P I T A G O R I S M O

                                                 Frammenti morali

                                                            3^ parte


                                         SENTENZE PITAGORICHE

 

     Le ultime due pagine di questo file riportano frammenti dalle "Sentenze Pitagoriche" e dalla "Vita Pitagorica", cos� come Giamblico e Stobeo la ripresero da uno scritto di Aristosseno, celebre musico e pitagorico tarantino del IV secolo a.C., contemporaneo di Archita, conoscitore dell'ambiente culturale della sua citt�. A differenza dei frammenti riguardanti gli Acusmi, queste pagine testimoniano di interessi psicologici e pedagogici assolutamente attuali.

      IAMBL.   V.P.  95-101.  -  T.C.   D 1,  1.

      Parler� ora dei compiti che Pitagora aveva assegnato ai suoi discepoli durante la giornata; perch� chi seguiva la sua guida operava secondo il programma seguente da lui prescritto.
      Costoro facevano passeggiate mattutine da soli in luoghi ove c'era calma e tranquillit� adatta, e dove erano templi e boschi e altre cose gradite all'animo.
      Pensavano, infatti, che non convenisse incontrarsi con qualcuno prima d'aver ben disposto la propria anima e riordinata la mente, e che a ben disporre la mente fosse adatta la tranquillit�, mentre il cacciarsi tra la folla appena alzati lo ritenevano causa di turbamento. Per questo, appunto, tutti i pitagorici sceglievano i luoghi che pi� avessero carattere sacro.
      Poi, dopo la passeggiata mattutina si incontravano fra loro, per lo pi� nei templi, o se no in luoghi simili. Era questo il momento adatto per l'insegnamento e l'apprendimento, e per la correzione dei costumi.
      Dopo tali occupazioni  passavano alla cura del corpo. I pi� si ungevano e si esercitavano nella corsa; in minor numero anche nella lotta, in giardini e boschi; altri ancora coi manubri e con movimenti cadenzati delle braccia, badando a scegliere esercizi adatti a irrobustire il corpo.
      A colazione prendevano pane e miele puro, o di favo; durante il giorno non bevevano vino.
      Dopo colazione si dedicavano agli affari riguardanti la propria citt�, o citt� straniere, o i forestieri, secondo che le leggi disponevano; ch� ogni provvedimento essi volevano prenderlo dopo colazione.
      Venuta la sera, di nuovo passeggiavano, non pi� da soli come la mattina, ma in due o tre, e richiamavano alla mente le cose apprese e si esercitavano in belle occupazioni.
      Dopo la passeggiata facevano il bagno, poi si recavano alle mense comuni. In ciascuna di queste si riunivano  non pi� di dieci uomini. Radunati tutti i commensali, si facevano libagioni e offerte di primizie e d'incenso. Poi iniziavano il pranzo, s� da terminare prima del tramonto. Prendevano vino, focaccia e pane, carne e verdure cotte e crude. Imbandivano carni di animali che � lecito sacrificare; raramente di pesci, perch� ritenevano, per certe loro ragioni, che alcuni di essi non giovassero alla salute.
      Dopo il pranzo si libava e si leggeva. Era consuetudine che il pi� giovane leggesse e il pi� anziano sorvegliasse che cosa si dovesse leggere, e come.
      Al momento di andarsene il coppiere versava loro il vino, per libare, e fatta la libagione il pi� anziano pronunciava queste parole: � "Non danneggiate o distruggete piante coltivate o da frutto, come anche animali che non siano nocivi all'uomo, inoltre abbiate animo buono e pio verso gli d�i, i d�moni e gli eroi,  ed uguali sentimenti abbiate verso i genitori e i benefattori; difendete la legge e combattete l'illegalit�".
      Terminate queste parole, ognuno tornava a casa.
      Usavano vesti bianche  e pulite, coperte bianche e pulite; le coperte erano panni di lino, che non facevano uso di lana. Non approvavano la caccia e non si davano a tale esercizio.
      Tali dunque erano, per quel sodalizio, le prescrizioni giornaliere riguardo al cibo e alle occupazioni della vita.
      E' stato tramandato anche un altro aspetto dell'educazione, dalle "Sentenze pitagoriche", ecc.

