L' Arco romano di Fiume

 

RICORDI  FIUMANI DI GIULIO SCALA

Ciacolade  in  lingua

dal  10 ottobre 2015, ogni sabato

1^  e   2^  puntata:

La  storia  del  Comandante  Scala

 

                  Giulio col padre adottivo

 

Questa è la storia mai scritta del mio padre adottivo, Capitano di lungo corso, Giulio Scala. Diplomato all' Istituto Nautico di Fiume, compì il servizio militare come Guardia Marina a La Spezia con il grado di Secondo Capo, con la D dorata sulla manica (diplomato).

Dopo il tirocinio di allievo di coperta si imbarcò come terzo, poi secondo ufficiale sulle navi della "Fiumana di Navigazione" in servizio da Fiume per le isole dalmate e Zara.

Nel 1940 era primo ufficiale su una petroliera dell' Armatore veneziano Arrivabene, in navigazione nel Golfo del Messico. Il 10 giugno 1940 erano davanti a Tampico, quando per radio giunse la notizia che l' Italia era entrata in guerra. Il Comandante aprì la busta sigillata, i cui ordini dicevano di autoaffondare la nave prima che cadesse in mano al nemico. All' orizzonte, una nave da guerra inglese aveva già sparato un colpo di avvertimento. Fecero scendere tutto l' equipaggio nelle lance e aprirono le valvole Kingston, affondando la nave.

Le autorità messicane, in un primo tempo, internarono gli ufficiali. Poi - dopo Pearl Harbor, quando gli Stati Uniti entrarono in guerra - li mandarono, con ufficiali tedeschi e giapponesi, in un campo di prigionia nel deserto del Messico, in condizioni climatiche micidiali. I giapponesi cercavano sempre di fuggire e, anche quando ripresi e severamente puniti, tentavano di continuo, ciecamente, una evasione.

 

Campo di concentramento in U:S:A: nel 1942

 

I tedeschi ricevevano dal Consolato germanico pacchi di viveri e sigarette. Gli italiani niente.

Dopo la fine della guerra Scala riuscì a raggiungere New York, dove lavorò presso un Ente che organizzava il rimpatrio degli italiani internati e prigionieri in America.

Tornò in Italia appena nel 1948 quale primo ufficiale in una delle navi Liberty, costruite in fretta dagli americani, per un solo viaggio oceanico di trasporto truppe.

Le lamiere dello scafo non erano bullonate, ma solo saldate. Meglio costruite erano le navi della classe Victory . Le Liberty, comunque, continuarono a lavorare per anni.

Durante la guerra fredda era Comandante di una nave da carico in navigazione nel Mare Baltico. Una furiosa tempesta fece arenare la nave proprio davanti a una postazione di difesa costiera sovietica. I russi arrestarono "per tentato sabotaggio" il Comandante, e lo sottoposero a lunghi e continui interrogatori, per giorni e giorni.

Alla fine, esausto nel corpo e nello spirito, ritornò in Italia dove cercò rifugio nella bottiglia. Non navigò mai più.

Morì nel 1980 a Recco, in Liguria, dove è sepolto.

 

Scorazzando  in  porto  a  Fiume

 

Le colonnine di ormeggio per le navi erano fabbricate nella Officina Fiumana

Matteo Skull , fondata nel 1878, che occupava 500 dipendenti. Era famosa perché

aveva fabbricato anche la storica aquila fiumana con due teste che ... "le signore gaveva

regalà" e che fu posata, nel 1906 sulla Torre Civica quale Stemma della città.  La foto rappresenta una

colonnina del Porto Baross, con la scritta "Fiume" 1888. Skull Matteo Officine". (foto di Massimo Superina).

 

Il porto di Fiume, importante per i collegamenti di Paesi europei, in particolare quelli danubiani, con le Americhe e con l' Oriente (India e Giappone) - accoglieva di passaggio anche le navi "triestine", le navi cioè del "Lloyd Adriatico" (poi Lloyd triestino), che facevano scalo nel nostro porto per imbarcare carichi provenienti dal nostro retroterra.

Poiché Fiume aveva anche una importante Società di Navigazione propria, la "Adria", il porto aveva - negli anni precedenti il primo conflitto mondiale - una attività quasi febbrile. Avevano notevole importanza le importazioni dall' America del Sud, le ricchezze dell' Argentina, dell' Uruguay, del Cile. Paesi che in quegli anni esportavano cereali, carne, fosfati, concimi ed altri prodotti forniti all' Europa, carente di queste materie prime.

Pur nella mia giovane età, conoscevo bene ciò che avveniva nel nostri porto, avendo vissuto, fin dalla prima infanzia, in mezzo a persone impegnate nelle importazioni ed esportazioni di merci per via di mare su bastimenti di grosso tonnellaggio. Si sentiva un po' dappertutto nell' aria il profumo, l' intenso odore aromatico,proveniente dalle cantine  dei depositi dei vini arrivati dai Paesi mediterranei, in particolare dalla Grecia, su navi di tonnellaggio più modesto, scafi con àncora, alberi, sartie e vele, però snelle e veloci, in quanto fornite di motori di notevole potenza.

Tali navi, con il loro carico di botti, non destavano in me curiosità alcuna, e mai vi salii a ficcanasare. Erano proprietà dei genitori, molto benestanti, di un mio compagno di scuola, gente piuttosto riservata, come lo era del resto tale mio condiscepolo.

 

Veloce veliero da carico d' inizio secolo XX. - Brigantino a palo.

 

Un' altra merce abbondava a Fiume, in esportazione in quegli anni: la merce umana. Erano centinaia, anzi migliaia di migranti che arrivavano dall' interno del vasto impero austro - ungarico. In prevalenza erano i meno fortunati fra i sudditi della Monarchia, che lasciavano la loro misera esistenza vissuta in Bucovina, Polonia russa, Slovacchia, e partivano con la speranza di crearsi una nuova vita, meno penosa, oltre l' Oceano.

Emigravano allora in massa in Argentina - scarsa di mano d' opera - dove venivano accolti a braccia aperte, ricevendo gratuitamente terre da coltivare e bestiame da allevare.

A Fiume dovevano attendere l' arrivo della nave, alloggiando in un edificio loro riservato: l' Albergo degli emigranti, all' inizio della zona industriale, vicino al faro.

Si vedeva questa povera gente portarsi dietro, in grossi fagotti, tutto il loro avere, per ripartire, con speranza e fiducia, verso il muovo mondo. Per noi lo spettacolo non destava interesse alcuno: ci eravamo ormai abituati al passaggio di questi mesti cortei di povera gente, silenziosa ed anche addolorata di dover lasciare il loro vecchio, seppure misero mondo.

 

Fiume:  Albergo degli emigranti

 

 

La mia vacanza nel vasto porto era un mero vagabondaggio solitario tra la gente occupata nello scaricare le stive delle navi trans-atlantiche. Giravo da solo e nessuno badava a me, ragazzo, per nulla intimidito in mezzo alle montagne di sacchi, di botti e di casse. Osservavo gli uomini pesatori e le donne occupate a cucire gli strappi dei sacchi, per impedir che il grano e il granoturco uscissero dalle ampie ferite.

Ciononostante, lo stesso si camminava su uno strato di merce fuoriuscita dai sacchi, riempiti fino alla strozza. Il rumore saturava l' aria con il cigolio delle gru, le urla dei comandi e ordini, tanto da dover gridare per farsi capire anche in basso, lungo le murate delle grosse navi. Io non ero però del tutto sconosciuto. Alcune delle operaie mi facevano segni di saluto: mi avevano incontrato nell' ufficio del mio padre e mi avevano portato a casa qualche regalo: un sacchetto di mandarini, di noccioline americane e di fichi secchi.

Passavo rapidamente e mi preparavo a salire su una delle mie navi preferite. Con molta disinvoltura mi bilanciavo sul passaggio teso fra la banchina e la murata della "mia" nave accostata al molo.

Tali navi erano riservate al solo trasporto dei passeggeri per le Americhe, appartenevano alla Società di Navigazione inglese Cunard, ed erano lì pronte ad accogliere la schiera degli emigranti.

Nessuno mi impediva di girare liberamente nei saloni, lungo i corridoi, fino a scendere nelle parti della nave dove si trovavano gli ambienti riservati ai viaggiatori delle classi di lusso.

La cucina, tutta decorata, era sistemata nel ponte più basso, ed accanto c' era la Sala di Ginnastica, con giochi "motorizzati". C' era il cavallo a movimento progressivo (trotto, galoppo), del quale mettevo in azione il motore. C' era pure la Sala di scrittura, dove approfittavo di qualche foglio di carta da lettere e busta intestata per scrivere agli amici.

Giravo, molto soddisfatto, in lungo e in largo sul "Caronia", "Carpatia", "Pannonia". Una sola volta arrivò a Fiume il "Lusitania", coi suoi quattro fumaioli rossi. Erano tutte navi della "Cunard", che avevano appunto le ciminiere di colore rosso. Con la mia primitiva scatola Kodak fotografai il "Lusitania" in porto, e per lungo tempo conservai la copia della foto.

Va qui ricordato che il "Lusitania" fu la prima nave passeggeri inglese ad essere affondata da un sottomarino tedesco al largo di Kinsale (Irlanda meridionale) all' inizio della prima guerra mondiale.

Sulle navi da me visitate si svolgeva anche un modesto commercio clandestino. Si saliva con addosso delle vecchie scarpe ormai in sfacelo, e si compravano a bordo le ricercate scarpe americane con la punta larga, allora di moda. Per evadere la dogana le scarpe venivano per bene impolverate ed infangate. Del resto, lo stesso facevano i nostri vicini croati a Sussak riattraversando il ponte dopo l' acquisto di scarpe nuove a Fiume.

 

 

Appena venuta l' ora del mezzogiorno, segnalata con il solito colpo di cannone, cessava immediatamente ogni attività di carico e scarico delle merci, e si diffondeva per tutto il porto una strana atmosfera di silenzio soleggiato e polveroso, quasi opprimente.

Io scesi quel giorno - mi ricordo - dalla "mia" nave Cunard, la "Caronia" e mi diressi verso una nuova nave da carico ormai vuotata a metà.

 

La "Carpatia" della inglese "Cunard Line" che faceva servizio emigranti ungheresi da Fiume a New York.

Quando successe le tragedia del Titanic fu la prima nave a soccorrere i naufraghi.

 

Aveva portato un abbondante carico di mais (formentone) da La Plata (Argentina) e presso la grande bilancia posta sul molo mi attendeva mio padre con aspetto preoccupato; in testa un ampio cappello "Borsalino" e con l' inseparabile ombrello grigio al momento chiuso, ma di norma aperto contro i raggi solari quando osservava il lavoro della gente addetta alla discarica. La sua preoccupazione riguardava proprio il carico del granoturco arrivato.

Durante la traversata oceanica una mareggiata aveva danneggiato il carico, almeno in parte, provocando una incipiente operazione del cereale, ed ora egli teneva in mano un pugno di granoturco con odore di muffa e - naturalmente - prevedeva proteste e contestazioni.

Questi inconvenienti erano relativamente frequenti, poiché tutta la merce viaggiava "alla rinfusa" (oggi si direbbe "bulk"), senza eccessiva difesa nelle immense stive della nave, non isolate dalle infiltrazioni di acqua marina che ricopriva il ponte della nave, con le grosse ondate spazzanti la coperta durante la traversata in mare aperto.

Eravamo nel mese di luglio. Il sole - uscito nel frattempo dalle nuvole - picchiava  ora crudelmente ed a poco giovavano il largo cappello e l' ombrello grigio antisole, ora aperto per difendere mio padre dal caldo e dalla polvere, che si levava mentre la merce veniva trasportata dalle stive sul molo. Stette lì finché c' erano i suoi uomini a lavorare e pesare, e le donne a cucire i panni strappati.

Si tornò a casa salendo lentamente per la breve salita, sino a casa nostra. Il silenzio nelle ore di sosta era provocato dal deserto del porto; era quella l' ora dei grossi ratti, le nostre "pantigane" disposte in lunga fila alla ricerca di cibo. Si vedevano, con le gote ripiene di cibo da vuotare nelle loro tane poste sotto il suolo dei grandi magazzini, allora costruiti semplicemente in legno, con il pavimento in terra battuta.

In seguito vennero costruiti gli attuali "rat-proof" per salvare decine di quintali di cereali. A nulla servivano i grossi gatti, pure numerosi, a non molta distanza sugli scogli. Questi si accontentavano dei rifiuti della pesca e di eventuali topolini. Le pantigane costituivano un pericolo anche per loro, e ne avevano una maledetta paura.

Utile appariva l' uso di cani importati dall' Inghilterra: erano della razza speciale dei "rattlers", abilissimi a prendere il grosso topo, spezzandogli la colonna vertebrale. Questi spettacoli costituivano un vero divertimento e si può dire che erano la nostra "plaza de toros" fiumana di quella volta.

 

Topi giganti del porto di Liverpool

 

 

Tutte le finestre della nostra casa si aprivano nella breve salita.  Le persiane verdi, le caratteristiche "gelosie" regolabili (scuri) permettevano il ricambio delle correnti d' aria muovendo gli "sportellini" mobili.  Anche la luce era così regolabile, e ci si permetteva inoltre di guardare fuori senza essere visti.

Come ogni anno nel mese di luglio, il giorno 27 - festa e ricorrenza di San Giacomo Apostolo - verso il tramonto gli uomini, quei suoi collaboratori nel porto, arrivavano con chitarra, mandolini e violino e si fermavano sotto le nostre finestre per suonare la serenata in onore del Signor Giacomo, loro simpatico e generoso amico.

Aspettavamo sempre con piacere questo concertino - noi eravamo appunto nascosti dietro le persiane -  che usciva dal cuore di questi uomini rozzi, ma così sinceri e romantici, il quale ci faceva capire come il nostro affetto e stima di figli verso un padre tanto umano meritasse di essere vissuto intensamente.

 

Fiume,  crogiuolo  di  lingue  e  culture

 

Grazie al "Corriere della Sera" ho potuto leggere, in originale spagnolo, le opere del più grande poeta sudamericano Pablo Neruda, vissuto in Italia a Capri, e in Ispagna dove aveva conosciuto Federico Garcia Lorca, il mio più amato poeta i cui versi ho trovato fra le righe di Neruda. Egli racconta di essere nato nel Cile meridionale, tra "vulcani e ghiacciai" e canta della sua terra nativa.

 

Pablo Neruda  

 

Anch' io vorrei essere poeta e cantare della mia terra, della mia Fiume.

Fiume, con la sua atmosfera indimenticabile ed inimitabile: il nostro retaggio moderno e romantico austriaco e ungherese. La nostra storia documentata da pietre e monumenti, romani e veneziani.

Il nostro vicino croato, con il quale convivevamo cordialmente a contatto di gomito, separati da un tenue corso d' acqua. Anche con contatti di parentela. Infatti: chi di noi fiumani non ha una nonna croata ?  [Nonna Kopaitic' Margareta, da Buccari. N.d.R.].

I colori, gli odori, gli umori della nostra città. Il profumo intenso ed inebriante degli alberi di lauro nel Cimitero di Cosala, nei roventi meriggi d' estate.

I rumori e gli odori della nostra "ferriera" (Cantiere e Silurificio) quando ci passavamo vicino con il tram.

Il lavatoio pubblico di piazza dello "Scoglietto" che penso non esisterà più, eliminato dal tempo che passa inesorabile.

E il mare: i vaporetti, i bragozzi dei chioggiotti, ed all' inizio del secolo le grandi navi bianche che partivano per la Cina.

Fiume: dolce anello di transizione tra Dalmazia ed Istria. La mia terra natale che porto sempre nel cuore. Un crogiuolo di lingue e di culture che ha lasciato tracce in tutta la mia esistenza.

Io vi abbraccio, fiumani tutti, che vivete ancora nella nostra città e sparpagliati nel mondo.

 

Il  Liceo  Scientifico  Antonio  Grossich

 

Antonio Grossich. Nel 1886 era primario nell' Ospedale di Fiume,

dove, nel 1908 ideò la tintura di Iodio, sterilizzante delle ferite esterne, che

venne sperimentata per la prima volta nella guerra italo - turca del 1911 - 1912.

Gli fu dedicato un Viale e un busto di marmo nel Parco Regina Margherita, e fu intestato al

suo nome il prestigioso Liceo Scientifico di Via Ciotta.

 

 

Ho ricevuto pubblicazione illustrata (108 pagine) "Tra Storia e Ricordi. 110 anni di vita scolastica" a cura della Società di Studi Fiumani. La monografia racconta molto pacatamente, professionalmente e senza commenti di sorta, la sorte dell' edificio scolastico di via Ciotta a Fiume, della sua costruzione nell' anno 1888 a tutt' oggi.

Io questa storia non la conoscevo e dalle pagine dell' opera ho imparato tanto, tantissime cose.

La storia della Scuola Italiana di via Ciotta è un po' - e non soltanto un po' - l storia della nostra Fiume sotto il Governo ungherese .

Le autorità scolastiche ungheresi del 1888, anno di inaugurazione di questa scuola italiana, richiesero che vi fosse insegnata anche la lingua ungherese. Il tedesco si imparava a Fiume in quanto lingua ufficiale dell' impero Austro - Ungarico e delle sue terre.

Esistevano contemporaneamente scuole croate. Quadrilinguismo, più francese, greco, yddish. ecc. Fiume, città cosmopolita per antonomasia ... omissis.

