Va, chiama il Barbieri - e perch� no il barbadomani?

I quali, come tu puoi agevolmente conoscere, sono vili modi e plebei. Cotali furono per lo pi� le piacevolezze e i motti di Dioneo.

 

Ma della pi� bellezza de' motti non fa nostra cura di ragionare al presente, conciossia che altri trattati ce ne abbia distesi da troppo migliori dettatori e maestri che io non sono.

E ancora perciocch� i motti hanno incontinente larga e certa testimonianza della loro bellezza e della loro spiacevolezza.

Sicch� solo potrai errare in ci�, solo che tu non sii soverchiamente abbagliato di te stesso.

Perciocch�, dove � piacevol motto esso � tantosto festa e riso, e una cotal maraviglia.

Laonde, se le tue piacevolezze non saranno approvate dalle risa de' circostanti, s� ti rimarrai tu di pi� motteggiare, perciocch� il difetto fia pur tuo e non di chi ti ascolta; conciossia cosa che gli uditori, quasi solleticati dalle pronte, e leggiadre o sottili risposte, o proposte, eziandio volendo, non possono tener le risa, ma ridono mal loro grado.

Da' quali, s� come da diritti e legittimi giudici, non si dee l' uomo appellare a s� medesimo, ne' mai pi� riprovarsi.

 

Ne' per far ridere altrui si vuol dire parole, ne' fare atti vili ne' sconvenevoli, storcendosi il viso e contraffacendosi; che niuno dee, per piacere altrui, avvilire s� medesimo; che � arte non di nobile uomo, ma di giocolare e di buffone.

 

Non sono dunque da seguitare i volgari modi e plebei di Dioneo:

- Madonna Aldruda, alzate la coda.

Ne' fingersi matto, ne' dolce di sale; ma a suo tempo dire alcuna cosa bella e nuova, e che non caggia cos� nell' animo a ciascuno, chi pu�, e chi non pu�. tacersi.

Perciocch� questi sono movimenti dello intelletto, i quali, se sono avvenenti e leggiadri, fanno seguo e testimonianza della destrezza dell' animo e dei costumi di chi gli dice. La qual cosa piace sopramodo agli uomini e rendeci loro cari e amabili.

Ma se essi sono al contrario, fanno contrario effetto, perciocch� pare che l' asino scherzi, o che qualcuno forte, grasso e naticuto, danzi e salti, spogliato in farsetto.

 

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CAPO  XXI

 

Del favellare disteso e continuato.

Si danno le regole per fare un racconto con leggiadria e piacere degli uditori.

 

Un' altra maniera si trova di sollazzevoli modi, pura posta nel favellare; cio� quando la piacevolezza non consiste in motti, che per lo pi� sono brievi, ma nel favellar disteso e continuato.

Il quale vuole essere ordinato e bene espresso, e rappresentante i modi e le usanze , gli atti e i costumi di coloro dei quali si parla, s� che all' uditore sia avviso non di udir raccontare, ma di veder con gli occhi fare quelle cose che tu narri.

Il che ottimamente seppono fare gli uomini e le donne del Boccaccio, comech� pure talvolta, se io non erro, si contraffacessero pi� che a donna o a gentiluomo non si sarebbe convenuto, a guisa di coloro che recitano le commedie.

E a voler ci� fare bisogna aver quello accidente o a novella o istoria che tu pigli a dire, bene raccolta nella mente, e le parole pronte e apparecchiate s� che non ti convenga tutta tratto dire:

- Quella cosa..., e - Quel cotale..., e - Quel come si chiama...; ne' - Quel lavorio, ne' - Aiutatemi a dire, e - Ricordatemi come egli ha nome; perciocch� questo � appunto il trotto del cavaliere di Madonna Oretta.

 

E se tu reciterai uno avvenimento nel quale intervenghino molti, non dei dire: - Colui disse, e - Colui rispose. Perciocch� tutti siamo colui; sicch� chi ode, facilmente erra.