      IAMBL.  V.P.  163-166  [1  DK]  -  T.C.   D 1b, 61.

      Dicono che, tra le scienze, i Pitagorici onorarono soprattutto la musica, la medicina e la divinazione. Amavano tacere e ascoltare, e chi sapeva ascoltare era da essi lodato.
      Della medicina accoglievano principalmente le norme dietetiche, ed erano, nell'osservarle, rigorosissimi.
      Cercavano, in primo luogo, di stabilire i termini di una giusta misura dei cibi, delle bevande e del riposo; in secondo luogo studiavano la preparazione stessa delle vivande, della quale furono i primi, si pu� dire, a occuparsi e a stabilire le norme.
      I Pitagorici usarono la terapia dei cataplasmi pi� di quanto non si facesse prima, mentre in minor conto tenevano le medicine; di questi si servivano nella cura delle ferite, e meno di tutto approvavano i tagli e le cauterizzazioni.
      Ricorrevano anche agli incantesimi, per alcune specie di infermit�. Ritenevano che anche la musica giovi molto alla salute , quando sia usata nei modi convenienti; e anche di detti scelti di Omero e di Esiodo si servivano per correggere l'anima.
      Stimavano poi che si deve trattenere e conservare nella memoria tutto ci� che viene insegnato e spiegato, e che le dottrine e gli insegnamenti per tanto si acquistano, per quanto � capace di accoglierli la parte dell'anima che apprende e ricorda; perch� essa � il principio mediante il quale si acquista la conoscenza. e nel quale � custodito il giudizio. Avevano perci� in grandissimo onore la memoria e grandissima cura si prendevano, di esercitarla e, nell'apprendere, non abbandonavano uno studio finch� non se ne fossero impadroniti in modo sicuro, da cima a fondo, richiamando alla memoria le cose dette giorno per giorno.
      L'uomo Pitagorico non si levava dal letto prima d'aver richiamato alla mente le cose avvenute il giorno innanzi; e faceva la rievocazione in questo modo: si sforzava di ricondurre alla mente cosa avesse detto o udito o ordinato ai suoi di casa appena alzato, e quale per seconda, e quale per terza, e cos� via per tutto il resto.  Cercava cio� di richiamare alla mente tutti gli avvenimenti dell'intera giornata, procurando di ricordarli nel medesimo ordine nel quale ciascuno di essi era accaduto. Che, se allo svegliarsi aveva pi� tempo libero, si sforzava di ricordare nello stesso modo gli avvenimenti di due giorni prima.
       E sempre di pi� cercavano di esercitare la memoria: nulla essendoci che pi� valga nella scienza, per l'esperienza e per il raziocinio della facolt� del ricordare.
      Cos�, per effetto di tali costumi, accadde che tutta l'Italia si riemp� di uomini amanti del sapere, e mentre prima era sconosciuta, dopo, per merito di Pitagora, fu chiamata Grande Grecia, e in essa fiorirono in gran copia filosofi, poeti e legislatori, e fu da loro che i precetti d'arte oratoria, i discorsi epidittici e le leggi scritte passarono in Grecia.
      E quanti hanno fatto una qualche menzione di dottrine fisiche citano anzitutto Empedocle e Parmenide di Elea; e quanti vogliono sentenziare sui casi della vita riferiscono le sentenze di Epicarmo che tutti i filosofi, si pu� dire, sanno a mente.

      Ad  �  163  cf,  Cramer  Anecd, Par.  I.  172.  -  T.C.   D 1b,  116.

      I Pitagorici, come afferma Aristosseno, per la purificazione del corpo ricorrevano alla medicina, per quella dell'anima, alla musica.

      IAMBL.  V.P.  110.  -  T.C.   D 1b,  120

      Soleva Pitagora attribuire somma importanza a questa "catarsi"; cos� infatti si chiamava l'arte del guarire mediante la musica.

      SCHOL.  V.   in Hom.  K.  391  -  T.C.   D 1b,  123.