 

 

"Lo Statuto fondamentale delle Scuole Comunali della Città di Fiume, pubblicato nel 1876, sanciva per il Comune l' obbligo di far fronte ai bisogni dell' istruzione elementare, aprendo un numero adeguato di scuole. Lo Statuto si ispirava alla moderna legislazione europea (attenzione, siamo nel 1886) volta a garantire il diritto alla istruzione elementare gratuita, oltre che dalle leggi austriache - siamo sempre nel 1876 - secondo le quali, nelle province abitate da più nazionalità, l' istruzione pubblica doveva offrire l' opportunità, che  ciascuno di tali popoli si istruisse nella lingua materna ..."

 

No comment ... Poi, nel secolo successivo, il 1900, il secolo della Luce, come fu chiamato, arrivò a Fiume la pulizia etnica del Regno d' Italia.

Mi era piaciuta quella frase, letta da qualche parte: (Enzo Bettiza ?)  "E noi italiani irredenti della Dalmazia, Fiume, Istria, aspettavamo l' Italia, ed invece sono arrivati gli italiani".

Pulizia etnica che iniziò immediatamente dal 1924 proibendo le lingue "straniere" per gli italiani, e cioè tedesco, croato, ungherese e chiudendo tali scuole.

Poi, nel secondo dopoguerra, a partire dal 1945 - 1946, avemmo, nella nostra Città, l' altra Grande Pulizia Etnica da parte del Governo della Repubblica Popolare Socialista di Jugoslavia, che cercò con tutti i mezzi di cancellare ogni traccia di Lingua e Cultura italiana.

Una cosa molto importante è la descrizione della Monografia in oggetto, di come negli anni "oscuri" - come negli anni cosiddetti oscuri del medio evo la Religione Cattolica, o meglio  Conventi e monaci salvarono la Cultura e l' Arte Occidentale.

Dopo il 1946, uno sparuto gruppo di cittadini di lingua italiana, i famigerati "rimasti" - come li chiamano i miei concittadini esuli che per dirla in breve, non la pensano come noi  - lottando anche contro altri concittadini di lingua italiana, riuscirono a salvare cultura e lingua italiana a Fiume, dalla distruzione e annientamento tentato dalle Autorità.

Leviamoci il cappello davanti a questi "rimasti".

Finisco ripetendo ancora una volta di aver imparato tante cose - mentre ritenevo di saper tutto o quasi della mia Città - dalle pagine della Monografia, su quello che noi conosciamo quale Liceo Scientifico "Antonio Grossich" e della sua storia sotto l' Ungheria, sotto l' Italia, sotto la Jugoslavia ed ora sotto la Croazia.

Che è anche la storia di Fiume.

16 dicembre 2002.

 

 

Calcio:  Brasile  -  Slovenia  a  Trieste

 

 

Permettetemi di inserirmi nella polemica delle partite di Calcio nello stadio di Trieste.

Io posso parlare da "outsider", non solo perché ho 74 anni, di cui 37 vissuti in Germania, ed ora 32 in Italia, ma pure in quanto sono l' unico italiano in Italia che non beve caffé - perché da quando vivevo in Inghilterra mi è rimasta l' abitudine del Tè col latte e zucchero - e non si interessa assolutamente di Calcio.

Comunque lasciatemi dire che la polemica è ridicola, insulsa, infantile.

Da quel che ho sentito, lo stadio di Trieste è nuovo e attraente e vi si sono già state giocate partite internazionali.

Il tirare in ballo i sentimenti di un nazionalismo deleterio - non il sentimento di Nazione, che è positivo - nazionalismo deleterio, che è morto, e il cadavere puzza, come sono morti checché ne dicano e scrivano, il fascismo e il comunismo europei - in quanto di Dittature e Governi Militari, oggi nel mondo ce n'è più che mai.

Tirare in ballo, dicevo, un odio si razza - anche se i risentimenti sono sempre logicamente attuali per la storia dei Risarcimenti, storia che andrà avanti fino alla Calende Greche - mi sembra che ciò proprio discrediti delle persone di normale intelligenza e cultura.

Tutti noi abbiamo i nostri tristissimi Esodi, meno quelli della "Corriera fantasma" di cui ho già parlato. Mia moglie è scappata dai Russi quando aveva tre anni - a piedi nudi sulla neve, in Sudetenland - e consideriamo anche i nostri Morti Ammazzati da entrambe le parti. Oggi qualcuno ha scritto che le foibe verranno dimenticate.

No, no e poi no, non bisogna dimenticare le foibe, non bisogna dimenticare Auschwitz-Auissig, anche se molti tedeschi che io conosco lo vorrebbero.

Io lo ho già scritto a sazietà cento volte, non bisogna dimenticare i governanti che mandarono la "Julia" a morire in Grecia e sul Don, che mandarono ventenni Tirolesi e ventenni Friulani ad ammazzarsi fra di loro per lunghi inverni ghiacciati sulle petraie del Carso e sui ghiacciai della Marmolada nel 1915 - 1918.

Non dimentichiamo e cerchiamo di trasmettere tutto quale Monito alle prossime generazioni.

Ma per una Cagada Partida de futbol andar cussì a scaldarse el pissin, - No Muli - xe propio de vergognarse che un omo maggiorenne e vaccinado el se perdi con ste monade e nol gabi gnente altro de più costruttivo de far.

Vedemo chi che xe che me da ragion.

 

L'  Ungheria  a  Fiume

 

Non vogliamo essere nazionalisti, italiani, croati, sloveni o altro. Siamo esseri umani.

Alcuni di noi - in modo particolare quelli della mia generazione, (sono nato a Fiume nel 1928) -  hanno vissuto la guerra e le tragedie ad essa connesse, persecuzioni, esilio, la fame, ed altre cose non certo piacevoli.

Uno dei nostri fini è di promuovere la comprensione tra gli esseri umani e cercare di costruire una mentalità che possa tendere al ritorno di un "cosmopolitaninsmo" delle nostre terre, della nostra Fiume. Di promuovere, nell' ambito di tale ambiente, neutrale e permissivo, il sopravvivere della lingua italiana che tanta parte è di Fiume.

Molti "vogano contro". Persone, Enti, Governi, come sempre.

 

 

Leggo con commozione che tra i fondatori, a Trieste, della Università Popolare, nel 1899 - anno di nascita di mia madre a Fiume - vi fu Felice Veneziani, inventore della pittura sottomarina, che diede sua figlia in sposa a un ebreo, Ettore Schmitz, noto nel mondo con lo pseudonimo di Italo Svevo.

L' Università aveva scopi nobili: quello di promuovere la cultura nel popolo e di mantenere i valori della lingua italiana.

Nelle sue lodevoli attività fu osteggiata e perseguitata dai Governanti, da quelli Austriaci prima, e da quelli Fascisti dopo.

Non mi piace, e non voglio si parli male di Fiume ungherese.

Chi ha creato Fiume ? Il suo porto, i suoi traffici, i suoi caffé, i suoi teatri ? Tutto un ambiente altamente civile e moderno.

 

 

"Café Grande"  Fiume. Piazza Andréssey,  Palazzo modello della Cassa Comunale di Risparmio.

 

 

Da essere il primo e l' unico porto dell' Ungheria era passato ad essere uno degli ultimi porti dell' Italia, che di porti ne aveva tanti.

Oggi, dopo lo sfacelo dell' utopia socialista, è una città economicamente morta, come morta è Trieste, che ha dormito, per gli ultimi cinquant' anni, cullata dalla sua cultura, mentre i rozzi furlani rifacevano con le loro mani le case distrutte dal terremoto e con due macchine "de cusir" Singer creavano un impero mondiale che si chiama Benetton.

Mi si dirà che parlo per connessioni personali. Ebbene sì. Mio nonno Jakob (Giacomo) Denes, ebreo, emigrò dalla nativa Bèkèscsaba in Ungheria, a Fiume, dove divenne un noto e stimato commerciante di cereali, che noleggiava navi e portava dal Sudamerica granaglie destinate a tutto il retroterra dell' Impero.

Un giovane intelligente e abile al quale fu possibile creare una impresa attiva, commercialmente utile alla società, solo in una Nazione nella quale il libero scambio e la libertà di, lingua e cultura erano presenti.

Enzo Bettiza scrisse una volta: "Un Dalmata è un Dalmata, non ha importanza se a casa sua parli veneziano, croato o sloveno. Noi siamo Fiumani.

Anni addietro, quando vivevo a Francoforte, dove ho vissuto,per 37 anni, molti giovani tedeschi - quelli che io chiamavo sempre - della generazione della birra e del futball in quanto i loro interessi non andavano al di là - andavano in ferie a Rimini o a Mallorca portando dei T-shirt (magliette di cotone con le maniche corte) con davanti la scritta "Ich bin stolz ein Deutscher zu sein" (traduzione: Sono orgoglioso di essere un tedesco).

Io la ho ritenuta sempre una cretinata.

Io andrei in giro - se dovessi farlo - con una maglietta con su scritto: Ich bin stolz ein Mensch zu sein" (Sono orgoglioso di essere un Essere Umano).

 

 

Triste  domenica  a  Budapest

 

Quando lavoravo a Francoforte in Germania, ogni tanto dovevo andare in Ungheria.

A Budapest, anche se non conoscevo la lingua, avevo sempre una sensazione di "dejà vu". I grandi caffé con le loro torte Dobosz. Nelle trattorie si mangia Gulyas e palacinche. I grandi negozi in centro hanno i pavimenti in parquet, come noi una volta.

Specialmente uno, con una lunga scala curva che saliva al primo piano, era uguale al grande negozio di mobili Herkovitz in corso a Fiume, che aveva anche un ingresso sul retro dalla via Garibaldi, dove passava il tram e dove era il famoso ristorante "Ornitorinco" nel quale d' Annunzio soleva offrire le sue cene con tante bottiglie di Champagne.

Noi a casa beviamo ancora il rosso Cherry brandy, sempre prodotto dalla Luxardo, esule dalla sua Zara, ora stabilito a Torreglia sui colli Euganei. L' etichetta sulla bottiglia reca in fotocopia un autografo del Comandante: il cupo liquore che alla mensa dei legionari di Fiume chiamavano "Sangue Morlacco".

 

 

 

In una via laterale della principale strada del centro di Budapest, Veci Ut, ho visto una targa affissa al muro di una casa che ricorda l' ungherese Istvan (Stefano) Türr, caduto combattendo volontario al fianco di Giuseppe Garibaldi. Come in un lampo ho visto la via Stefano Türr a Fiume, che andava dai mercati alle rive, forse ultimo segno del retaggio magiaro nella nostra città.

Un' altra volta a Budapest mi sono commosso. Stavo cenando sulla terrazza del mio albergo che dava sul Grande fiume, con vista diretta sul Ponte delle Catene, tutto illuminato.

A un certo momento, come in un film di Hollywood, si avvicina al mio tavolo il "primas" (dirigente dell' orchestra) con il suo violino in braccio, e mi chiede cosa desidero sentire. Sul momento, non so perché, mi è venuto in mente il motivo di "Triste domenica", tanto struggente e crepuscolare se suonato da un violino in una tiepida sera d' estate sul Danubio.

 

Budapest:  Ponte delle catene e Parlamento.

 

Addio Mtteleuropa. Restano i ricordi e, naturale ma malinconica, un poco di nostalgia per la nostra perduta giovinezza. Addio.

8  maggio  2004.

 

 

 

Tempi  difficili

 

Sì, anch' io ero un "Ragazzo di Salò".

Nel 1944 i tedeschi mi presero in una retata e mi arruolarono nella Organizzazione Todt (Servizio del lavoro) mandandomi in via Santa Entrata a scavare tra le macerie delle case bombardate.

Poi cominciarono a deportare tutti quelli della Todt in Germania, che aveva urgente bisogno di mano d' opera per la produzione bellica.

Un mio compagno di scuola, Nevio Vitelli, andò volontario a lavorare in Germania, credendo ingenuamente che si trattasse di un lavoro normale.

 

 

Fu mandato a lavorare in una fabbrica sotterranea con prigionieri russi trattati come bestie. Un giorno non si presentò al lavoro e fu internato nel Campo di concentramento KZ di Dachau.

Una volta liberato, tornò a Fiume dove pochi mesi dopo morì di TBC contratta in prigionia.

Io, per sfuggire a tale destino, mi arruolai volontario nella Milizia Portuaria e feci servizio in porto a Fiume.

Il giorno 3 di maggio del 1945, quando le truppe del Maresciallo Tito entrarono a Fiume, io buttai il mio fucile in mare e tagliai la corda.

Chiamatemi pure disertore e anti - eroe. Gli eroi e gli idealisti muoiono giovani.

Guardate quel povero Gesù di Nazareth, un grande eroe e idealista. A trentatre anni lo ammazzarono malamente. Io oggi - con i miei quasi 80 anni - sono qui con in mano un bicchiere di Tocai bianco secco, prodotto nella zona in cui vivo, Lison Pramaggiore a far considerazioni filosofiche sulla vita.

 

 

Esuli

 

Se volessimo menzionare anche solo i movimenti di profughi della storia, non basterebbero decine di volumi. Limitiamoci quindi ai relativamente più recenti secoli.

Senza dimenticare il grande Esule, il Poeta che aveva lasciato la sua Firenze e trovato rifugio a Ravenna, ricordiamo i seguaci di Martin Luther King e Calvino, profughi dai Paesi Bassi per sfuggire ai roghi della Inquisizione.

A Neu Isenbrug in Germania, una cittadina adiacente a Francoforte, i cognomi degli abitanti sono francesi, discendenti dagli Ugonotti, sopravissuti ai massacri della notte di San Bartolomeo.

 

   

Calvino e Strage di San Bartolomeo a Parigi

 

Se vogliamo, anche le grandi emigrazioni dall' Europa verso le Americhe erano composte da profughi dalla miseria e dalla fame, come oggi, nel 2009, milioni di esseri umani nel Continente africano.

Le invasioni dei Barbari nel Nord della nostra penisola causarono un gran numero di profughi verso le sicure isole della laguna veneta. Vennero poste le basi, a partire dall' isola di Malamocco, di quella che sarà la Serenissima, grande potenza sui mari, che aprì le sue braccia, dando loro protezione ai nostri avi in Istria e Dalmazia.

Il primo Doge che portò il titolo di "Provveditore per l' Istria e Fiume" Fu Pietro Gradenigo".

 

Doge  Pietro Gradenigo  (1289 - 1311)

 

 

L' Italia invece non fu per noi una Madrepatria, bensì una matrigna: nel primo dopoguerra, quando noi un momento ci eravamo cullati nell' illusione di essere liberi grazie all' impresa eroica e sfortunata di d' Annunzio, allora l' Italia aveva mandato i suoi soldati e le sue navi a sparare su noi fiumani.  Questa è storia.

Dicenbre 2009.

 

 

Fiume  e  il  Mondo

 

Recentemente ho visto in Televisione come hanno messo in orbita il nuovo telescopio Hubble, che dicono ci permetterà di vedere oltre le Galassie "fino ai confini del nostro universo". Qualche volta la notte - quando non dormo e da lettore di Fantascienza che io sono - cerco di immaginare che cosa ci possa essere al di là di tali confini, ed allora non so perché mi prende una sensazione di sgomento e paura.

I confini visibili della nostra Fiume sono il Monte Maggiore e l' orizzonte del mare Quarnero, interrotto dall' isola di Cherso.

Io passai oltre questi confini: per dieci anni sono stato navigante. Ho visto continenti che conoscevo solo dalle pagine di Emilio Salgari e Giulio Verne.

 

 

La nostra città era Internazionale e Cosmopolita, crocevia di lingue e popoli: ungheresi, austriaci, barbari, croati, istriano - veneziani. Il comune catalizzatore era il mare che la congiungeva con tutti i Paesi del Mondo. Grandi armatori di Lussino (Cosulich) e commercianti di Fiume avevano filiali a Shanghai e Buenos Aires.

Ho già scritto diverse volte che i miei nonni: quello paterno, ungherese, noleggiava navi che portavano frumento dall' Argentina a Fiume.

Il nonno materno, istriano di Pola, esportava da Fiume, via mare, legnami pregiati, come il rovere di Slavonia. Fiume, mia città natale, situata tra il Carso Pietroso e il generoso Adriatico, che forniva la sua grande pescheria di sgombri, sardoni, scampi, e ogni genere di pesce.

 

Un banco nella Pescheria di Fiume  (attuale).

 

L' ultimo a portare il nome di Fiume fu un incrociatore della Regia Marina Italiana, colpito a morte in una battaglia navale, che oggi riposa nel fondo del mare Mediterraneo.

Io insegno ai miei figli e nipoti di essere consci di discendere da gente laboriosa, con una mentalità aperta a tutti i popoli del mondo.

6 gennaio 2010.

 

Incrociatore "Fiume" in combattimento.

 

 

 

Fiume  e  la  guerra

 

Le voragini provocate dalle mine tedesche  nella Riva dei Bodoli, Molo Stocco, Molo San Marco.

Al centro della foto le macerie provocate dalla distruzione dell' Albergo Quarnero.

 

 A Fiume, nel 1944, io mi ero "imboscato" nella Milizia Portuaria. Avevo 15 anni. Le nostre mansioni erano limitate a fare la guardia ai varchi del porto, a controllare i permessi a coloro che entravano  uscivano, in quanto la zona del porto era vietata ai non addetti.

Uno di noi rimase sotto le macerie dell' Albergo "Quarnero", sulle rive, colpito da bombe di aereo. [Il 1° di marzo del 1945, purtroppo insieme alla casa di chi copia queste righe. N.d.R.].

Insieme alla ROMSA, con la sua distruzione e incendio notturno, simile alla fine della biblica Sodoma e Gomorra, su Fiume non caddero molte bombe.