Convien adunque che chi racconta ponga i nomi, e non gli scambi.

 

E oltre a ci� si dee l' uomo guardare di non dire quelle cose, le quali taciute, la novella sarebbe non meno piacevole, o per avventura ancora pi� piacevole.

Il tale, che fu figliol del tale che stava a casa di via del Cocomero ....non conosceste voi? che ebbe per moglie quella del Gianfigliazzi? una cotal magretta che andava alla messa di San Lorenzo? Come no? - Anzi, non conosceste altri. Un bel vecchio diritto che portava la zazzera ... non ve ne ricordate voi?

Perciocch� se fosse tutto uno che il caso fosse avvenuto ad un altro, come a costui, tutta questa lunga questione sarebbe stata di poco frutto, anzi di molto tedio a coloro che ascoltano e sono vogliosi e frettolosi di sentire quello avvenimento, e tu gli aresti fatto indugiare, s� come per avventura fece il nostro Dante:

 

E li parenti miei furon lombardi

e mantovani per patria ambidui

 

Perciocch� niente rilevava se la madre di lui fosse stata da Gazzuolo, o anco da Cremona.

 

Anzi, apparai io gi� da un gran retorico forestiero uno assai utile ammaestramento intorno a questo; cio� che le novelle si deono comporre e ordinare  prima co' soprannomi, e poi raccontare co' nomi, perciocch� quelli sono posti secondo la qualit� delle persone, e questi secondo l' appetito de' padri o di coloro a chi tocca.

Per la qual cosa colui, che in pensando fu Madonna Avarizia, in proferendo sar� Messer Erminio Grimaldi, se tale sar� la generale opinione, che la tua contrada ar� di lui, quale a Guglielmo Borsieri fu detto esser di Messer Erminio di Genova.

E se nella terra ove tu dimori, non avesse persona molto conosciuta che si confacesse al tuo bisogno, s� dei tu figurar il caso in altro paese, e il nome imporre come pi� ti piace.

 

Vera cosa � che con maggiore piacere si suole ascoltare e pi� aver dinanzi agli occhi quello che si dice essere avvenuto alle persone che noi conosciamo, se l' avvenimento � tale che si confaccia a loro costumi, che quello che � intervenuto agli strani e non conosciuti da noi; e se la ragione � questa: che sapendo noi che quel tale suol fare cos�, crediamo che cos� egli abbia fatto, e riconosciamolo come presente; dove degli strani non avvien cos�.

 

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CAPO  XXII

 

In ogni discorso le parole dover esser chiare;

proprie di ci� che si dee significare.

Far meglio ognuno a parlare nel proprio che nell' altrui linguaggio.

Doversi schifare i vocaboli meno che onesti,

e inoltre, le parole vili.

Doversi ognuno avvezzarsi al parlar modesto e dolce, guardandosi dalle maniere aspre e ruvide.

 

Le parole s� nel favellare disteso, come negli altri ragionamenti, vogliono essere chiare, s� che ciascuno della brigata le possa agevolmente intendere; e oltre a ci� belle, in quanto al suono e in quanto al significato; perciocch� se tu arai da dire una di queste due, dirai piuttosto il ventre, che l' epa, e dove il tuo linguaggio lo sostenga, dirai piuttosto la pancia, che il ventre, o il corpo.

Perciocch� cos� sarai inteso, e non frainteso, siccome noi Fiorentini diciamo; e di niuna bruttura farai sovvenire all' uditore.

La qual cosa volendo l' ottimo Poeta nostro schifare, siccome io credo, in questa parola stessa, procacci� di trovare altro vocabolo; non guardando, perch� alquanto gli convenisse scostarsi, per prenderlo di altro luogo, e disse:

 

Ricordati, che fece il peccar nostro

Prender Dio, per scamparne,

Umana carne al tuo virginal chiostro

 

E comech� Dante, sommo poeta altres� poco a cos� fatti ammaestramenti ponesse mente, io non sento perci� che di lui si dica per questa cagione bene alcuno; e certo io non consiglierei che tu lo volessi fare tuo maestro in quest' arte dello esser grazioso, conciossia cosa che egli stesso non fu, anzi, in alcuna cronica trovo cos� scritto di lui.