      Nei tempi antichi, fino ai Pitagorici, la musica fu chiamata, cosa strana, "catarsi".

      IAMBL.   V.P.   137.   -   T.C.   D 2,  125.

      Ma voglio esporre dall'inizio i principii che Pitagora e i suoi discepoli posero a fondamento del culto degli d�i.
      Tutto quanto essi definiscono circa il fare e il non fare ha per mira la comunione con la divinit�; questo � il principio, e tutta la loro vita era coordinata a questo fine, di lasciarsi guidare da Dio.
      Tale � il senso di questa filosofia, che cio� fanno cosa ridicola coloro che cercano di ottenere il bene da altra fonte; simili ad uno che in un paese governato dal Re renda onore a un qualsiasi prefetto e trascuri colui che di tutti � principe e signore. In tal modo, essi pensano che agiscano anche gli uomini.
      E poich� Dio esiste ed � signore di tutto, e si � poi d'accordo che al Signore debba chiedersi il bene; e poich� d'altra parte tutti fanno il bene a coloro che amano ed hanno in grazia, e il contrario a coloro per cui hanno sentimenti contrari, cos�, � chiaro che dobbiamo fare quelle cose che riescono gradite a Dio.

      STOB.  Ecl.  II.  31,  119  w.  -  T.C.   D 5,   245.

      Dalle "Sentenze Pitagoriche" di Aristosseno.
      Dicevano che tutti gli insegnamenti delle scienze e delle arti sono buoni e raggiungono lo scopo se impartiti e ricevuti spontaneamente; ma se avvengono contro voglia riescono sterili e vani.

      Ad   �   205   STOB.  Flor.  III.  10,  66  p. 424,  13  II.  -  T.C.   D 8,  563.

      Dalle "Sentenze Pitagoriche" di Aristosseno.
      Riguardo al desiderio, enunciavano tali principii: Quest'affezione � oltremodo varia e multiforme, e i desiderii, parte sono acquisiti e artificiosi, parte innati.
      Per s� stesso il desiderio � una specie di trasporto dell'anima, e impulso e tendenza o a un soddisfacimento e alla presenza di una sensazione, ovvero a uno svuotamento e ad assenza di sensazione e ad insensibilit�.
      Del desiderio errato e riprovevole dicevano esser tre le forme pi� comuni:  indecenza, smoderatezza, inopportunit�; perch�, o per s� stesso il desiderio � indecoroso, rozzo e volgare; o tale non �, ma � pi� violento e pi� prolungato del lecito; o, terzo caso, si manifesta a tempo non lecito, e verso cose non lecite.

      STOB.  Flor.  III.  1,  P. 50, 17  H.  -   T,C,   D 10,  635.

      Dalle "Sentenze Pitagoriche" di Aristosseno.
      Diceva che il vero amore del bello sta nelle attivit� pratiche e nelle scienze; perch� l'amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, cos� come, delle scienze ed esperienze, quelle belle ed oneste amano davvero il bello, mentre ci� che dai pi� � detto amore del bello, cio� quello che si manifesta nelle necessit� e nei bisogni della vita, �, semmai, la spoglia del vero amore.

      STOB.  Ecl.  I.  6,  18,  p. 89,  8  W   -   T,C.   D 11,   644. 

      Dalle "Sentenze Pitagoriche" di Aristosseno.
      Della fortuna solevano dire che una parte di essa � di origine dem�nica, cio� che dai d�moni proviene agli uomini una specie di ispirazione, ad alcuni verso il meglio, ad altri verso il peggio; ed � proprio per questo che alcuni sono fortunati, altri sfortunati.
      La prova pi� manifesta di ci� � che alcuni, pur agendo sventatamente e a caso, spesso riescono nel loro intento, altri, che prima riflettono e cercano di predisporre il modo giusto di agire, falliscono.
      Ma c'� anche un'altra specie di fortuna, per la quale gli uni nascono con buone disposizioni e destinati al successo; altri inetti e di natura al tutto contraria. Quelli colgono dove mirano, questi falliscono la mira perch� la loro mente non imbrocca mai la via giusta.
      Questa specie di sfortuna � innata e non proviene da cause esterne.