Una bomba colpì in pieno la Pistoria del Pucikar, a Cosala, con dentro il proprietario. La settimana scorsa siamo stati a pranzo da sua figlia Nerina, che ha 96 anni e undici nipoti.

 

Conseguenze di un bombardamento aereo in una città italiana.

 

Una volta al mese andavamo in Mololungo a fare esercitazioni di tiro, forse in previsione di uno sbarco degli Americani, che non arrivarono mai. Sparavamo ai caratelli di birra vuoti che ballavano sulle onde. Passavamo per il Corso, inquadrati a passo di marcia, sulle spalle le pesanti Breda 8, cantando le nostre canzoni di guerra.

Stipate sui marciapiedi, con le lacrime agli occhi, le donne dicevano: "Guardate questi poveri ragazzi, vanno a combattere e fra pochi giorni saranno forse tutti morti".

 

 

Il giorno 3 maggio 1945 i tedeschi fecero saltare in aria i moli del Porto di Fiume, mentre le truppe jugoslave entravano in città.

Come già scrissi, io buttai il mio fucile in mare e corsi a casa, dove mi misi a letto con la febbre. Una sera uomini armati vennero a prelevarmi. Mia madre svenne.

Mi portarono sul Carso, dove mi misero contro un muretto.

Fu in questo momento che gli dèi decisero il mio futuro e di quello dei miei figli e nipoti, che sarebbero potuti mai nascere.

Forse impietositi dalla mia giovane età mi lasciarono andare, ed io scappai via, e mi ricordo, correvo come un disperato in attesa di una pallottola sulla schiena, che non venne. Ogni tanto cadevo, incespicando, su una pietra del Carso.

Andai a casa e la mia mamma, quando mi vide, svenne di nuovo, perché non aveva creduto che mi avrebbe visto vivo.

Oggi sono qua a 81 anni, con un bicchiere di vino in mano, facendo riflessioni sugli uomini e sugli dèi. Ho due nipotini che riempiono di gioia questo vecchio cuore che ancora funziona bene.

 

 

Fiume  e  le  sue  tradizioni

 

Noi fiumani eravamo molto affezionati alle nostre tradizioni. La sera dei Morti, nelle famiglie fiumane, sul davanzale della finestra vi era un bicchiere pieno di olio, dentro galleggiava un lumino acceso.

Mangiavamo le "fave dei morti" bianche, rosa e marron.

 

"Fave dei morti"

 

Per quanto riguarda i giocattoli dei bambini, la Befana, fascista o no, non era mai riuscita a scalzare il nostro "San Nicolò" che ogni anno, in dicembre, mostrava i balocchi dalle finestre del primo piano del negozio di Moskovitz, non vestito con il buffonesco abito di Babbo Natale americano, ma dignitoso, con in testa la sua mitra di Vescovo di Bari.

 

6 dicembre:  San Niccolò porta regali ai bambini

 

A Natale l' albero con le candeline, bengala, carrube secche dipinte in oro e in argento, e anelli di zucchero, colorati.

Il 6 di gennaio i bambini mettevano nel Presepio i Tre Re Magi.

In Baviera ed in Austria, nel contado, è ancora viva la tradizione secolare di scrivere con il gesso sulla architrave di legno delle porte le iniziali dei nomi dei Tre Re: C. M. B. che - dicono - portano pace e prosperità alla famiglia che abita nella casa.

Per Carnevale, crostoli e frittole per tutti.

A  Pasqua la Pinza con tre tagli, lucidata con torlo d' uovo, portata a cuocere nel forno del Pistor, ed il Sisser, treccia di pane dolce con due uova colorate, simbolo fallico pagano di fecondità.

Per la festa del nostro patrono San Vito, in Cittavecchia l' Albero della Cuccagna, unto di sego, con in cima un sacchetto con soldi e un intero prosciutto.

 

 

Le porte di tutte le case erano decorate con frasche di lauro. 

La traversata a nuoto del porto. La sera, grandi fuochi d' artificio di mille colori sul golfo del Quarnaro.

Fiumani, ricordiamo le belle tradizioni della nostra città, per noi e per i nostri figli.

6 febbraio 2010.





Fiume  e  il  Teatro


Ex  Teatro Verdi a Fiume. Foto attuale.

 

 

A Fiume non avevamo un teatro dialettale. Chi voleva sentire la lingua viva doveva andare la sera in una osteria, dove i lavoratori portuali, dopo il terzo o quarto mezzolitro, discutevano o litigavano in dialetto fiumano puro.

A Trieste andavo a vedere "Le Maldobrie" di Carpinteri e Faraguna, in dialetto quarnerino.

Dove io vivo oggi, nel Veneto Orientale, si possono sentire le Commedie di Goldoni nel loro dialetto veneziano classico.

 

 

 

A Genova avevo avuto la fortuna che il grande Gilberto Govi era ancora vivo. Io andavo a teatro a sentirlo recitare in "Colpi di timone: i maneggi per maritare una figlia" e: "La bella Torriglia: tutti la vogliono, nessuno la piglia".

 

 

Quando abitavo a Napoli andavo volentieri nel famoso "Teatro Margherita" sotto la Galleria (Militari e Ragazzi metà prezzo) a vedere i drammi popolari dove la povera Concettina era sempre sedotta e abbandonata e il suo feroce fratello, guappo del Rione Sanità, che voleva sempre vendicarsi.

A Napoli vi erano i leggendari Fratelli De Filippo, con ancora la loro sorella Titina, che recitavano "Natale in Casa Cuppiello" (non mi piace il presepio).

 

 

Caro Teatro dialettale, ultimo rimasto della preziosa tradizione popolare.

 

 

Adolescenza  a  Fiume

 

Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la Letteratura, scriveva nel 1936:

 

"Sale soavemente a riva, dopo il gioco coi Numi,

un corpo adolescente"

 

 

Come vivevano gli adolescenti nella Fiume di una volta ? Scendendo la Via Ciotta si arrivava al Teatro Fenice. Là si esibiva il famoso attore comico dialettale Angelo Cecchelin. Lui sapeva bene che se passava il limite con la sua satira del regime, all' uscita lo aspettavano sempre due questurini, che lo portavano direttamente in cella in Via Roma.

Lì si esibiva anche Mario Latilla, il cui figliolo Gino sarà in Italia, negli anni Sessanta, un noto cantante.

Mario Latilla cantava "Giarabub" e "Carovaniere" mentre sul fondale passava in controluce una fila di sagome di cartone di cammelli.

 

 
 

 

Sotto il Teatro Fenice vi era la vasta "Sala Bianca" con il pavimento tirato a lucido ed una buona orchestrina da ballo.

Era là che avevamo, con tanghi e fox lenti, il primo contatto fisico con le fanciulle della nostra età, lievi e flessuose, anche loro incerte ed esitanti come lo eravamo noi.

Al banco del buffet un Vermuth costava 50 centesimi, che era anche il prezzo delle "paste creme".

Sul fondo della sala, su una fila di sedie, mamme e zie.

 

 

In fondo alla Gradinata del Sassobianco, il Cinema Parigi, poi chiamato "Impero", dove al prezzo di uno davano due film consecutivi, più la Comica con Stan Laurel e Oliver Hardy o Buster Keaton, che non rideva mai.

Al Cinema avevamo sempre almeno un cartoccio di "pistacci" (arachidi e pas'cipe - semi di zucca abbrustoliti).  I gusci formavano sul pavimento uno strato spesso che scricchiolava sotto le scarpe.

Ogni sera l' immancabile passeggio in Corso, noi ragazzi in un senso, le ragazze nell' altro. Scambiavamo sguardi muti pieni di curiosità e di naturale attrazione pubertaria, che culminava al massimo con un bacio sulla bocca al buio, nei depositi delle boe, sul,piano inferiore del Mololungo.

 Beata adolescenza a Fiume. Eravamo impazienti di cominciare a vivere, avevamo progetti, sogni, speranze per un futuro felice. Invece vennero guerra ed esilio.

 

 

Il filosofo cinese Tan Huei scriveva nel XIII secolo:

 

"Non devi rimpiangere il passato,

ma non lo devi mai dimenticare"

 

Dovunque saremo non dimenticheremo mai la nostra Fiume.

Sono rimasti i nostri nonni di guardia lassù a Cosala, tra Lauri e Cipressi, piegati dalla eterna Bora.

2000.

 

 

Chiese  e  Cavalli

 

La parte Nord della città di Fiume comprendeva due rioni: quello di Belvedere e quello di Cosala - i cui abitanti venivano chiamati dai fiumani "brosquari" - con un nuovo tempio modernistico e la sua guglia candida che svettava nel cielo.

Io vi ho assistito alla consacrazione a Sacerdote e Prima Messa di Don Severino Scala, cugino di mio padre adottivo.

Don Severino, a Fiume, si occupava molto della gioventù. Fu poi parroco degli italiani a Brooklyn, New York, indi Monsignore in Vaticano, dove morì.

Io scrivo queste righe in Sua memoria e invito tutti coloro che lo hanno conosciuto a ricordarlo.

 

 

Chiesa dei Cappuccini a Fiume.

 

Una volta la grande Chiesa bianca sul Colle di Cosala si poteva vedere anche da Abbazia. Oggi no perché la vista è preclusa dai grattaceli-dormitori eretti nel dopoguerra.

La mia famiglia abitava sul lato Sud della Buonarroti ed apparteneva alla parrocchia dei Cappuccini. Alla loro bella Chiesa in mattoni rossi in città, mancava la parte terminale superiore, fino ad oggi non costruita.

Entrando dalla porta principale, a destra la Statua di Sant' Antonio di Padova con davanti un mazzo di grandi gigli bianchi, sempre freschi, che emanavano un profumo penetrante. In fondo alla navata destra la Vergine di Lourdes nella sua grotta di cartapesta. In fondo alla piccola balaustra che chiudeva il vano, la statuetta di un negretto che, introducendo una moneta, chinava il capo ringraziando.

Nella Chiesa ho fatto la Prima Comunione.

La Cresima, come si usava, la ebbi dalle mani del Vescovo nella cattedrale di San Vito. Ero stato battezzato nella bella Cappella dei Cappuccini, nell' interno dell' Ospedale Civile, oggi del tutto scomparsa.

Adiacente alla Chiesa vi era l' Oratorio dei frati cappuccini, da me assiduamente frequentato. Il mio mentore era Padre Gabriele recentemente morto "in odore di santità". Scalzo, con i suoi vecchi sandali, giocava al calcio con noi ragazzi.

Davanti alla larga scalinata della Chiesa, il vasto piazzale che ospitava un centinaio di grandi e robusti cavalli con i loro cari e relativo "cucer" (cocchiere), principale mezzo di trasporto merci in città. Sul tutto aleggiava un odore intenso di urina equina.

Ne fa una descrizione magistrale il mio fratello di latte Nini Grohovaz, morto in Canada, nel suo libriccino "Per ricordare le cose che ricordo", che tutti i fiumani dovrebbero leggere.

 

Nini Grohovaz

 

Nini racconta di quando la sua mamma, la signora Angela, che fu la mia nutrice, lo mandava a raccogliere letame dei cavalli per concimare l' orto di casa, con un secchio il cui fondo spesso perdeva. Nini non era felice quando doveva attraversare la città lasciando dietro di sé una traccia maleodorante.

Oggi a Fiume si parla di costruire una moschea islamica con relativo minareto.

Io però, comunque, prima propongo di invitare ufficialmente il governo di Berlino a far ricostruire a sue spese - come ha fatto recentemente in alcune città della Germania - la nostra bella Sinagoga di Via Pomerio, incendiata e fatta saltare per  aria dalle autorità germaniche.

 

Il Tempio votivo di Cosala.

 

 Signor Sindaco, la ringrazio a nome di mio nonno rimasto, che riposa nel Cimitero di Cosala dal 1928, per quello che Lei potrà fare. Grazie.

Dicmbre 2009.

 

 

Cucina  fiumana  e  internazionale

 

Mi dispiace, ma oggi mi sta ritornando una vena autobiografica. Per ben otto anni, dal 1955 al 1963, ho navigato tutti i Mari del mondo e visto tutti i Continenti.

Ad Auckland, nella Nuova Zelanda ho mangiato delle ottime aragoste. Ad Hong Kong buonissimi pesci appena tirati su ancora guizzanti dalle vasche dei ristoranti galleggianti nella baia di Aberdeen nell' Isola di Victoria.

Sempre a Hong Kong, in terraferma, a Kowloon, vicino alla stazione del ferry, nel ristorante russo di Katchenko, ho mangiato un beef Strogonoff che uno così non lo trovi nemmeno a Mosca.

Nel ristorante del "Galle Face Hotel" di Colombo, sull' Isola di Ceylon (oggi Sri Lanka) ho mangiato il più buon "curry" del mondo.

 

 

Di fronte a tanti nomi e Paesi lontani, non facciamo far brutta figura alle nostre terre. Andate in Istria, a Pirano, da Pavel, che nel suo ristorante sul lungomare vi servirà una "buzera" di scampi indimenticabile.

 

La buzera di "masinette"  (granchiolini)

 

Nella piazzetta del porticciolo di Volosca ho mangiato un branzino al forno, incomparabile.

Non voglio qui dimenticare gli "scombri" ai ferri che ho mangiato due anni fa sulla terrazza del ristorantino "Da Benito" proprio sulla spiaggia di Valsantamarina (oggi Draga di Moschiena). Vicino agli scombri un piattino di vetro con il condimento: olio d' oliva dalmata con dentro, tirati fini, prezzemolo fresco e spicchi di aglio.

Noi a Fiume, con una bottiglia di Malvasia istriana, bianco secco di un aroma delicatissimo, e con le nostre "palacinche" mitteleuropee, non facciamo certo brutta figura sulla scena culinaria internazionale.

 

 

Astice

 

Vorrei anche dir due parole della buona tavola del luogo in cui io vivo oggi, proprio sulla linea di confine fra il Veneto e il Friuli, nonostante alcuni miei concittadini fiumani mi abbiano già incolpato di essermi "venduto" ai veneziani.

La mia casetta con giardino si trova esattamente nel centro geografico della zona del Lison - Pramaggiore dove viene prodotto il migliore tocai (bianco secco) d' Europa. Sento già le urla di protesta dei miei amici di Cormons su "Collio" goriziano, che reclamano per sé tale primato.

 

Cantina e vini del "Collio" goriziano.  "La Casa delle Fiabe"

 

E' sempre attuale la polemica con gli amici ungheresi che ci accusano di aver rubato loro la definizione "Tocai".  Ma la verità è un' altra (e la Storia, si sa, è sempre grande maestra).

Nel secolo diciasettesimo (scrivo il numero in lettere per evitare che i miei lettori leggano ics, vi, i, i) una principessa firulana (del principe Porcia ?) andò in sposa a un nobile magiaro. Il padre di lei, appassionato viticoltore, le donò in dote anche alcuni vitigni del nostro Tocai, dai quali gli ungheresi trassero il loro famoso Tocai dolce.

Questa è la storia.

 

 

Bagno  Nettuno

 

Sul nostro silurificio ed i suoi aspetti tecnici, commerciali e bellici, sono stati scritti volumi. Io oggi voglio solo immergere il cucchiaino nella tazza della mia vita e rimescolare fondi sentimentali di una infanzia e giovinezza a Fiume.

Come tanti bambini fiumani, io avevo imparato a nuotare al Bagno Nettuno. In estate la mia mamma mi ci portava spesso.

Per merenda portavamo da casa una fettina di vitello impanato e caffelatte freddo in quelle bottiglie quadrate di vetro bianco che avevano contenuto olio minerale della Romsa. Il Bagno Nettuno era adiacente al Silurificio.

Io mi ricordo che stavo a guardare per ore e ore i lanci di prova dei siluri che, ad un certo punto, restavano a galleggiare con la testata vuota in sù. Un motoscafo andava a riprenderli.

 

Silurificio Whitehead a Fiume, e prove di lancio.

 

Molti, tanti, infiniti anni dopo, al posto del Bagno Nettuno vi era una pista di cemento, liscia, per la pallacanestro, poi una pista da ballo. Nelle tiepide serate d' estate a Fiume, io ballavo alle melodie di una orchestrina, tenendo stretta a me una dolce fanciulla nel suo vestitino estivo di cotone.

Io sono nato e cresciuto cristiano, ma ho avuto sempre simpatia per la dottrina del Buddha con la Ruota che gira sempre senza mai fermarsi e fa rinascere ogni uomo in un karma nuovo.

 

 

Alla mia tarda età e nelle mie fantasie, qualche volta io sogno di vivere in una reincarnazione e curo con amore immagini e memorie della mia precedente esistenza a Fiume. Chissà come e quale sarà la prossima.

Oppure, forse, riuscirò nella mia vita terrena ad acquisire abbastanza meriti da poter scendere dalla Ruota ed unirmi alla Grande Eterna Anima.

31 marzo 2010.

 

 

La  nostra  lingua

 

Ho appena finito di leggere un libro interessante: "Fiume, città della memoria" di Ilona Fried. Ungherese, insegna italiano nella Università di Budapest, dove ancora oggi la nostra città si chiama Fiume.

 

Ilona  Fried

 

La Fried scrive che il dialetto puro fiumano si parlava soltanto nella Città Antica, che lei chiama "Gomila". Il ceto medio, la borghesia, parlava italiano. Nelle "frazioni montane" di Belvedere, Cosala e Drenova si parlava il croato.

Per quanto riguarda Drenova non metterei le mani sul fuoco, ma vi posso assicurare che noi in Belvedere abbiamo sempre parlato solo in fiumano.

In Europa, oggi, io conosco solo uno che parli vero fiumano, il mio più caro amico Rodolfo (Rudi) Decleva.