Questo Dante, per suo sapere, fu alquanto presuntuoso e schifo, e sdegnoso, e quasi a guisa di filosofo, mal grazioso, non ben sapeva conversare co' laici.

 

Ma, tornando alla nostra materia, dico che le parole vogliono essere chiare, il  che avverr� se tu saprai scegliere quelle che sono originali di sua terra, che non siano perci� antiche tanto che elle siano divenute rance  e viete, e come logori vestimenti, diposte [buttate gi�] e tralasciate, s� come:

- spaldo [sta per spalto, terrapieno], epa, uopo, sezzaio e primaio ["da i primieri ai sezzai, di voce in voce passa il terror. T. Tasso (Treccani)].

E oltre a ci�, se le parole che tu arai per le mani saranno non di doppio intendimento, ma semplici, perciocch� di quelle accozzate insieme si compone quel favellare che ha nome enigma, e in pi� chiaro volgare si chiama gergo:

 

Io vidi un che da sette passatoi

fu da un canto all' altro trapassato

 

Ancora vogliono esser le parole il pi� che si pu� appropriate a quelle che altrui vuol dimostrare, e meno che si pu� comuni ad altre cose, perciocch� cos� pare che le cose stesse si rechino in mezzo, e che elle si mostrino, non con le parole, ma con esso il dito: e perci� pi� acconciamente diremo:

- riconosciuto alle fattezze, che alla figura o alla immagine;

e meglio rappresent� Dante la cosa detta, quando e' disse:

 

che li pesi

fan cos� cigolar le sue bilancie,

 

che se egli avesse detto o gridare, o stridere, o far romore.

 

E pi� singolare � il dire: il ribrezzo della quartana, che se noi dicessimo, il freddo;

e la carne soverchio grassa stucca, che se noi dicessimo, sazia; e sciorinare i panni, e non ispandere; e i moncherini, e non le braccia mozze; 

e all' orlo dell' acqua di un fosso:

 

stan li ranocchi  pur col muso fuori

 

e non con la bocca; i quali tutti sono vocaboli di singolare significazione; e similmente il vivagno della tela, piuttosto che l' estremit�.

 

E so io bene che se alcun forestiero, per mia sciagura, s' abbattesse a questo trattato, egli si farebbe beffe di me, e direbbe ch' io ti insegnassi a favellare in gergo, ovvero in cifera; condiossia che questi vocaboli sieno per lo pi� cos� nostrani, che alcuna altra nazione non li usa; e usati da altri, non gl' intende.

 

E chi � colui che sappia ci� che Dante si volesse dire in quel verso:

Gi� veggia, per mezzul, perdere o lulla?

 

Certo io credo che nessun altro che noi Fiorentini.

 

Ma nondimeno, secondo  a me � stato detto, se alcun fallo ha pure in quel testo di Dante, egli non l' ha nelle parole. Ma se egli err�, piuttosto err� in ci� che egli, s� come uomo alquanto ritroso, imprese a dire cosa malagevole ad isprimere con parole; e per avventura poco piacevole ad udire, che perch� egli la isprimesse male.

 

Niun puote adunque ben favellare con chi non intende il linguaggio nel quale egli favella: ne' perch� il Tedesco non sappia latino, debbiam noi per questo guastar la nostra loquela in favellando con esso lui, ne' contraffarci, a guisa di Mastro Brufaldo; s� che sogliono fare alcuni che, per la loro sciocchezza, si sforzano di favellar nel linguaggio di colui con cui favellano, quale egli sia, e dicono ogni cosa a rovescio; e spesso avviene che lo Spagnuolo parler� Italiano con lo Italiano, e lo Italiano faveller� per pompa e per leggiadria con esso lui Spagnuolo; e nondimeno assai pi� agevol cosa � il conoscere che ambedue favellano forestiero, che il tener le risa delle nuove sciocchezze che loro escono di bocca.

 

Favelleremo adunque noi nell' altrui linguaggio, qualora ci far� mestiero di essere intesi per alcuna nostra necessit�, ma nella comune usanza favelleremo pure nel nostro, eziandio non buono, piuttosto che nell' altrui migliore; perci� che pi� acconciamente faveller� un Lombardo nella sua lingua, quale � la pi� difforme, che egli non parler� Toscano o d' altro linguaggio; pure per ci� che egli non ar� mai per le mani, per molto che egli si affatichi, s� bene i propri e particolari vocaboli, come abbiamo noi Toscani.

E se pure vorr� aver riguardo a coloro co' quali faveller�, e perci� astenersi da' vocaboli singolari, de' quali io ti ragionava, ed in luogo di quelli usare i generali e comuni, i costui ragionamenti saranno perci� di molto minor piacevolezza.

 

Dee oltre a ci� ciascun gentiluomo fuggir di dire le parole meno che oneste. E la onest� de' vocaboli consiste nel suono e nella voce loro, o nel loro significato; conciossia cosa che alcuni nomi venghino a dire cosa onesta, e nondimeno si sente risonare nella voce istessa alcuna disonest�, siccome rinculare.

La qual parola, ci� non ostante si usa tutto d� da ciascuno ... ma il nostro gusto per la usanza sente quasi il vino di questa voce, e non la muff� ...

Procurino di guardarsi, non solo dalle disoneste cose, ma ancora dalle parole, e non tanto da quelle che sono, ma eziandio da quelle che possono essere, o ancora parere, o disoneste, o sconce, e lorde, come alcuni affermano essere quelle, pur di Dante:

 

Se non ch' al viso e di sotto mi venta

 

... E dei sapere che, comech� due o pi� parole vengono talvolta a dire una medesima cosa, nondimeno, l' una sar� pi� onesta, e l' altra meno ... Anzi, non solo si dee altri guardare dalle parole disoneste e dalle lorde, ma eziandio dalle vili, e specialmente col� dove di cose alte e nobili si favelli; e per questa ragione forse merit� alcun biasimo la nostra Beatrice, quando disse:

 

L' alto fato di Dio sarebbe rotto;

Se Let� si passasse, e tal vivanda

Forse gustata senz' alcun scotto

Di pentimento ...

 

ch�, per avviso mio, non istette bene il basso vocabolo delle taverne in cos� nobile ragionamento.

 

Ne' dee dire alcuno La lucerna del mondo, in luogo del Sole, perci� che tal vocabolo rappresent� altrui il puzzo dell' olio e della cucina. Ne' alcuno considerato uomo direbbe che San Domenico fu il drudo della teologia, e non racconterebbe che i Santi gloriosi avessero dette cos� vili parole, come a dire:

 

E lascia pur grattar dov' � la rogna

 

che sono imbrattate della feccia del volgar popolo; s� come alcuno pu� agevolmente conoscere.

 

Adunque, ne' distesi ragionamenti si vogliono avere le sopraddette considerazioni e alcune altre; le quali tu potrai pi� adagio apprender da tuoi maestri, e da quell' arte che essi sogliono chiamare Retorica.

E negli altri bisogna che tu ti avvezzi ad usare le parole gentili e modeste e dolci, s� che niuno amaro sapore abbiano; e innanzi dirai: - Io non seppi dire -  che -  Voi non m' intendete - e - Pensiamo un poco se cos� � come noi diciamo -

piuttosto che dire: Voi errate - o - E' non � vero - o - Voi non lo sapete;

perocch� cortese e amabile usanza � lo scolpare altrui, eziandio in quello che tu intendi di incolparlo.

Anzi, si dee far comune l' error proprio dell' amico, e prenderne prima una parte del s�, e poi biasimare, o riprenderlo.

- Noi errammo la vita - e - Noi non ci ricordammo ieri di cos� fare;

come che lo smemorato sia pur colui solo, e non tu.