Tutti gli altri sono un Australia dove, in esilio in un mondo anglofono, hanno mantenuta intatta la Lingua Materna.

 

Rodolfo Decleva fotografato in un recente discorso nel Circolo culturale "Agitatori Irrequieti" di Genova.

 

In quanto a me, dopo anni a Trieste e nel Veneto, il mio fiumano si è diluito e falsato. Per esempio io dico: "La mia mama jera bela". In fiumano si dice: " la mia mama, essa la era bela" (un nostro francesismo).

Ancora un litro de quel bon, poi vado a casa.

2 maggio 2010.

 

 

Un  fenomeno  della  natura

 

 

Il raggio verde lo si può vedere solo in alto mare, con mare calmo ed un orizzonte chiaro, senza nubi o foschia. Io lo ho visto solo una volta nella mia vita.

Eravamo in navigazione da Singapore per Hong Kong. Il mare della Cina era liscio come uno specchio, l' orizzonte limpido. Al tramonto il disco rosso del sole, un secondo prima di sparire completamente dietro l' orizzonte del mare aveva emesso un raggio brillante colore verde smeraldo, subito sparito.

 

Raggio Verde sull' orizzonte del mare

 

Sarò lieto e grato se uno di voi, navigante, potrà dirmi di aver visto almeno una volta il fenomeno, ed in quale latitudine.

"Navigare necesse est" aveva scritto a Fiume il Vate. Questa frase, come tante altre del Comandante, fu poi usata dal suo Imitatore a Roma.

 

 

Industria  e  Commercio

 

La via dell' Acquedotto ospitava due delle Industrie cittadine: la fonderia Skull, il cui proprietario Nevio Skull fu ucciso nel dopoguerra, e la Cartiera, che traeva profitto dalla abbondanza di acqua, proveniente dalla sorgente sotto la rupe, che fluiva nel fiume Eneo (Recina).

 

fiume Eneo in prossimità della sorgente.

 

La Manifattura Tabacchi, situata tra il Viale Braida e l' ex Potok, nei suoi tempi aurei dava lavoro a centinaia di donne, le "Tabacchine", le quali, se non erano sposate, non portavano il cappello. Sui Cantieri Navali, il Silurificio e la Raffineria di Olii Minerali ho già scritto.

 

 

Il fulcro del nostro Commercio era il Porto costruito dall' Ungheria, con i suoi traffici marittimi.

In entrata merci varie, carbone, cereali, caffé. In esportazione principalmente legnami dall' retroterra, che venivano sistemati in cataste nel molo Adamich, tra le quali noi fanciulli giocavamo a "I ragazzi della via Paal".

Servizi passeggeri per la Dalmazia ed il Mediterraneo. Con i transatlantici Conte Rosso e Conte Verde per la Cina ed il Giappone. Le navi della "Cunard" portavano nelle Americhe emigranti. Intere famiglie arrivavano con la ferrovia a Fiume dove, in attesa della nave potevano alloggiare gratuitamente nel nuovo "Albergo degli Emigranti", sorto sulle Rive vicino al Faro, con raccordo ferroviario.

Fiume, città operosa, città viva, mia città natale. Ti porto e ti porterò sempre nel cuore.

18 aprile 2010.

 

 

Navigare  nel  tempo

 

Alla luce dei progressi della Scienza e della Tecnica - che ci hanno fatto riporre in soffitta il vecchio caro sestante e navigare i mari orientandoci con il sistema satellitare - io credo che non sia logico continuare a seguire la tradizione antica e numerare i secoli a partire dalla presunta esistenza di un mitico Profeta del  Medio Oriente.

D' altra parte, quale potrebbe essere la alternativa per inquadrare nel tempo la Epopea dell' Uomo sulla Terra ? Le clessidre di una volta recavano la scritta "Tempus fugit".

Esso ci sfugge tra le dita come una fine sabbia asciutta, riscaldata dal sole.

Anche i più precisi cronometri segnano un tempo, e poco dopo ne segnano un altro. Io direi che - invece di cercare di inquadrare il tempo - dovremmo godercelo fino a che dovremmo lasciarlo.

Per quanto riguarda me - in tarda età e claudicante - andando senza premura verso il crepuscolo del Viaggio - canto con Mario Cavaradossi nel quarto atto della Tosca, "E non ho amato mai tanto la vita".

 

24 Aprile 2010

Noi  e  l' Italia

 

Quando gli italiani arrivarono nelle nostre terre, accolti da un tripudio di bandiere, non sapevano dove erano, e nulla sapevano di noi. Erano convinti di poter applicare, più o meno automaticamente, gli stessi sistemi in vigore nel Regno d' Italia.

Un aneddoto: Un contadino istriano va all' Ufficio delle Imposte ne dichiara di possedere venti vacche. L' impiegato dice: "Allora, io annoto quaranta". Al funzionario sembrava incredibile che un contribuente dichiarasse volontariamente la verità, come noi eravamo abituati a fare sotto l' Austria - Ungheria.

Un altro episodio vero, raccontatomi dalla mia mamma: Quando ero bambino: mia madre, durante la prima guerra mondiale, aveva vissuto a Merano da un suo zio che era Colonnello nell' Esercito austriaco.

L' Esercito italiano cercava soldati sud-tirolesi, bilingui, da usare quali interpreti per l' Italiano - tedesco.

Un capitano dell' Esercito italiano fa mettere in riga trenta soldati austriaci e grida: - "Chi sa leggere e scrivere faccia un passo avanti !" - Tutti e trenta soldati fanno un passo avanti. Il Capitano si arrabbia terribilmente e si sente preso in giro.

Nel Regno d' Italia d' allora era inconcepibile che trenta soldati semplici fossero tutti alfabeti.

 

 

Da ragazzi, a Fiume, i figli dei regnicoli - così noi chiamavamo i nati nel Regno d' Italia - non erano considerati da noi degli stranieri. Ma non erano al cento per cento dei nostri, laddove lo erano i fiumani di lingua croata e gli ebrei. A questi ultimi - io facevo la terza elementare e persi così cari amici per le leggi razziali - fu proibito di frequentare le scuole pubbliche italiane.

Il Porto di Fiume, da unico porto dell' Ungheria, diventò, se non l' ultimo, uno dei tanti porti dell' Italia. I suoi ricchi traffici di legname e merci varie scemarono e finirono con lo scomparire.

L' Italia ci portò la Befana (fascista) da noi ignorata, rimasti fedelissimi al nostro San Nicolò.

Un altro piccolo episodio: quando vivevo e lavoravo a Trieste nell' ambito marittimo, un giorno arriva in Porto un camion con della merce.

Un ispettore di Dogana palermitano fa aprire le porte posteriori del camion e fa i tre scalini per dare un' occhiata al contenuto del mezzo. Contemporaneamente dice al rappresentante della Casa di Spedizioni: "Mi faccia annotare tre ore di straordinario".

Io ero presente ed erano le nove del mattino. Questo stupido episodio forse ferì il mio senso di onestà e correttezza, sempre avuto nella mia vita. Io sono nato e cresciuto con la lingua e cultura italiana.

Ciò che mi ha sempre disturbato è la supina applicazione di leggi in parte arcaiche. Se uno subiva un furto per strada, per poter fare la denuncia al Commissariato di Polizia doveva precipitarsi al più vicino "Tabacchino" - che spesso ne era sprovvisto - per acquistare la carta bollata, indispensabile per stilare il rapporto.

Un tributo questo, medioevale, in vigore ancora oggi.

 

Ambrogio Lorenzetti: Allegoria del buono e del cattivo governo. Affreschi in Siena 1337 - 1339

 

 

Il  dottor  Vittorio  Finderle

 

Il dottor Vittorio Finderle era un nostro carissimo amico di famiglia, avendo lavorato per tanti anni in Ospedale con mia madre che, come è noto, è stata per ben dieci anni levatrice "interna" nell' Ospedale civile di Fiume.

 

Nuovo Ospedale pediatrico a Cantrida (Fiume). Sala d' attesa.

 

Sin dalla prima infanzia è stato per me come un secondo padre, sempre allegro, simpatico, pieno di vitalità e professionalmente altamente stimato.

Debbo qua dire che il nome di Vittorio Finderle è stato per cinquant' anni "tabù" e ignorato tra gli esuli fiumani, in quanto lui aveva combattuto nella Resistenza (sì, nei "partigiani") ed era "rimasto" a prestare la sua opera a Fiume, dopo l' esodo, sotto lo Stato jugoslavo.

Leggendo oggi quello che lui ha fatto, creato, utilizzato per l' Umanità, devo dire che Vittorio Finderle si può senz' altro annoverare - come dice Dorotea Plese nel suo articolo su "La Voce del Popolo" - tra i "Grandi fiumani". grazie dottor Finderle.

dicembre 2002.

 

 

La  primavera

 

A Fiume era tradizione, in primavera, fare una camminata verso Drenova o Santa Caterina a cogliere Violette e Ciclamini.

Questi li avrei messi volentieri in un bicchiere con acqua in camera mia, ma la mia mamma diceva che il loro profumo era nocivo per la salute.

In città sparivano i venditori di castagne arrostite e aprivano le gelaterie dei Fontanella in piazza Regina Elena, in Braida, in fondo alla via Parini ed in Fiumara, angolo di via Roma, di fronte al Ponte.

Quando, nel 1963 arrivai per la prima volta, esule, a Francoforte, vidi nel Viale della Stazione (Kaiserstrasse) una gelateria Fontanella. Per me fu come un saluto da casa.

In Germania ne vidi tanti di Fontanella e Panciera, tutti cadorini, che portavano il nome d' Italia nel mondo.

A Gibilterra, in una breve sosta della mia nave, vidi nella strada principale una gelateria italiana che si chiamava Cortina.

 

Donata  Panciera.

 

 

Italiani  nel  mondo

 

Nei miei "Wanderjahre" di navigazione ne incontrai tanti, tutta brava gente, attiva ed operosa, molti già con una azienda propria. Nelle Americhe, in Canada, in Australia, Nuova Zelanda e Tasmania.

Recentemente il Presidente Obama, in un suo discorso, aveva ringraziato gli emigranti europei che "avevano costruito l' America".  Questo è realtà.

Lascio a voi considerare come noi, oggi in Italia, accogliamo le migliaia di poveri profughi da fame e da guerre, che giornalmente sbarcano nelle nostre sponde.

8 giugno 2010.

 

 

 

 

La  bicicletta

 

Dove vivo oggi, nel Veneto Orientale, in pianura, tutti vanno in bicicletta, dalla prima infanzia fino alla tarda età.

Noi fiumani non siamo mai stati un popolo di ciclisti, per la semplice ragione che la nostra città è in piano soltanto lungo le rive del mare, della Fiumara e nel Centro.

Tuto il resto è salita.

Comunque noi, giovani, nelle lunghe e calde estati correvamo in bicicletta per tutta la nostra riviera, sul portapacchi solo le braghette da bagno e un asciugamano.

Io abitavo in Buonarroti alta.

Qualche volta tornando a casa, per fare prima con la bici in spalla, salivo su per la scalinata di via Segantini.

La mia prima bicicletta la ebbi quando avevo 10 anni e non ero ancora capace di star su due ruote. Era una Bianchi nera di media misura, tra bambino e uomo, che la mia mamma (erano tempi magri) aveva comprato di seconda mano per 90 lire.

 

Giulio con la bicicletta "Bianchi" nera.

 

La vera bicicletta venne in seguito, una bella Wolsit nuova, comprata nel negozio di Cacciolato in Via Parini.

Solo per comprare mezzo chilo di ciliege - di quelle bianche, grandi e dolcissime che non ho mai più visto in vita mia - pedalavo fino a Laurana.

 

Irresistibili Ciliege di Laurana

 

Dopo il Capolinea del Tram a Cantrida, fino al bivio per Mattuglie.  Quanto è bella giovinezza.

Giugno 2010.

Fiume  e  Sussak

 

Non credo che siano molte le città che hanno una propria sorgente di aqua potabile. Quella di Fiume scaturiva e formava una polla verde ai piedi di un' alta rupe. Da essa fluiva il fiume Eneo (Recina) che correva parallelo al Canale della Fiumara, il quale aveva acqua salmastra.

Alla Foce i due corsi d' acqua formavano il Delta, unito al porto Baross, scalo di legnami, il quale nel 1920 - con una clausola segreta del Trattato di Rapallo  ufficializzato nel 1924 - fu assegnato al nuovo Regno di Jugoslavia (Regno dei Serbi, Croati e Sloveni) mentre il destino della nostra città Fiume rimase insoluto.

Alcune centinaia di metri a Est, a Sussak, vi era lo stabilimento balneare Gradsko (Cittadino) meta di tanta gioventù spensierata.

 

Il ponte di ferro sull' Eneo, che segnava il confine con la Jugoslavia.

 

Ancora più avanti, verso la costa dalmata, il bagno albergo Jadran, dove andavo in bicicletta da Fiume (Belvedere) per ammirare le stupende najadi slave, bionde con gli occhi azzurro cielo.

Felice giovinezza a Fiume.

8 giugno 2010.

 

 

Essere  fiumano

 

Molto è stato scritto su Fiume città cosmopolita, crogiolo di lingue ed etnìe.

Un esempio storico: il figlio di Robert Whitehead, ingegnere inglese e inventore del siluro, sposa la figlia di un ungherese, il conte Hoyos, alto ufficiale della Marina Imperial Regia e poi direttore generale del nostro silurificio.

Ebbero un figlio che sposò la figlia dell' Arciduca Rodolfo, suicidatosi (o ucciso ?) in circostanze misteriose a Mayerling.

A Fiume, tutti i provenienti dalle varie etnie adottavano il nostro modo di vivere ed il nostro dialetto veneto - italiano.

Per quanto mi riguarda, entrambi i miei genitori erano nati a Fiume sotto l' Imperatore Franz Josef von Habsburg. Io sono nato a Fiume sotto Vittorio Emanuele Terzo di Savoia.

Mio nonno paterno era ungherese e venne per lavoro a Fiume, che quella volta era sotto la corona di Santo Stefano.

 

Cattedrale di Santo Stefano a Budapest.

 

La mamma di mia madre era dalmata, croata. Il padre istriano di Pola. Sua madre era nativa di Lussinpiccolo.

Credo proprio di avere tutte le carte in regola per essere un figlio della terra di San Vito.

18 Settembre 2010.

 

 

Allievo  di  coperta

 

Ero Commissario di bordo sulla "Irpinia" della Grimaldi.

Eravamo in navigazione in Atlantico con rotta per il Canada. Un allievo di coperta stava facendo il suo turno di guardia notturno sul ponte di comando. Manda a chiamare il Comandante che stava riposando in cabina: "Comandante, due luci sul diritto di prua (In pieno Oceano ?). Il Comandante corre sul ponte e si rende subito conto della svista del giovane, del resto non insolita.

Stava sorgendo una mezza luna (una falce di luna) con le due punte verso l' alto le quali, apparendo sull' orizzonte del mare, sembravano realmente due fanali.

 

Falce di luna sorgente sull' orizzonte del mare.

 

Forse uno di voi, Comandante in pensione, vorrà raccontare una storia accaduta quando era allievo di coperta.

18 Settembre 2010.

 

 

Marmellate  e  martellate

 

Mi è venuta in mente una vecchia storia, forse stupida, ma autentica, e con alcuni accenni di culinaria.

Ero Commissario di bordo sulla nuova motonave "Victoria" de,l Lloyd Triestino, in servizio di linea da Genova per l' India, Estremo Oriente. I menù di prima classe e di quella turistica venivano stampati a bordo. Ovviamente, non avevamo una linotype e le matrici venivano composte a mano, con caratteri di piombo.

Come da contratto sindacale passavamo al tipografo un litro di latte al mese, per evitare intossicazione da piombo.

 

Razione di latte.

 

Al tipografo, un simpatico triestino di mezza età, il latte non piaceva, ma amava invece l' uso e l' abuso di bevande alcooliche, che lo portavano a volte a sviste e refusi.

Un giorno, sul menù di prima colazione per i bambini, invece di pane biscottato e marmellate diverse, appariva: "pane biscottato e martellate diverse".

Più grave, in un menù di una cena di gala in prima classe, tra gli antipasti si leggeva: invece di vitello tonnato guarnito: "Vitello tornato guarito".

Storie di navi.

15 Settembre 2010.

 

 

Canzoni  del  tempo  di  guerra

 

La scorsa notte, nel dormiveglia, non so come, mi venne in mente una stupida canzoncina che cantavamo in guerra:

 

A noi la morte non ci fa paura

ci si fidanza e ci si fa l' amor,

e se una volta ci manda al cimitero,

anche il becchino deve lavorar.

 

Dimostrava quanto erano inconsci e irresponsabili i nostri ragazzi che andavano a farsi ammazzare per Dio e Patria.

Ma i veri criminali erano e sono coloro che mandavano i ragazzi a morire in nome di ideali tanto inesistenti quanto i miracoli della Madonna e dei Santi.

Gli unici con la testa a posto erano, come sempre, i nostri Alpini, che in Albania cantavano:

 

Sul ponte di Perati, bandiera nera

La meglio gioventù va sottotera.

 

Le guerre non sono molte, ma una sola. I periodi fra due guerre erano soltanto pause.

Ancora oggi la guerra dura: i massacri nel continente africano.

 

 

La nemesi dell' uomo è stata sempre quella di distruggere i propri simili, gli esseri viventi sul Pianeta e la stessa Natura (foreste fluviali scomparse e fiumi avvelenati).

Il processo di autodistruzione è in atto da millenni e proseguirà fino alla fine.