 

E quello che Bestagnone disse a' suoi compagni non istette bene: - Voi, se le vostre parole non mentono.

Perch� non si dee recar in dubbio la fede altrui, anzi, se alcuno ti promise alcuna cosa, e non te l' attenne, non ist� bene che tu dichi: - Voi mi mancaste della vostra fede - salvo che tu non fossi costretto da alcuna necessit�,  per la salvezza del tuo onore, a cos� dire.

 

Ma, se egli ti avr� ingannato, dirai: - Voi non vi ricordaste di cos� fare - e se egli non se ne ricord�, dirai piuttosto: - Voi non poteste - e - Non vi torn� a mente - che - Voi vi dimenticaste - o - Voi non vi curaste di attenermi la promessa - perciocch� queste s� fatte parole hanno alcuna puntura, e alcun veneno di doglianza e di villania, sicch� coloro che costumano di spesse volte dire, cotali motti sono riputati persone aspere e ruvide, e cos� � fuggito il loro consorzio, come si fugge di rimescolarsi fra' pruni e fra i triboli.

 

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CAPO  XXIII

 

Altre osservazioni circa il favellare.

Non si parli prima che si sia ben concepito il soggetto del discorso. Come di debba regolare la voce.

Le parole sieno bene ordinate.

Non si usino forme di dire pompose, non basse e plebee:

la maniera di pronunciare sia di dolcezza convenevole.

 

E perch� io ho conosciute di quelle persone che hanno una cattiva usanza, e spiacevole, cio� che cos� sono vogliosi e golosi di dire, che non prendono il sentimento, ma lo trapassano e corrono innanzi a guisa di veltro che non assanni.

Perci� non mi guarder� io di dirti quello che potrebbe parer soverchio a ricordare, come cosa troppo manifesta; e ci� �: che tu non d�i giammai favellare, che non abbi prima formato nell' animo quello che tu d�i dire. Che cos� saranno i tuoi ragionamenti parto, e non isconciatura.

Che bene mi comporteranno i forestieri questa parola, se mai alcuno di loro si curer� di leggere queste ciance.

E se tu non farai beffe del mio ammaestramento, non ti avverr� mai di dire: - Ben venga, Messere Aretino - a tale che ar� nome Agnolo e Bernardo, e non arai a dire: - Ricordatemi il nome vostro.

E non ti arai a ridire, ne' a dire: - Io non dissi bene - ne' - Domin ch' io lo dica - ne' a scilinguare o balbotire lungo spazio per rinvenire una parola.

- Maestro Arrigo, no, Maestro Arabico. O ve' che lo dissi, Maestro Agabito - che sono a chi t' ascolta, tratti di corda.

 

La voce non vuole essere ne' roca, ne' aspera. E non si dee stridere, ne' per riso o per altro accidente cigolare, come le carrucole fanno.

Ne' mentre che l' uomo sbadiglia, pur favellare.

Ben sai che noi non ci possiamo fornire ne' di spedita lingua, ne' di buona voce a nostro senno. Chi � scilinguato o roco non voglia sempre essere quegli che cinguetti, ma correggere il difetto della lingua col silenzio e con le orecchie; e anco si pu� con istudio scemare il vizio della natura.

 

Non ist� bene alzar la voce a guisa di banditore, ne' anco si dee favellare s� piano, che chi ascolta non oda.

E se tu non sarai stato udito la prima volta, non dei dire la seconda ancor pi� piano, ne' anco dei gridare, acciocch� tu non dimostri d' imbizzarrire, perci� che ti sia convenuto replicare quello che tu avevi detto.

 

Le parole vogliono essere ordinate secondo che richiede l' uso del favellar comune, e non avviluppate e intralciate qua e l�, come molti hanno usanza di fare per leggiadria; il favellar de' quali si rassomiglia pi� a notaio che legga in volgare lo istrumento che egli dett� in latino, che ad uom che ragioni in suo linguaggio, come � a dire:

 

Immagini di ben seguendo false

e

Del fiorir queste innanzi tempo tempie

 

i quali modi alle volte convengono a chi fa versi, ma a chi favella disdicono sempre.

 

E bisogna che l' uomo, non solo si discosti, in ragionando, dal versificare, ma eziandio dalla pompa dello arringare; altrimenti sar� spiacevole e tedioso ad udire, comech� per avventura, maggior maestria dimostri il sermonare che il favellare ; ma ci� si dee riservare a suo luogo.

Che chi va per via non dee ballare, ma camminare, con tutto che ognuno non sappia danzare e andar sappia ognuno; ma conviensi alle nozze, e non per le strade.

Tu ti guarderai adunque di favellar pomposo:

- Credesi per molti filosofanti... e tale � tutto il Filocolo, e gli altri trattati del nostro Messer Giovan Boccaccio, fuori che la maggior opera , e ancora pi� di quella, forse, il Corbaccio.

 

Non voglio perci� che ti avvezzi a favellare s� bassamente come la feccia del popolo minuto, e come la lavandaia e la trecca [erbivendola e fruttivendola], ma come i gentiluomini, la qual cosa come si possa fare io ti ho in parte mostrato di sopra, cio� che tu non favellerai di materia ne' vile, ne' frivola, ne' sozza, ne' abominevole.

E se tu saprai scegliere fra le parole del tuo linguaggio, le pi� pure e le pi� proprie, e quelle che miglior suono e migliore significazione aranno, senza alcuna rammemorazione di cosa brutta, ne' laida, ne' bassa; e quelle accozzare, non ammassandole a caso, ne' con troppo scoperto studio mettendole in filza.

 

E oltre a ci�, se tu procaccerai di compartire discretamente le cose che tu dire arai, e guardera' ti di congiungere le cose difformi tra s�, come:

 

Tullio e Livio, e Seneca morale

o pure:

L' uno era Padovano, e l' altro Laico

 

E se tu non parlerai s� lento, come svogliato, ne' s� ingordamente, come affamato, ma come temperato uomo dee fare.

E se tu profferirai le lettere e le sillabe con una convenevole dolcezza , non a guisa di maestro che insegni a leggere e a compitare a' fanciulli: ne' anco le masticherai, ne' inghiottiraile appiccate e impastricciate insieme l' una all' altra.

 

Se tu arai dunque a memoria questi e altri s� fatti ammaestramenti, il tuo favellare sar� volentieri e con piacere ascoltato dalle persone, e manterrai il grado e la degnit� che si conviene a gentiluomo bene allevato e costumato.

 

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CAPO  XXIV.

 

De' troppo verbosi; di que' che vogliono parlar soli;

di que' che interrompono altri che parla,

e de' difetti di varia sorta che in ci� si commettono.

Onde sia che spiaccia chi parla soverchio:

essere odioso anche il soverchio tacere, e se ne reca la ragione.

 

Sono ancora molti che non sanno restar di dire, e come nave spinta dalla prima fuga, per calar di vela non s' arresta, cos� costoro, trasportati da un certo impeto scorrono, e mancata la materia del loro ragionamento, non finiscono per ci�, anzi, o ridicono le cose gi� dette, o favellano a voto.

 

Ed alcuni altri tanta ingordigia hanno di favellare , che non lasciano dire altrui. E come noi veggiamo tal volta su per l' aie dei contadini l' un pollo torre la spica di becco al' altro, cos� cavano costoro il ragionamento di bocca a colui che egli cominci�, e dicono essi.

E sicuramente che eglino fanno venir voglia altrui di azzuffarsi con essi loro, perciocch�, se tu guardi bene, niuna cosa muove l' uomo pi� tosto ad ira, che quando improvviso gli � guasto la sua voglia e il suo piacere, eziandio minimo; s� come quando tu arai aperto la bocca per sbadigliare, e alcuno te la tura con mano, o quando tu hai alzato il braccio per trarre la pietra, egli t' � subitamente tenuto da colui che t' � di dietro.