31 Ottobre 2010.

 

 

Il  bunker

 

Mi viene richiesto di parlare ancora, quale testimonio oculare, del bunker in cemento armato a fianco della Capitaneria del porto. L' accesso non fu mai permesso ai civili.

Fiume nel 1945. Io avevo 16 anni, con la mia squadra della Milizia Portuaria, tutti fiumani, fui "casermato" nel bunker assieme a soldati tedeschi. Vi restammo una lunga settimana. Mangiavamo cibi in scatola e dormivamo per terra. Mi ricordo che dormivo bene, meglio di oggi, nel mio letto, con la insonnia dei miei 82 anni.

 

Soldati della R.S.I. dormienti.

 

Mattino del 3 maggio 1945. Da una feritoia del bunker potei osservare i guastatori tedeschi che facevano saltare per aria i moli del porto, compreso il Molo San Marco, con il suo bel leone di marmo bianco.

Su bunker cadde una pioggia di pietre e rottami.

Le truppe di Tito erano già in città. Tutti i soldati tedeschi che erano con noi, con armi e bagagli (compresa tutta la rimanenza delle scatolette non consumate) presero la via di Trieste per andare a consegnarsi agli americani.

Fu qui che accadde il fatto per il quale vengo oggi così duramente incriminato. Io presi il mio fucile, che in realtà era un mitra Beretta calibro 9, lo buttai in mare e andai a casa.

Per Giulio Scala era finita la seconda guerra mondiale.

La sera uomini armati vennero a prelevarmi, ma di questo ho già scritto.

Questa è la storia del mio bunker, alias - chiedo scusa ad Ippolito Nievo - Le Memorie di un Ottuagenario.

13 Ottobre 2010.

Notti  tropicali

 

Pesci tropicali

 

Nei titolo sembra si tratti di notti folli passate sulla spiaggia di Copacabana a danzare il Samba con fanciulle creole poco vestite.

La storia è un' altra: ero Commissario di bordo sulla "Ascania", una nave non di recente costruzione della "Grimaldi", in navigazione nei Caraibi.

La nave non aveva aria condizionata e le notti erano calde. Io avevo fatto riparare da un marinaio, con tela da vele, un mio vecchio lettino da spiaggia e l' avevo sistemato sul tetto del cassero di poppa. La notte vi dormivo bene, cullato dal vento fresco della corsa della nave.  Una notte mi svegliano improvvisamente: "Signor Scala, sveglia, piove".

Stava venendo giù un acquazzone tropicale, ed io non mi ero svegliato. Finirono le mie notti sotto le stelle. In quattro ufficiali trovammo una soluzione: una cabina passeggeri non occupata, a quattro posti (due letti a castello) sul lato sopravvento della nave, sul ponte più basso, fissammo agli oblò delle maniche a vento che convogliavano nella cabina vento fresco. Le maniche a vento erano dei tubi di zinco a gomito con una metà tagliata obliqua, che sulle navi di una volta servivano a rinfrescare i locali.

Sul ponte di coperta delle vecchie navi si ergevano come giganteschi funghi le maniche a vento che portavano aria fresca in sala macchine.

Nella cabina, ognuna delle quattro cuccette era munita di tende le quali, sotto il soffio dell' aria, svolazzavano per tutta la cabina come un sabba di fantasmi. Inoltre, gli oblò erano molto bassi sulla fiancata della nave (ponte inferiore) ed ogni tanto entravano, attraverso le maniche a vento, fiotti d' acqua di  mare che allagavano la cabina.

Dovemmo tornare a dormire nelle nostre cabine sui ponti superiori sudando sotto il getto diretto di un ventilatore. I nostri oblò davano su uno dei  ponti passeggiata.

Mia moglie ancora oggi mi dice che i dolori reumatici della mia età avanzata sono dovuti ad aver dormito per tante notti, sudato, sotto il ventilatore.

10 Ottobre 2010.

 

 

 

Un  fiumano  in  guerra

 

Oggi voglio raccontare dell' unica volta in cui, durante la seconda guerra mondiale, io ho visto soldati americani.

Ogni tanto passavano su Fiume, ad altissima quota, bombardieri americani B 52 "Fortezze volanti" che rientravano nelle loro basi in Sud Italia dopo aver bombardato Vienna.

Un giorno ne passò uno a bassa quota, con dietro una lunga scia di denso fumo nero, evidentemente era stato colpito dalla Flak nel cielo di Vienna e andò a cadere in mare nel golfo del Quarnaro.

Io, con la mia squadra della Milizia portuaria, mi imbarcai su una pilotina della "Wasserschutzpolizei" (la Difesa Costiera tedesca) che si diresse verso il punto dove era caduto il velivolo.

L' aereo era semi sommerso, ma l' equipaggio, di cinque o sei uomini, era già su un battello gonfiabile. Uno era un negro, due di loro si esprimevano in un italiano stentato, con qualche parola in dialetto, credo siciliano.

 

 

Giunti a terra, il Comandante della GNR (ex milizia) di Salò, pretese che i tedeschi gli consegnassero i due, che lui chiamava "italiani traditori". I tedeschi rifiutarono chiarendo subito che si trattava di combattenti americani destinati ad un campo di prigionieri di guerra.

Per il resto della guerra io non ebbi più occasione di un incontro (o scontro ?) con soldati "nemici". Questa è la mia storia di soldati americani a Fiume.

2 Novembre 2010.

 

 

Naufraghi

 

Ero Commissario di bordo sulla Fairsea della "Sitmar" in servizio di linea Europa - Australia. In navigazione oceanica tra Australia e Tasmania avvistiamo uno Yacht di alto mare evidentemente in difficoltà che aveva lanciato un segnale di "distress", un razzo rosso. A bordo quattro uomini e una donna totalmente esausti. Da giorni avevano finito viveri ed acqua, il timone era in avaria, sballottati dalla tempesta, le vele a brandelli.

Recuperiamo i poveretti e li affidiamo al nostro medico di bordo. Volevamo salvare anche lo Yacht, certamente molto costoso, e lo prendiamo a rimorchio, ma una notte, con  mare grosso, il cavo si spezza e lo yacht va perduto.

 

 

Un' altra volta, sulla "Ascania" di Grimaldi,in navigazione nei Caraibi, con pilota a bordo, passiamo davanti a un isolotto deserto, e con i binocoli vediamo sulla spiaggia un uomo, un europeo che agitava le braccia e sembrava chiedere aiuto.

Mettiamo una lancia in mare per andare a vedere cosa succedeva: era un francese della Martinica. La sua imbarcazione si era arenata con la bassa marea e, nonostante la marea fosse tornata alta, e pur facendo forza con l' ancora, non era riuscito a riportarla a galla. Lo aiutiamo, ed egli riprende la sua solitaria crociera fra le isole.

Andare per mare non è certo una cosa da tutti.

 

Soccorso in mare

 

Noi a Fiume avevamo un antico proverbio: "Cici non xe per barca". (Si riferiva agli abitanti della "Terra dei Cici" che era una regione interna dell' Istria, non bagnata dal mare, nella quale vivevano contadini e boscaioli.

12 Novembre 2010.

 

 

Di  guardia  al  G.U.F.

 

1943 / 1944. Fiume era occupata dai Tedeschi. Un cantante in voga era Natalino Otto, che cantava una sua versione sincopata delle "Tristezze" di Chopin.

Eravamo un gruppo di ragazzi, tutti sui 15 anni, tutti decisi a fare qualsiasi cosa per non essere deportati in Germania, come stava accadendo in tutto il Nord Italia.

Il mio caro amico e compagno di classe alle elementari di piazza Cambieri, Nevio Vitelli, mandato con il "Servizio di Lavoro" in Germania, finì a Dachau. Dopo 3 mesi dal suo ritorno a Fiume, morì di TBC. Ricordiamolo.

Ci avevano vestiti con una strana divisa di tela color kaki. con i pantaloni alla zuava, scarponi militari, in testa una bustina militare, pure kaki.

Avevamo un fucile modello 91, con baionetta innestata. Due di noi, in turno di guardia, dovevano stare di sentinella ai due lati della entrata della Sede del GUF di Fiume, in Corso. Il GUF era la sede della Gioventù Universitaria Fascista.

 

Il G.U.F. militarizzato, al tempo della Repubblica di Salò

 

Quando passava un ufficiale scattavamo sull' attenti, battendo i tacchi. Se era un ufficiale italiano, spesso non rispondeva al saluto. Se era un tedesco salutava sempre e, se nella mano destra portava una borsa, la passava con calma nella sinistra e stendeva il braccio nel "saluto romano" attualizzato in "Heil Hitler".

Al primo piano del GUF vi era un piccolo teatro. D notte noi dormivamo per terra su materassi, dietro le quinte del palcoscenico.

Se per caso uno di voi, vostro padre, o nonno, si ricordasse ancor oggi di aver preso parte anche lui a quella triste mascherata, sarò grato se si farà vivo.

21 Novembre 2010.

 

 

Terza  puntata

 

 

Usi  di  mare

 

Ero Commissario di bordo nella nuova motonave Victoria del Lloyd Triestino, in servizio di linea celere Genova, India, Estremo Oriente.

Oltre agli eventi naturali, come un monsone in Oceano Indiano, eventuali tifoni nel Mare della Cina (su questi ho già scritto),  durante il viaggio potevano emergere difficoltà nei Laghi Amari.

La nostra rotta passava per il Canale di Suez.

 

Il Canale di Suez

 

Il Canale era a senso unico e bisognava percorrerlo in convoglio con pilota a bordo. Ovviamente la nave più veloce, di solito la nostra, era in testa al convoglio.

Di notte ogni nave doveva accendere un potente riflettore appeso sul dritto di prua. Se la nave non ne aveva uno proprio, lo poteva noleggiare presso le Autorità del Canale.

Io guardavo dietro di noi la lunga fila di fari, nella notte. A sinistra ed a destra soltanto il deserto. Una visione suggestiva.

A circa metà del Canale, tra Port Said, Mediterraneo, e Port Suez, Mar Rosso, vi erano i Laghi Amari. Sempre seguendo le istruzioni del pilota, dovevamo dare fondo (ancorarsi) per lasciar passare le navi che proseguivano in direzione opposta.

I fondali dei laghi erano di creta argillosa e poteva succedere che un' ancora si impigliasse rendendo estremamente difficile, se non impossibile, il normale recupero della catena con il winch (argano) di bordo. Inoltre il vento spostava le navi che avevano le macchine ferme le quali, muovendosi, trascinavano la catena, facendo "arare" l' ancora, per tratti anche lunghi.

Logicamente, nel caso di recuperi di emergenza, era estremamente problematico individuare il punto dove l' ancora giaceva sul fondo.

Le navi inglesi, con lunga esperienza di navigazione nei mari del Sud, ogni volta che davano fondo nei Laghi Amari fissavano all' ancora, con un lungo cavo, un gavitello (piccola boa) di colore rosso, che restava a galla segnalando la posizione dell' ancora.

 

Penisola del Sinai e Laghi Amari

 

La Società di Navigazione Tripcovich S.A. (Salvataggio & Assistenza) di Trieste manteneva fissi nei laghi uno o due rimorchiatori per interventi urgenti. Le tariffe per le prestazioni erano molto alte, tali da giustificare l' impiego costante dei rimorchiatori.

Usi di mare. 

21 Novembre 2010.

 

 

Emigranti

 

Ero Commissario di bordo sulla Fairsea della "Sitmar" in servizio di linea dai porti europei per Australia e Nuova Zelanda. In partenza dalla Germania, i porti d' imbarco erano Bremerhaven e Cuxhaven; dalla Spagna La Coruna e Vigo in Galizia, Dal Portogallo Lisbona e Funchal, l' isola di Madeira, e infine Genova, Malta, Napoli e Pireo.

I porti d' imbarco nel Regno Unito erano Southampton e Plymouth. Ogni volta che la nostra nave attraccava ai moli di pietre squadrate di Plymouth  il mio pensiero andava indietro di due secoli, quando agli stessi moli si ormeggiava il Mayflower, che portava in Nord America i Padri Pellegrini, coloni europei andati a popolare il Nuovo Mondo. 

In quanto anche noi portavamo emigranti oltremare, io mi sentivo un poco come un successore dei navigatori di quella volta.

 

Mayflower in rada, e sbarco di pellegrini

 

Come scrive Charles Darwin nei preziosi diari del suo viaggio intorno al mondo con il Beagle - raccolti da Irving Stone nel volume "The Origin", al tempo in cui il Mayflower solcava l' Atlantico, il Continente Australe si chiamava ancora "New Holland".

 

Charles Darwin e il veliero Beagle

 

Ancora una curiosità americana forse meno nota al grande pubblico: le isole dei Caraibi, dove lo spagnolo Cristobal Colon, poi ribattezzato dai genovesi Cristoforo Colombo, ha messo piede a terra nel 1492, credendo di essere arrivato in India, ancora oggi, nel 2010 si chiamano ufficialmente West Indies (Indie Occidentali).

22 Dicembre 2010.

 

Sbarco di Colombo

 

 

 

Il  Mololungo

 

Panoramica del "Mololongo" di Fiume.  1707 m. (Attuale)

 

Non credo che sotto la defunta avesse un nome particolare. Gli italiani lo battezzarono "Diga Ammiraglio Cagni" e qui devo chiedermi, come il manzoniano Don Abbondio: Chi era costui ?

Esternamente, la lunga scogliera di grandi massi provenienti dalla Cava di Preluca, proteggeva durante le mareggiate la diga del porto di Fiume. La passeggiata superiore era costellata di buche, che non erano altro che ombrinali per fare defluire l' acqua delle ondate.

Al piano inferiore gli immensi depositi per le grandi boe, dove una sera di estate, al buio, avevo rubato ad una dolce fanciulla il mio primo bacio sulla bocca, sporcandomi di catrame le braghe nuove.

In testa alla diga la lanterna con la palla di ferro che ogni giorno, alle dodici in punto, cadeva sulla polvere pirica sparando il cannone che segnava il mezzogiorno per tutta Fiume.

A metà della diga il monumentale e barocco stabilimento balneare Quarnero, nelle cui vasche si sono allenate generazioni di nuotatori sportivi fiumani.

Sulla banchina interna si muovevano su binari le grandi gru che tramaccavano le merci  dalle stive dei piroscafi sui carri ferroviari, e viceversa. Sulla scogliera, con mare calmo, la mularia faceva il bagno gratis e pescava con la togna, spari e ociade per il fritto serale della mamma.

 

Passeggiata festiva in mololungo. (Attuale).

 

Mololungo: una immagine che resterà per sempre nel ricordo di tutti noi fiumani della diaspora.

22 Dicembre 2010.

 

 

 

Fiumani  nel  mondo

 

La storia dei Perillo. Questa storia l' avevo già scritta anni or sono, ma mi fa piacere raccontarla di nuovo.

Ero imbarcato sul Castel Felice della Sitmar e facevamo scalo nei porti della Nuova Zelanda. Un giorno in porto a Wellington (la capitale), mi vengono a dire che era venuta una signora italiana, che aveva saputo che a bordo c' era un ufficiale di Fiume. Me la portano, e quando mi disse che si chiama Perillo ci abbracciamo piangendo. Da bambini,  a Fiume, avevamo giocato ogni giorno insieme.

 

Panorama di Wellington

 

I Perillo erano una famiglia numerosa. La mia mamma, ostetrica, aveva fatto nascere buona parte dei figli, ed io, per così dire, ero diventato parte della famiglia. Il padre, operaio, era emigrato da Napoli a Fiume, dove lavorava nella Cartiera in Via Acquedotto. Vivevano nella cosiddetta "Casa Rossa", in cima alla stradetta che saliva lungo il muro del vecchio cimitero.

In nuova Zelanda avevano messo su una fabbrica di scarpe. In città, a Wellington, sul tetto della fabbrica, una scritta gigantesca, luminosa, che si poteva vedere anche dal porto. "Perillo Shoes".

 

   

Italian Style: Perillo Shoes e Aldo Perillo Sandals.

 

Esportavano le loro calzature in tutta l' Australia e in Oriente, fino al Giappone.

Fiumani nel mondo.

 

 

Medici  di  bordo

 

Non voglio scrivere nulla di critico sui medici di bordo. Voglio soltanto raccontare due episodi autentici accaduti sulla nave dove io mi trovavo.

Ero Commissario di bordo su una nave passeggeri di bandiera italiana in navigazione in Atlantico. Il nostro marconista riceve un messaggio radio urgente dal Comandante di una petroliera statunitense che aveva a bordo sua moglie che stava male e sperava di avere aiuto da una nave passeggeri, che certamente aveva un medico di bordo.

Il problema fu che le cognizioni della lingua inglese del nostro medico erano molto limitate e lui non fu in grado di interpretare i sintomi della paziente.

A me viene in mente che, tra i nostri passeggeri, vi era una giovane dottoressa inglese, e la mandai di corsa in stazione radio dove lei, sulla base di particolari forniti da un paramedico della nave americana fu in grado, in tempo relativamente breve, di rispondere al preoccupato Comandante, che il malore e i dolori della signora erano sicuramente dovuti a uno stato di gravidanza, e diede le prescrizioni del caso.

 

 

La stessa nave, sempre in alto mare.

Uno dei nostri camerieri cade per la scala interna e viene portato al Medico di bordo, con forti dolori a una gamba.

Il Medico subito, senza esitazione, fa la diagnosi di una storta muscolare. Fa chiamare due robusti marinai i quali, uno per parte, devono tirare con forza la gamba del poveretto, che si mette a urlare come un matto e perde i sensi.

Dal primo porto di scalo, in ospedale, da una radiografia si vede chiaramente che la gamba presenta una frattura ossea.

Medici di bordo.

7 gennaio 2011.