 

Cos�, adunque, come questi modi, e molti altri a questi somiglianti, che tendono a impedire la voglia e l' appetito altrui, ancora per via di scherzo e per ciancia, sono spiacevoli e devono fuggirsi.

Cos�, nel favellare, si deve piuttosto agevolare il desiderio altrui, che impedirlo.

Per la qual cosa, se alcuno sar� tutto in assetto di raccontare un fatto, non ist� bene di guastarglielo, ne' di dire che tu lo sai.

O se egli ander� per entro la sua istoria spargendo alcuna bugiuzza, non si vuole rimproverarglielo, ne' con la parola, ne' con gli atti, ne' crollando il capo e torcendo gli occhi; s� come molti sogliono fare affermando s� non potere in modo alcuno sostenere l' amaritudine della bugia.

Ma egli non � questa la cagione di ci�, anzi � l' agrume e lo alo� [nel senso di droga] della loro rustica e aspera natura,  che gli si rende venenosi e amari nel consorzio degli uomini, e che ciascuno rifiuta.

 

Similmente il rompere altrui le parole in bocca � noioso costume, e spiace non altrimenti che quando l' uomo � messo a correre, e altri lo ritiene.

 

Ne' quando altrui favella, si conviene di fare s� che egli sia lasciato e abbandonato dagli uditori mostrando loro alcune novit� e rivolgendo la loro attenzione altrove; che non ist� bene ad alcuno licenziar coloro che altri, e non egli, invit�.

 

E vuolsi stare attento, quando l' uomo favella, acciocch� non ti convenga dire tratto tratto: -  Eh?, o - Come?; il quale vezzo sogliono avere molti; e non � ci� minore sconcio a chi favella, che lo intoppare nei sassi a chi va.

 

Tutti questi modi, e generalmente ci� che pu� ritenere, e ci� che si pu� attraversare al corso delle parole di colui che ragiona, si vuol fuggire.

 

E se alcuno sar� pigro nel favellare, non si vuol passargli innanzi, ne' prestargli le parole, comech� tu ne abbia dovizia, ed egli difetto; che molti lo hanno per male, e specialmente quelli che si persuadono di essere buoni parlatori.

 Perciocch� � loro avviso che tu non  gli abbi per quello che essi si tengono, e che tu gli vogli sovvenire nella loro arte medesima; come i mercatanti si recano ad onta che altri profferisca loro denari, quasi eglino non ne abbiano e siano poveri e bisognosi dell' altrui. E sappi che a ciascuno pare di saper ben dire, comech� alcuno per modestia lo neghi.

 

E non so io indovinare donde si proceda, che chi meno sa, pi� ragioni.

Della qual cosa, cio� del troppo favellare, conviene che gli uomini costumati si guardino, e spezialmente poco sapendo; non solo perch� egli � gran fatto che alcuno parli molto, senza afferrar molto, ma perch� ancora pare che colui che favella soprasti in un certo modo a coloro che odono, come maestro a' discepoli.

E perch� non ist� bene di appropriarsi maggior parte di questa maggioranza, che non ci si conviene; e in tal peccato cadono non pure molti uomini, ma molte nazioni favellatrici e seccatrici, s� che guai a quella orecchia che elle assannano.

 

Ma come il soverchio dire reca fastidio, cos� reca il soverchio tacere odio; perciocch� il tacersi col� dove altri parlano a vicenda, pare un non voler metter su la sua parte dello scotto, e perch� il favellare � un aprir l' animo tuo a chi t' ode.

Il tacere, per lo contrario, pare un volersi dimorare sconosciuto.

Per la qual cosa, come quei popoli che hanno usanza di molto bere alle loro feste, e d' inebbriarsi, soglion cacciar via coloro che non beono. Cos� sono questi cos� fatti mutoli mal volentieri veduti nelle liete e amichevoli brigate.

Adunque piacevol costume � il favellare, e lo star cheto ciascuno, quando la volta viene a lui.

 

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