 

 

 

Libri  e  mare

 

Con i miei 82 anni, soltanto un poco malconcio, ma sano di mente, rifletto che i libri sono stati la mia passione. Da piccolo, come ogni bambino, avevo divorato tutti i romanzi di Giulio Verne, Emilio Salgari, Fenimore Cooper e Jack London.

 

   
   
   
   

Più aventi, spinto dalla mia costante paura di non arrivare in tempo a leggere abbastanza libri importanti, mi ero immerso, già a 13, 14 anni, nelle pagine di Victor Hugo, Anatole France e i grandi Russi.

 

   
   
  Leone Tolstoj

 

Ancora oggi, qualche volta, nei miei sogni mi appaiono lo studente Baskolnikov, perseguitato dalla sua coscienza, o il generale Kotusov, che aveva sconfitto il Grande Corso.

Nel secondo dopoguerra avevo seguito il trend e letto tutti i romanzi di Saroyan, John Steinbeck, Hemingway ed il grande cantore del Sud, Faulkner.

 

   
   
Hemingway2
   

 

Dopo aver conseguito una Laurea in Economia Marittima, forse seguendo inconsciamente le orme di Martin Eden, mi ero imbarcato come giovanotto ci coperta in una  Supertank di bandiera liberiana. Furono dodici mesi di duro lavoro manuale "fore the mast" (a prua dell' albero), ma poi potei vedere tutti i porti petroliferi del Venezuela, compresa la laguna di Maracaibo, già covo dei pirati di Salgari, come due porti insulari dei Caraibo: Curacao ed Aruba.

Il nostro prezioso carico liquido lo andavamo a cercare nei porti statunitensi, nei quali feci una vasta raccolta di edizioni economiche tascabili a buon prezzo, di classici inglesi. A bordo, con il naso pieno di penetranti fumi del greggio, seguivo le storie del pallido Principe di Danimarca e di Oliver Twist.

Più avanti, quando per nove anni fui Commissario di bordo su navi passeggeri di linea, durante gli scali nei porti in Estremo Oriente, alla sera, in smoking con giacca bianca (come Rick a Casablanca) andavo a cena nei ristoranti degli alberghi già preferiti da uno degli Autori da me amati: Somerset Maugham: a Singapore l' Hotel d' Europe (non il Rafles come molti credono) e a Hong Kong / Howloon nel classico "Peninsula".

Libri, fedeli compagni di tutta  mia esistenza , a Fiume ed in Esilio.

Pasqua 2011.

 

 

 

I  Negozi

 

I Negozi, anche di questo avevo già scritto, ma forse i fiumani di oggi non si ricordano di tutti.

La piccola merceria Vamos, in Piazza Principe Umberto, vendeva bottoni, ago e filo da cucire, calzini di filo di scozia. Ma il vero antro di Alì Babà era il Bazar della Bella Ebrea in Via Simonetti, accanto alla pasticceria Sari, di fronte al fornaio Chiopris.

Nel grande locale, in semi oscurità, si trovavano giocattoli, "tutto per la spiaggia", mobiletti, gabbiette per canarini, un gran tipo di utensili per casa e cucina, e mille altre cose più o meno utili.

 

La bella ebrea di Fiume

 

Nelle nostre latterie si poteva consumare un pasto vegetariano a base di uova, spinaci e yogurt. Le drogherie di quella volta vendevano sapone marsiglia, candele, paglia di ferro per lavare le pentole, trucioli di ferro per i palchetti, lucido da scarpe, cera per pavimenti, palline di naftalina, soda in scaglie e palline blu di Perlin per il bucato, piccole bottigliette con Sidol per lucidare rame e ottone, pasticche di menta in grandi vasi di vetro, vendute a chilo.

Forse la gente di allora viveva  più tranquilla, senza paura del terrorismo. Ma vi erano gli attentati. Il nostro Franz Ferdinand a Sarajevo, il re di jugoslavia Alessandro, ucciso in Francia. La salma fu riportata in patria, a Spalato, a bordo di una nave da guerra francese pavesata a lutto, come racconta Enzo Bettiza che ne fu testimonio oculare.

28 Maggio 2011.

 

 

 

Odori  di  casa

 

Non avevamo supermercati asettici con aria condizionata.

Entrando in un negozio di generi commestibili e coloniali (non sempre bene illuminati) ci veniva incontro un effluvio di tanti aromi, salumi appesi ai ganci, prosciutti, salami, cotolette di salame affumicate, baccalà secco, formaggi diversi, mortadella, lardo, sardelle salate stivate in barile, pezzi bianchi di sapone marsiglia. Un misto di odori domestici di casa di una giovinezza interrotta.

I luoghi: il negozio del Banelli, sul giro del Belvedere angolo via Nicolò Host (chi era costui ?). Il negozio del Panbianco: il vecchio in via Belvedere, angolo via Vasari; il nuovo, in Casa Copetti.

Le salumerie del Masé in via Carducci, angolo via Ciotta, e sotto la Torre: Moravecz in Corso, noto per il sua Caffé, che venivano a comprare anche da Oltreponte; le nostre pasticcerie piene di allettanti profumi di pastecreme, Krapfen e torte Dobosz

 

   

Simbologia del profumo, in Oriente e in Egitto. Il Fiore di Loto.

 

Il piacevole odore delle castagne arrostite che si comperavano in città, per strada, e l' odore dei mussoli caldi nel loro sugo, venduti in Cittavecchia sui banchetti illuminati dalla fiamma di carburo, al prezzo di 50 centesimi di lira, per una ciotola di legno piena.

Odore delle passatoie di fibra di cocco, distese sui tavolati e le scale del Bagno Quarnero, sempre bagnate di acqua salata, che si asciugavano sotto il sole di agosto.

Il profumo di salmastro delle alghe con la bassa marea, sugli scogli di tutta la passeggiata a mare di Volosca, Abbazia e Laurana.

Odore di scovazze bruciate, passando in bicicletta per la curva delle tonnare a Preluca, e penetrante odore di petrolio greggio passando con il tram lungo la Romsa.

L' intenso profumo di incenso durante le funzioni nella Chiesa dei Capuccini.  Tipico odore nelle aule delle scuole elementari, odore di chiuso e di inchiostro che si seccava nei calamai di vetro verde scuro, di bambini poco lavati.

Odori di Fiume, dove siamo nati e dove i nostri nonni riposano nella valletta del cimitero di Cosala, odorosa di cipressi e lauro.

Quasi mi dimenticavo un importante odore della nostra infanzia, quello delle croste di parmigiano che arrostivano nella pietra del sparghert.

Pasqua 2011.

 

 

Le  Chiese

 

Su questo argomento avevo già scritto, ma mi fa piacere parlarne di nuovo, in quanto legato alla nostra infanzia e giovinezza a Fiume.

Io frequentavo la Parrocchia dei Capuccini, la grande Chiesa in mattoni rossi con la scalinata sul vasto piazzale. Ricordo la Chiesa di San Girolamo, in piazza del Municipio, la Cattedrale di San Vito, ottagonale, ed il suo Campanile romanico, con il portale di entrata nella Città Vecchia, e il vecchio Duomo con il suo Campanile pendente.

 

Il Duomo con il Campanile pendente

 

La Chiesa più vicina, a noi di Belvedere,  era la moderna Chiesa di Cosala, con il suo Campanile appuntito, quasi si sentinella al vicino Cimitero.

La Chiesa greco - ortodossa di via Machiavelli, circondata da una cancellata di ferro come le chiese inglesi: sto pensando a St. Martin in the Field in quella che oggi si chiama Trafalgar Square.

La Sinagoga di Via Pomerio, con le sue cupole verdi di maiolica, incendiata e fatta saltare in aria dalla follia nazista.

Allo interno del nostro Ospedale vi era una bella cappella gotica che occupava due piani, gestita dai Padri Cappuccini, nella quale io fui battezzato. Alcuni anni or sono io ero a Fiume e volevo rivederla, ma non esiste più, distrutta dalla furia comunista.

Sul Colle di Tersatto, il Santuario che domina e protegge la nostra città, oggi lontana. ma sempre nei nostri cuori.

 

Santuario di Tersatto a Fiume (foto attuale)

10 maggio 2011.

 

 

Gente  nostra

 

Eccomi qua di nuovo. Nonostante i miei 82 anni compiuti e la mia invalidità, io tiro sempre avanti e mi faccio vivo.

I miei due ultimi viaggi su una nave passeggeri in qualità di Commissario di bordo li avevo effettuati per l' Australia con il "Castel Felice" della Sitmar. Il Comandante era il Capitano di lungo corso Ferruccio Ronconi, di Ossero, valente navigatore con esperienza su navi passeggeri.

 

 

Una sua nipote, la dottoressa Roberta Ronconi, specialista in ematologia, si sta attualmente prendendo cura di mia moglie nel nuovissimo Ospedale dell' Angelo di Venezia / Mestre.

Gente nostra, impegnata, responsabile.

23 Ottobre 2011.

 

 

 

Storie  di  mare

 

Quando scrivo le mie storie di quand' ero Commissario di bordo, talvolta mi prende un vago complesso di inferiorità verso i miei cari amici di Fiume, che in gran parte sono stati Comandanti di navi che non avevano molta simpatia per la categoria dei Commissari.

Nonostante che nei miei dieci anni di navigazione abbia visto molte parti del mondo, oggi, in tarda età, leggo sempre storie di mare e di viaggi. La migliore è sempre "The Origin" di Irving Stone, che descrive il viaggio intorno al mondo di Charles Darwin, che fu il primo a trovare le prove della teoria dell' evoluzione, teoria controversa, oggi proibita nelle scuole confessionali degli Stati Uniti d' America.

 

   

Irving Stone

 

Un tanto per quanto riguarda la libertà di opinioni nei Paesi cosiddetti democratici.

Grazie per i vostri commenti.

23 Ottobre 2011.

 

 

Fiume  e  Venezia

 

Da undici anni vivo da esule a Concordia Sagittaria, una ridente cittadina nella zona del Veneto Orientale che molti chiamano "Venezia Terraferma".

Concordia è attraversata dal fiume Lemene e lungo le sue sponde i grandi salici piangenti bagnano le loro chiome nelle acque limpide.

Recentemente, per la prima volta dopo l' esodo, stavo riflettendo sulla "venezianità" della nostra cara città oggi occupata dall' invasore croato.

Fiume, sulle rive del Mare Adriatico di cui la Serenissima fu signora per tanti secoli fino alla tragica fine con il patetico commiato del suo ultimo doge Daniele Manin, friulano:

 

"La peste infuria,

il pan ci manca,

sul ponte sventola

bandiera bianca"

 

   

Daniele Manin e il suo proclama: "Venezia resisterà all' austriaco a tutti i costi".

 

Fiume, col suo dialetto veneziano, le calli veneziane della Cittavecchia, la nostra cucina di pesce i cui sovrani sono gli scombri grigliati nel "Wintofer" (dal tedesco Wind-Ofen), una griglia su carbone di legna racchiusa in un vano del muro maestro della casa, con due pesanti porte di ferro, con pomoli di ottone, presente in tutte le cucine fiumane.

Inoltre, la "marinada di scombri", sorella gemella delle classiche "Sardee in saor" veneziane.

Viva Venezia, viva Fiume veneziana e italiana.

23 Ottobre 2011.

 

 

Io  ciacolo  sempre

 

In quanto a parlare con la gente, mia moglie me lo rimprovera sempre, che io "ciacolo" sempre e dappertutto, con tutti. Dal fornaio, in sala d' attesa del mio Medico di Base, nel botteghin della frutta, dal  Farmacista. E tutti parlano volentieri con me e mi raccontano le loro storie. E quelle del loro padre e dei loro nonni.

Specialmente da quando - da tre anni - vivo qua in Veneto Orientale, dove il dialetto parlato da tutti è molto simile al mio dialetto natale. E ciò mi reca piacere.

 

 

Dicono che Federico Garcia Lorca, Vate andaluso - conoscete l' Andalusia, il Paese più affascinante del mondo ?

Granada, Cordoba, Gradix, Sevilla, Ronda - dicono che Federico andasse per le strade e parlasse con il popolo. Dicono che è per questo che i fascisti lo hanno ammazzato.

Era amico e compagno di scuola di Salvator Dalì.

 

Salvator Dalì

 

11 Marzo 2003.

 

 

Ultimo  atto

 

Le moderne autostrade che tagliano le Alpi ed altri Paesi in Europa, sono ferite aperte nel corpo della Natura. Progettate e costruite dal piccolo uomo, comparso relativamente di recente sulla terra, con la sua storia vecchia di milioni di anni, quando le dolomiti erano ancora il fondale di un oceano.

Una volta, dal finestrino di un aereo ho visto, guardando giù, sul dorso di una montagna, una enorme e brutta cicatrice  che sanguinava terra bruna e rossa scavata per creare nuove piste di sci.

Violentando foreste vergini, con alberi secolari.

Ho letto che nel cuore della Mitteleuropa, in Transilvania - nella quale mio nonno

Giacomo aveva vissuto nel 1900 importandovi cereali dalla nostra Fiume, che arrivavano dal Nuovo Mondo - si stanno estinguendo per sempre l' orso, il lupo ed altri animali selvatici, immolati sull' altare del progresso tecnologico, che oggi in Sud America e altrove elimina sistematicamente immense foreste pluviali, ultima speranza per arrestare il degrado della nostra atmosfera.

Si ignora l' avanzare dei deserti, lento ma inarrestabile, che minaccia le esistenze vegetali e animali di questo pianeta, forse l' unico nel nostro universo ad ospitare la Vita.

Una storiella: nello spazio due pianeti passano l' uno vicino all' altro. Uno di essi grida(borioso): "Io ho l' Homo sapiens", l' altro risponde sarcastico: "Sì, ma non ancora per molto".

 

 

Amen.  6 Novembre 2011.

Un  viaggio  speciale

 

Ero Commissario di bordo sulla nuova motonave Victoria del Lloyd triestino in servizio sulla linea celere da Genova per India ed Estremo Oriente. Gli abitanti dell' isola di Sumatra erano, per buona parte, di etnia cinese.

Il governo della Repubblica Popolare Cinese aveva concesso borse di studio in università cinesi, compreso il costo del viaggio, ai giovani di etnìa cinese residenti a Sumatra.

Con la Victoria facemmo scalo nel porto di Balawan Deli a Sumatra dove imbarcammo 250 ragazzi cinesi, tutti cordiali e simpatici. Dovevamo portarli a Hong Kong da dove avrebbero proseguito via terra. Appena entrati nella vasta baia di Hong Kong (allora colonia della Corona britannica) la Victoria fu circondata da una flottiglia di motovedette della polizia inglese, tutti con le armi di bordo puntate su di noi. I ragazzi furono trasportati sulla tolda delle unità inglesi, circondati da filo spinato e da guardie armate.

Furono poi trasferiti, sempre sotto scorta armata, al confine con la Cina, a Kowloon, da dove raggiunsero, per ferrovia, le loro destinazioni.

Io mi chiedevo se fosse stata necessaria tutta quella esibizione di forza  soltanto per ricevere un gruppo di ragazzi che andavano a studiare.

 

Giulio nel suo ufficio, a bordo della Mn. Victoria.

 

Era il periodo della guerra fredda e l' Occidente era malato di mania di persecuzione per la minaccia comunista.

Io sono convinto che molti di quei ragazzi sono oggi tecnici o dirigenti della fiorente industria cinese, che fornisce a noi i manufatti.

13 Novembre 2011.

 

 

La  Salita  dell'  Aquila

 

La salita dell' Aquila, molti fiumani non la conoscevano. Saliva dalla via Marconi, costeggiando l' Istituto Nautico, poi attraversava la via Tiziano, dove vi era il Seminario.

Di fronte al Seminario, in un seminterrato privo di finestre, vi era la bottega del nostro carbonaio il quale, come gli altri a Fiume - oltre al carbone fossile dolce e legna da ardere - vendeva petrolio per la Primus e valdivina (varecchina) a litro per la lissia.

La salita proseguiva arrampicandosi fino alla "montagnetta" dove vi era la casa, con orto e galline, della mia balia Angela Grohovaz, madre del mio fratello di latte Nini: il Nini Grohovaz che in Canada scrisse le più belle pagine di poesia su Fiume.

Oggi Nini riposa in terra consacrata canadese.

Durante tutto un anno, Nini, io e la mularia raccoglievamo, nel punto più alto della montagnetta, legna, pezzi di vecchi mobili ed una grande quantità di ogni tipo di materiali combustibili. La notte di San Giovanni, solstizio d' estate, seguendo un rito millenario che risale ai Caldei e viene ancora praticato in Scandinavia per celebrare il ritorno del sole dopo mesi di oscurità, noi accendevamo un grande falò.

 

Ragazzi intorno al fuoco di San Giovanni

 

Come per incanto altri fuochi apparivano su tutti i monti e le isole che circondano il grande lago del Golfo del Quarnero.

Una vista notturna, avvincente, che resterà nei miei occhi per tutto il resto della mia vita.

12 Maggio 2011.

 

 

Cucina  fiumana

 

Non sia che io voglia imitare o grandi esperti come Franco Gottardi. Voglio soltanto, come sempre, raccontare alcuni dei vecchi ricordi.

A Fiume, nei negozi alimentari si trovava di tutto, meno le costolette di maiale affumicate da mettere nella pasta e fagioli, e la mia mamma le andava a comprare Oltreponte in una piccola bottega lungo le rive alberate del fiume Eneo.

A casa nostra, in dispensa, vi era sempre pronta, per eventuali emergenze di improvvisi appetiti, una terrina di marinada di scombri (che a Trieste chiamano savor).

 

Marinata di pesce azzurro (scombri e sarde)

 

Oggi, nella mia nuova patria adottiva, Venezia terraferma, in ogni trattoria si trovano le "sardee in saor", gustose, con tanta cipolla.

A Venezia città, seguendo la antica cucina veneziana classica, con influenza bizantina, ci mettono dentro anche l' uva passa.

Quando abitavamo a Trieste, ci mancava la paprica dolce, macinata .

Ogni volta che andavo per lavoro a Budapest, portavo sempre in casa un mezzo chilo di questo ingrediente, indispensabile per la buona cucina austro - ungarica.

Buon appetito.

18 Maggio 2011.

 

 

 

Il  Cantore  di  Fiume

 

Sto leggendo la mia biblioteca e mi vengono tra le mani opere interessanti di autori significativi per le nostre terre: Claudio Magris, Fulvio Tomizza, Enzo Bettiza, Mario Dassovich.

 

Mario Dassovich

 

Anni or sono, in un mio articolo, avevo chiamato Claudio Magris "Cantore della Motteleuropa". La definizione era piaciuta a Magris che mi aveva scritto una lettera di gradimento . Io la conservo ancora con cura, anche in mesta memoria di Marisa Madieri autrice di "Verde Acqua", adorata sposa di Claudio e nostra concittadina fiumana.

 

Claudio Magris  

 

Fulvio Tomizza si era autodefinito "contadino di Materada". Per me era sempre il "Cantore di tutta l' Istria".

Enzo Bettiza, Cantore della Dalmazia, nato a Spalato in una famiglia italiana, aveva studiato al Liceo Italiano di Zara. Sotto la Defunta, in un momento nel quale il destino di Spalato era molto incerto, aveva dichiarato che una Spalato sotto la Corona di Santo Stefano - come Fiume - era preferibile ad una Spalato croata.

 

   

Fulvio Tomizza ed Enzo Bettiza

 

Nelle sue memorie scrive di avere assistito all' arrivo a Spalato di una nave da guerra francese, con il pavese abbrunato, che riportava in patria le spoglie del Re di Jugoslavia ucciso in un attentato in Francia. In tale occasione la famiglia Bettiza aveva rifiutato di far chiudere le imposte delle finestre sulla facciata principale della loro casa a Spalato, per non partecipare al lutto cittadino decretato per la morte di un sovrano slavo.

Mario Dassovich - recentemente deceduto, mio caro amico, coetaneo e concittadino fiumano - era stato incarcerato dagli sgherri di Tito. Successivamente, laurea in Economia in Italia e alla Columbus University di New York. Direttore de la "Voce di Fiume" ha scritto e pubblicato 21 volumi sulla storia moderna di Fiume, Trieste e suo retroterra. Brillante esempio di Cantore.

 

 

Quando ero piccolo mi raccontavano che gli ebrei, con i quali tutti noi fiumani vivevamo a stretto contatto, aspettavano ancora l' arrivo del loro Messia. Io mi ricordo che ogni volta che passavo davanti alla Stazione Ferroviaria di Fiume guardavo se vedevo la lunga fila degli ebrei in attesa dell' arrivo del Messia.

Io mi domando se noi vecchi fiumani dovremo aspettare in eterno l' arrivo del nostro Messia Cantore: io avrei già un candidato.

La scrittrice ungherese Ilona Fried che - nel suo volume "Fiume, città della memoria" Editore Del Bianco, Udine, che io considero un poco Bibbia e Vangelo di noi vecchi fiumani - racconta con dovizia di particolari la storia della nostra città, dalle origini fino ad oggi, sottolineando la italianità, da sempre, di Fiume.

Resto in attesa delle vostre adesioni per proporre la candidatura di Ilona Fried a "Cantore della Città di Fiume".  Grazie.

2 Febbraio 2012.

 

 

 

Reati  mai  puniti

 

Avevo scritto di quella sera a Fiume, quando uomini armati fecero irruzione a casa nostra e mi portarono via con loro per una simulata irruzione sul Carso.

In tale occasione gli uomini fecero man bassa in casa e portarono via valige, borse, scarpe, capi di vestiario.

Il giorno dopo mia mamma, ingenuamente, era andata alla Direzione di Polizia in questura, per avere notizie del mio arresto e denunziare i furti.

 

Soldati di Tito in ispezione

 

In entrambi i quesiti le fu risposto che, ufficialmente, nessuno sapeva nulla. Certamente si era trattato di malviventi vestiti da militari.

Le fu assicurato che la Polizia avrebbe indagato.

Qui finisce la storia.

22 Febbraio 2012.

 

 

 

Homo  homini  lupus

 

 

Eris, dèa della Discordia

 

Amici, da un paio d' anni seguo lo scambio di opinioni, le polemiche in merito ai rapporti tra esseri umani che si disprezzano, odiano, perseguitano, ammazzano uno con l' altro per questioni di razza, colore della pelle, religione, per una tenue linea di confine che lo separa, per un pezzo di terra che ognuno di loro considera propria.

Per una qualsiasi Idea o Principio per cui l' altro essere umano è un "Altro" che ha altre tradizioni, che mangia altro cibo, che parla un' altra lingua.

Io, credetemi - e mi son fatto tanti nemici nella mia (lunga) vita terrena - non capisco, non posso capire tutto ciò.

Sto leggendo un buon libro di una americano - polacca, Eva Hoffmann "Shteti" - Viaggio nel mondo degli Ebrei polacchi. Edizione Einaudi, gli Struzzi, edito 2001.

Ad un certo punto, parlando della Polonia, questa nazione per secoli e secoli occupata e divisa tra gli imperi di Russia, Prussia ed Austria, dice che nel Cinquecento a Dublino convivevano pacificamente minoranze consistenti di tedeschi, italiani, scozzesi, armeni ed altri popoli. Credo che nella nostra Fiume, all' inizio del 1900 convivessero, più o meno pacificamente italiani, tedeschi, austriaci, croati, greci, ungheresi, ebrei ed altri popoli.

Perché questo disprezzo, questo odio fra esseri umani ?

O è la non conoscenza della lingua "dell' Altro" che crea una barriera insormontabile. Io ho parlato inglese con i negri della Jamaica per un anno, per dieci con i tirolesi a Innsbruch, ho parlato il mio scarso croato in Dalmazia e leggo volentieri Andrea Camilleri in siciliano.

Recentemente ho letto un articolo de "Il Piccolo" dove qualcuno proponeva di adottare nelle scuole di tutta Trieste (zona risaputamente "di confine") l' insegnamento della lingua slovena. Immagino il raccapriccio dei triestini ! Senza andare in Africa, dove i kutù hanno ammazzato milioni di tutù, e viceversa, nella nostra Europa civile - anche lasciando stare i Balcani, Bosnia, Kosovo, succedono cose che io continuo a non capire.

Tre giorni fa, nella Repubblica Federale Tedesca si è concluso il processo contro tre ragazzi - li chiamano "naziskin" che nel 1990, dieci anni or sono, una notte gettarono bombe incendiarie (le cosiddette "molotov") in un caseggiato abitato da extracomunitari in un paesino della Germania, provocando la morte di diversi degli stessi, bruciati vivi. Il fatto fu allora filmato, ed io ho visto il film il TV.

Gente che quella notte era presente sul posto, applaudiva e batteva le mani. Ripeto, nel 1990 in Germania.

Ebbene, tre giorni fa questi tre uomini trentenni, già pregiudicati precedentemente per violenze ecc., sono stati assolti per prescrizione del reato, dopo dieci anni. No Comment.

 

Eris, dèa della discordia

 

Ma odiate voi veramente i negri, gli sloveni, i croati, gli ebrei. gli "Altri" ? E perchè ?

Siamo una nazione con una lingua meravigliosa, l' italiano, musica, letteratura, le bellezze naturali tra le più belle del mondo, l' Arte che ci invidiano tutti.

Ed abbiamo la bandiera, non a Stelle e Strisce, ma Verde, Bianca e Rossa.

Io sono politicamente piuttosto internazionalista (non marxista) avendo vissuto un po' in tutto il mondo e no mi sento un "patriota".

Ho scritto anche più volte che sul Carso gelido, giovani tirolesi furono costretti ad ammazzare, nel 1915 - 18 giovani friulani e viceversa, e questo mi attirò le ire e le maledizioni di tanta gente, ma avere una bandiera ci accomuna un po', noi che parliamo la stessa lingua ed abbiamo le stesse tradizioni.

E perchè permettiamo che un disgraziato, senza serietà umana, sociale o politica, oggi Ministro di un Governo, dica ufficialmente che lui con la bandiera italiana ci pulisce il culo?

La sede del Lloyd Triestino a Trieste

 

Di solito il giulioscala scrive in rete "quattro monade", che fanno ridere o almeno sorridere i miei Concittadini Fiumani e i miei Fratelli di Istria e Dalmazia.

Oggi avevo voglia di chiedere il perché dell' odio tra uomini che si sentono divisi da una Lingua o da un Confine. Non parlo - attenzione - di Governi, Regimi politici, Dittatori ecc.

Parlo di esseri umani.

Marzo 2012.  Ultima composizione nella vita di Giulio Scala.

 

 

Fine  della  Terza  puntata

 

 

Quarta  puntata

 

 

 

Churchill

 

Ho appena finito di leggere uno dei volumi di "A History of the English-Speaking peoples" (La Storia delle genti che parlano inglese), Autore Winston S. Churchill. Editori Cassell and Company L.t.d. London.

Dicono di Giulio Cesare che la sua vera professione era quella dello scrittore, per aver scritto il "De bello gallico", e come hobby era statista e condottiero. Io mi permetterei di dire lo stesso del più grande statista e condottiero del nostro secolo.

Nella sua opera egli non è molto benevolo nei riguardi del Governo della Gran Bretagna degli ultimi quattro secoli, sempre e solo impegnati nelle lotte intestine dei due grandi partiti dell' isola: gli "Whigs" e i "Tories" che - pur dominando i mari con la loro flotta - si disinteressavano, almeno fino a Napoleone a Waterloo, di quanto succedeva in Europa.

L' esempio più tragico e più recente è di quando Adolph Hitler, provocando lo scoppio della seconda guerra mondiale, occupò l' Austria, la Cecoslovacchia e parte della Polonia  con il benestare più o meno tacito del Regno Unito.

Ovviamente, nell' opera di Churchill appare che nel XVII e XVIII secolo la più grande potenza politica e militare in Europa era l' Impero Austro Ungarico, con a capo delle sue armate il sempre vittorioso principe Eugenio di Savoia.

 

Francobollo austriaco dedicato a Eugenio di Savoia.

 

E la nostra città, Fiume, ha svolto un ruolo economicamente e commercialmente importante nell' Impero, essendone l' unico porto nel Mediterraneo.

2006.

 

 

 

Acqua  dolce

 

Acqua dolce. Marinaio d' acqua dolce. Da noi a Fiume era una offesa, una presa in giro per uno che quando montava in barca gli veniva subito il mal di mare con le relative conseguenze gastriche. Oppure legava la barca con il groppo "dell' asino", che bastava solo un soffio di vento o un poco di maretta e la barca andava per conto suo.

Il mare era per noi la cosa più naturale del mondo ed era una parte del nostro universo.

Tutto a Fiume aveva qualcosa da fare con l' acqua salata. L' acqua dolce era per noi, per così dire, una cosa "forestiera". L' unico fiume che conoscevo era il fiume Eneo, che aveva dimensioni ridotte.

Ma un fiume vero, lungo e largo, o un grande lago, erano per me cose che leggevo sui libri (Tom Sawier sul Mississippi).

 

 

Ancora oggi, dopo cinquant' anni, l' acqua dolce, fiumi, torrenti, laghi e cascate sono per me luoghi che mi incantano.

I laghi mi fanno un' impressione di acqua morta. Il mare è invece movimento, allegria.

Ogni stagione, ogni ora del giorno cambia, ha un altro colore, un altro odore.

Io, ancora oggi, non mangio pesci d' acqua dolce. Solo qualche volta un pezzettino di salmone affumicato color rosa, con il burro ed una fetta di pane scuro.

La gente va matta per le trote. Ma volete mettere queste trote, che non hanno gusto di niente, con un buon piatto di sgombri arrostiti sul carbone dolce, con sopra qualche pezzettino di aglio, prezzemolo tagliato fine ed un goccio di olio d' oliva, di quello buono.

 

 

Parlando di pesci e di gatti - mia figlia vive da sola, con due gatti - oggi tutti danno da mangiare ai gatti solo quelle cose in scatoletta cui fanno la reclame in televisione.

Queste povere bestie non sapranno mai, in tutta la loro vita, come sono buone le teste di sgombro che i nostri gatti mangiavano a Fiume.

 

 

Per favore, quando mangiate un poco di buon pesca non dimenticatevi del gatto. Anche lui, come diceva il Grande San Francesco, è una creatura di Dio.

2006.

 

 

Ponti  e  muri

 

Ho letto sulla "Voce del popolo" delle celebrazioni a Fiume per il Cinquantesimo anniversario dell' inaugurazione, da parte del maresciallo Tito, del nuovo ponte sui due corsi d' acqua tra Fiume e Sussak.

 

Il primo  ponte - passeggiata  fra Sussak e Fiume, costruito nel 1945 - 46..

 

Ovviamente noi esuli non possiamo associarci al culto per il maresciallo dei rimasti, ma i ponti sono una cosa positiva perchè uniscono gli uomini, mentre i muri li dividono.

Come il muro di Berlino, il muro fatto costruire da George W. Bush per impedire ai poveri messicani di andare a cercare un lavoro, e il muro costruito dagli israeliani per proteggersi dalle bombe kamikaze degli Arabi.

Noi fiumani siamo contenti che Sussak sia una parte di Fiume, città che va oggi da Cantrida fino a Kostrena. Abbiamo in comune storia e tradizioni mitteleuropee e austro-ungariche.

Sotto il regime fascista a Fiume dovemmo urgentemente cancellare ogni traccia di "esterofilia". Non si giocava più a Bridge, ma a "ponte". Tutte le facciate dei nostri garage furono ripinte con la scritta "autorimessa". Il nostro Cinema Parigi - in Viale, con la gradinata del Sasso Bianco e Via Alessandro Volta - fu ribattezzato in "Cinema Impero". Sarebbe ridicolo se non fosse tragico.

Fu il regime fascista che ci trascinò in una spaventosa guerra mondiale . La Seconda, come se la Prima, e la "Spagnola" del 1926, non avessero eliminato abbastanza vite umane.

Sussak era rimasta cosmopolita. Nei suoi caffé, sulla bellissima passeggiata alberata lungo il fiume Eneo - Recina, vi erano sempre le macchinette automatiche americane, dove introducevi una moneta e usciva un panino col prosciutto.

Vi ricordate ?

4 Novembre 2006.

 

 

I  ragazzi  di  Salò

 

Mi ero ripromesso di non parlare di politica, ma non si può parlare di storia senza parlare di politica. Ho letto l' ultima opera di Giampaolo Pansa: "I gendarmi della memoria", cioè chi imprigiona la verità sulla guerra civile. Un buon libro, Edizioni Sperling e Kupfer.

 

Giampaolo Pansa

 

Pansa, valente storiografo, vuole ridimensionare la resistenza. Descrive anche la vergognosa accoglienza fatta dai comunisti italiani alla nostra gente esule da Fiume, Istria e Dalmazia.

L' argomento "ragazzi di Salò" è ancora oggi, dopo 60 anni, discusso.

Fu l' ultimo tentativo di salvare il fascismo, oppure i "giovani eroi " ? Ne' l' uno, ne' l' altro.

Dopo l' 8 Settembre 1943 i tedeschi occuparono l' Italia. Noi a Fiume eravamo in teoria sudditi della Repubblica Sociale di Mussolini. Fummo però dichiarati "Adriatisches Kuestenland" - Litorale Adriatico - e praticamente annessi al Terzo Reich.

Vigeva per noi giovani l' obbligo di assunzione nella O.T. Organizzazione "Todt" il Servizio Tedesco del lavoro, spesso con trasferimento in Germania, dove nell' industria bellica vi era carenza di mano d' opera.

Un mio compagno di scuola, Nevio Vitelli, figlio del custode della Scuola di Avviamento Commerciale in Via Edmondo De Amicis (oggi Dolaz) andò volontario in Germania credendo ingenuamente che si trattasse di un lavoro normale. Fu mandato a lavorare in una fabbrica di munizioni, sotterranea, con prigionieri russi trattati in modo inumano. Un giorno non si presentò al lavoro e fu mandato nel Campo di Dachau. Tornato a Fiume, morì dopo tre mesi di T.B.C.

 

Adolescenti prigionieri a Dachau

 

Per sfuggire a tale destino molti di noi andarono - come si diceva - "in bosco" e si unirono ai partigiani, che nella nostra zona erano in maggior parte comunisti provenienti dalla Serbia, Croazia e Slovenia.

Io - falsificando i miei documenti, in quanto per venire arruolato bisognava avere almeno 16 anni ed io ne avevo 15 - andai nella Milizia Portuaria della R.S.I.

In noi, "ragazzi di Salò" mancava totalmente ogni idealismo o "amor di patria". Nonostante la nostra giovane età avevamo capito che l' unica cosa da fare era quella di nascondersi in un angolo dove non si sparava, per aspettare, restando vivi, la fine della guerra.

Io ci sono riuscito e sono qui oggi, con i miei quasi 80 anni, con il mio bicchiere di vino in mano, a brindare alla vita.

L' unica eccezione, quella volta, fu il principe Julio Valerio Borghese il quale, avendo rifondato la famosa "Decima Flottiglia Mas", aderì alla R.S.I. e mandò i suoi ragazzi a combattere sul fronte di Cassino contro i nostri ex nemici anglo - americani, assieme ai nostri ex alleati germanici.

 

Mas della X flottiglia, prima dell' 8 settembre.

Questa è storia.

Novembre 2007.

 

 

I  pescecani  del  Quarnero

 

Recentemente ho scritto molto su noti autori di storie di mare: Joseph Conrad, C.S. Forester, Hermann Melville l' autore di Moby Dick e Irving Stone. In tutte le storie appare, prima o dopo, il "cattivo" abitante degli oceani, lo squalo o pesce cane.

 

La foca monaca di Sardegna e delle coste pugliesi del Salento, nel tempo del tardo Impero romano,

su testimonianza di Boezio, era chiamata "pesce -cane".

 

La presenza del pescecane non era rara nel Golfo del Quarnero nel quale egli entrava seguendo le navi, che quella volta avevano l' uso di buttare in mare gli avanzi della cucina. Non per niente, tutti, indistintamente, gli stabilimenti balneari della nostra costiera, da Sussak ad Abbazia, avevano la zona riservata ai nuotatori protetta da robuste reti di acciaio ancorate al fondo.

Anche il monumentale stabilimento balneare barocco - liberty "Quarnero" sul mololungo (Diga Ammiraglio Cagni) a Fiume, aveva le sue piscine galleggianti al di fuori della diga, in mare aperto, protette da reti metalliche fino al fondo.

Durante la mia infanzia e giovinezza trascorse a Fiume, sul nostro quotidiano "La Vedetta" appariva ogni tanto la notizia che un incauto villeggiante (oggi si direbbe "turista") si era bagnato in una delle nostre spiagge "libere" ed in un incontro con un vorace squalo ci aveva rimesso un braccio o una gamba.

 

 

Non vorrei però che questa nostra atavica paura per il predone del mare portasse ad una sua caccia spietata, senza limiti, così come è già successo con il "cattivo" lupo, specie oggi protetta, che è quasi completamente stata sterminata dall' uomo.

 

Cuccioli di lupo tenuti in allevamento

 

Io vorrei che tutti, uomini, lupi e pescecani, potessero vivere su questa nostra terra in pace.

Temo che la specie più in pericolo sia quella umana, laddove oggi più che mai gli esseri umani sono impegnati in tutto il mondo ad ammazzarsi tra di loro.

 

 

Sempre sull' argomento di noi fiumani gente di mare, ho "scoperto" un nuovo grande autore di storie di mare. Io lo metterei senza esitare all' altezza dei già citati Conrad, Forester, Melville, Stone, e di Charles Darwin per il suo viaggio di esplorazione intorno al mondo con la tre alberi "Beagle", doppiando Capo Horn e visitando le misteriose isole Galapagos, fino allora inesplorate.

Sto parlando di Patrick O' Brian, evidentemente irlandese, tradotto in italiano ed edito dalla Longanesi.

 

 

 

Finora ho trovato solo due dei suoi romanzi. Uno è intitolato "Ai confini del mondo" (titolo originale; "The far side of the world"), il secondo "Fuoco sotto il mare" (The wine dark sea). Sto comunque cercando dai librai gli ultimi romanzi di O' Brian,

2008.

 

 

Un  europeo  di  cultura  italiana

 

Una Domenica delle Palme ci siamo trovati in una trattoria sui colli del Goriziano, gli ex alunni istriani, fiumani e dalmati del Collegio "Tommaseo" di Brindisi, generazione scolastica 1946 - 1948, per il tradizionale pranzo pasquale.

 

 

Castello di Gorizia

 

Tra una ciacolada e l' altra, e tra un buon calice di tocai bianco e uno di cabernet nero abbiamo discusso dei soliti argomenti delle nostre terre.

La nostre isole Cherso e Lussino hanno mantenuto sempre immutata la loro venezianità.

I fiumani, dopo l' impronta del romani (antichi), dei veneziani, quella Mitteleuropea austro - ungarica, erano diventati cosmopoliti. Un "unicum" delle genti che si affacciano sull' Adriatico.

Da noi a Fiume non esistevano conflitti di lingua o religione. I fiumani di credo mosaico andavano nelle loro sinagoghe, i greci ortodossi nel loro tempio in via Machiavelli. Io mi sento ancora addosso questa "fiumanità" che mi distingue come cosmopolita con una mentalità "aperta".

Quando, per ben 37 anni, avevo vissuto in Germania, parlavo tedesco colloquiale col mio accento fiumano - triestino, e molti mi ritenevano austriaco.

Alla domanda: "Ma lei, da dove viene ?" Io rispondevo invariabilmente: "Io sono un europeo di lingua e cultura italiana, che però non ha mai guardato a Roma come alla sua unica capitale".

 

 

Un  fiumano  nel  dopoguerra

 

A Fiume, nel dopoguerra, non era cosa insolita che una pattuglia della milizia jugoslava chiedesse a un passante "sospetto" i documenti. Dalla mia carta d' identità risultavo essere un italiano di professione studente. Entrambe le qualifiche non erano molto apprezzate dalle autorità di polizia a Fiume a quei tempi.

Allora io mi recai alla sede dei "Sindacati Unici", che si trovava dietro il passaggio a livello della ferrovia (oggi sottopassaggio) nell' ex Viale Camice Nere.

Mi fu rilasciato un tesserino colore verdino con foto, che dichiarava che il "drug" (compagno) Julijo Scala era disoccupato. Il tutto decorato da un timbro con una grande stella rossa.

Da allora, ogni volta che mi si richiedeva di identificarmi esibivo, non senza un malcelato piacere, il mio documento di "compagno" disoccupato. Non solo, ma tale qualifica mi dava diritto a ricevere tutti i famosi pacchi UNRRA con le "buone" cose americane: dalla carta igienica alle pastiglie per rendere potabile l' acqua palustre.

Arrivato in Italia mi dissero che ero uno "stateless" (apolide).

Su mia richiesta (opzione) mi fu in seguito ridata la cittadinanza italiana.

Molti miei compagni di scuole hanno oggi quella australiana o canadese.

 

   

Simbologie del serpente e della rosa.  Pessimismo e ottimismo nella interpretazione della storia.

 

Poveri noi, fragili esseri umani, travolti nel vortice della Storia.

 

 

 

Senza  odio  o  vendetta

 

La cara Olga Milotti, quando scrive della sua Pola e dell' Esodo, si autodefinisce una "rimasta". Io mi definisco un esule privo di sentimenti di odio e vendetta.

Lasciamo che rimorsi e incubi turbino le notti insonni dei colpevoli di delitti contro l' umanità compiuti durante le guerre e nei dopoguerra. Inclusi coloro che mandarono i nostri ragazzi della Julia a morire ammazzati, come dice un mesto coro degli Alpini, sui monti della Grecia o nelle steppe della Russia.

 

Olga Milotti

 

Nella mia cara Fiume io ho lasciato soltanto le ossa di mio nonno, che riposa lassù sul colle di Cosala, vegliato solo dal mitico "Lucovich", tra i boschetti di alloro, che sotto il sole cocente di agosto sprigionano il loro penetrante profumo aromatico.

Mi raccomando, mettete sempre alcune foglie di lauro nella vostra pasta e fasoi e nei capuzzi garbi, e in questi ultimi anche bacche di ginepro.

A Fiume ho lasciato anche i ricordi della mia gioventù. Ogni tanto apro l' album della memoria e rivivo gli anni verdi.

Oggi Sussak è diventata una parte di Fiume . Io passavo il fiume Eneo - Recina per andare in bicicletta fino al bagno Jadran a Pecine dove ammiravo le sinuose najadi croate dalle chiome color del grano maturo e gli occhi blu del nostro Quarnero che le accoglieva nelle sue braccia tenere.

2008.

 

 

 

Il  prototipo  del  fiumano

 

Io sono nato a Fiume al numero uno di via Ciotta ed ho trascorso a Fiume la mia infanzia e giovinezza. La memoria più impegnativa della mia città è l' indelebile impronta ungherese di Fiume.

Ancora negli anni Trenta, quando Fiume faceva già parte del Regno d' Italia, tale impronta era ancora fortissima: caffé, pasticcerie, negozi i cui proprietari erano in gran parte di fede mosaica. In Corso, Herskovitz (mobili), Moravecz (delikatessen), in Piazza Regina Elena, Salomon Weisz (cristallerie).

Quando poi da adulto andavo per lavoro a Budapest mi sentivo "di casa".

Ho già scritto che in una via del centro città di Budapest esiste una targa di marmo con su scritto a lettere d' oro (in ungherese) che Istvan (Stefano) Tuerr, ungherese di Fiume, andò volontario a combattere con Giuseppe Garibaldi. A Fiume lo ricordava una via tra il Teatro e le rive.

 

 

Il mio papà e la mia mamma erano entrambi nati a Fiume.

Il mio nonno paterno, Jakob Denes, era ungherese, emigrato a Fiume, allora Ungheria, in cerca di lavoro. Lui noleggiava navi che portavano frumento dall' Argentina a Fiume per la distribuzione in tutto il bacino danubiano.

La mamma della mia mamma, Maria Kandelinic', era dalmata croata di Crikvenica. Aveva sposato Antonio Vernier di Pola. Il padre di Antonio, Antonio Senior, mio bisnonno, aveva, nel 1910, in via dell' Arena di Pola, una "Locanda con stallaggio".

La sua prima moglie, madre di mio nonno Antonio, era di Lussinpiccolo.

Rimasto vedovo, da buon albergatore, aveva sposato la cuoca slovena. Con molta modestia e umiltà, doti queste che io non ho mai posseduto, posso ben dire di essere un prototipo di fiumano: istriano quarrnerino-illirico-mitteleuropeo.

Mi ricordo volentieri le belle sere di estate a Fiume con il passeggio in corso a braccetto con la mula, quando ogni occasione era buona per fare un saltino in mololungo, nei bui depositi delle boe, per carpire alla fanciulla il nostro primo bacio sulla bocca.

Ti saluto Fiume, mia città natale, che amo e amerò sempre finchè il Signore Iddio mi darà vita.

Agosto 2008.

 

 

 

Un  itinerario  fiumano  internazionale

 

Io abitavo in Via Giotto, angolo via Buonarroti. Il nostro "campo giochi" con le biciclette, era il piazzale del Cimitero. Sulla sinistra dell' ingresso del Camposanto di Cosala vi era una Cappella, poi distrutta da una bomba di aereo, adiacente alla quale vi era un locale per i morti che aspettavano la sepoltura. In fila, ordinato l' uno vicino all' altro, in silenzio.

Noi ragazzi curiosi andavamo a guardarli. Non avevamo paura perchè per noi non erano morti del tutto. Per noi erano morti veri solo dopo che li avevano messi sottoterra, dove non sapevano niente di quello che succedeva a Fiume.

Sulla città scivolavano, come acqua chiara e limpida sul marmo di una fontana, le lingue: ungherese, tedesco, italiano, croato.

Fuori di Fiume già il dialetto triestino era per noi foresto. Noi dicevamo: Ti ga magnado, ti ga fame. I triestini: Te ga fame, te ga magnà.

 

Attori del Teatro dialettale triestino -"Se no i xe mati no li volemo".

 

Da piccoli non sapevamo che cosa fosse il mirtillo nero, ma mangiavamo con gusto le borovize, come pure lo strudel, le palacinche e le sarme e il kuglof (kigelhupf).

Ma la base, la radice restava sempre la favella veneta anche se, per così dire, un poco arricchita.

Goldoni scriveva: "Mia mare era bona". Noi dicevamo: "La mia mare, essa la era bona (un francesismo).

Fiume era una città cosmopolita, europea ante litteram.

Luglio 2009.

 

 

Le  navi  e  la  storia

 

Il segnale d' inizio della seconda guerra mondiale fu dato dai cannoni della corazzata germanica "Schleswig-Holstein" che sparavano sulla città tedesca di Danzica, cui seguì lo sbarco della fanteria di marina tedesca, che iniziò l' invasione della Polonia.

Il segnale di partenza della Grande Rivoluzione Russa lo diedero i cannoni dell' incrociatore "Aurora", il cui equipaggio si era ammutinato,  i quali spararono sull' Accademia di Marina e sul Palazzo d' inverno di Pietrogrado, poi Leningrado, oggi Sankt Petersburg.

 

Colpi dell' incrociatore "Aurora" sul Palazzo d' Inverno di Pietrogrado. (Film di Eisenstein).



Io trovo curioso che la Russia attuale, diretta erede dell' Unione Sovietica, abbia come stemma ufficiale quello della famiglia Romanoff (l' Aquila con due teste) che fu fucilata durante la rivoluzione.

L' America avrebbe già potuto entrare nella prima guerra mondiale quando il piroscafo "Lusitania" che batteva bandiera statunitense, affondò con tutti i suoi duemila passeggeri al largo di Capo Kinsale (costa meridionale dell' Irlanda) colpito da un siluro di un U-Boote germanico.

 

Il "Lusitania" tallonato dal Sottomarino germanico che lo affonderà. (Interpretazione giornalistica).

 

Il siluro, non occorre dirlo, era del più moderno tipo di allora: un  "Whitehead" progettato e prodotto nello stabilimento della nostra Fiume.

Questa è storia.

Molte famiglie della nostra città  vivevano (e vivevano bene) dello stipendio guadagnato dal capofamiglia, costruendo quegli strumenti di morte.

Questa è la vita.

Settembre 2009.

 

 

Industrie  d' armi  e  Città

 

Ho scritto recentemente dello stabilimento nella nostra Fiume che forniva siluri navali ad alta tecnologia a tutte le marine del mondo.

Il nome di una cittadina svizzera, Oerlikon, è diventato sinonimo di un' arma automatica pesante di precisione.

Nella seconda guerra mondiale tutte le unità della Royal Navy Britannica erano armate con mitragliere Oerlikon la cui manutenzione era generalmente affidate alle ragazze del WAAC (Women Army Auxiliary Corp)

 

Mitragliera contraerea Oerlikon, applicabile a bordo.

 

La più grande acciaieria tedesca, la Krupp di Essen, ha fornito cannoni all' imperialismo prussiano, per tutte le guerre.

Un tecnico russo ha legato il suo nome alla "A 47", un' arma leggera che oggi ognuno può comprare con pochi dollari in Medio Oriente e altrove: il "Kalaschnikoff",

Da dieci anni vivo a Concordia Sagittaria, una cittadina nel Veneto Orientale bagnata dal fiume Lemene, sulle cui sponde vi sono file di salici piangenti ad alto fusto le cui folte chiome si bagnano sulle acque chiare e limpide del fiume.

Perché Sagittaria ?

La Via Annia andava, durante l' impero romano, da Roma fino a Tarsatica, poi Fiume, mia città natale, al confine orientale dell' impero. I romani antichi, andando a piedi da Roma a Fiume, a metà strada erano stanchi, e trovarono un bel posto per riposarsi. Vi fondarono una modesta "civitas", i cui numerosi resti si vedono ancora oggi. La chiamarono "Julia Concordia".

I romani facevano spesso le guerre ed avevano bisogno di armamenti. Decisero allora di costruire a Julia Concordia una fabbrica di armi per le loro truppe d' élite: gli arcieri.

Cambiarono allora il nome della città da Julia Concordia a Concordia Sagittaria, dal latino "Sagitta" che vuol dire "freccia". Questa è la storia.

 

Battaglia di Adrianopoli contro i Visigoti, in Tracia.: schieramento dell' esercito romano d' Oriente dell' Imperatore Valente.

Sconfitta, l' imperatore morì.  Nella figura: Cavalieri corazzati romani. - I Visigoti erano in quel momento profughi, arrabbiati contro gli speculatori romani che, all' insaputa dell' imperatore, avevano venduto le provvigioni a loro destinate.

 

Ancora oggi, sui cartelli stradali all' inizio dell' abitato il nome Julia Concordia, città romana, è posto accanto a quello ufficiale di Concordia Sagittaria.

Dicembre 2009.

 

 

Giulio  si  confessa

 

Mio caro Walter da Zara, a me fa sempre molto piacere quando qualcuno reagisce ad una cosa che io scrivo - in modo positivo o negativo non ha importanza - dicendomi il suo parere. Lo confesso, qualche volta, cerco perfino di stilare un mio scritto in modo un po' come dire "provocativo", per provocare appunto polemiche.

Obbedendo al tuo invito non citerò ne' Claudio Magris, ne' Enzo Bettiza e nemmeno il mio conoscente, ahimé scomparso, che per me era ed è sempre stato il Maestro e cantore delle "Res Istriae", cioè Fulvio Tomizza.

Parlo in prima persona e - una volta di più - debbo essere autobiografico.

Come astutamente hai insinuato, la risposta era già pronta. Noi tutti della mia generazione siamo stati Figli della Lupa, e poi Balilla, Avanguardisti, ed io non sono andato più il là.

 

Balilla e giovani italiane

 

La tessera del partito - prima O.N.B. (Opera Nazionale Balilla), poi G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) - ce la davano automaticamente con l' iscrizione alla Prima Classe Elementare. Questo automatismo esisteva perché noi eravamo una generazione "vergine"  come Maria di Nazareth, mentre per gli adulti era più difficile entrare nel Partito.

Un nostro carissimo amico di famiglia, il pittore Amato Fumi, nonostante i suoi innumerevoli tentativi, non riuscì mai ad avere la tessera, in quanto lui era stato registrato nel 1918 quale "Disertore", dato che aveva tagliato la corda a Caporetto.

Noi invece eravamo senza Peccato Originale, di qualsivoglia tipo.

Più tardi la tessera veniva data ai bambini, addirittura al Battesimo, con la complicità e la collaborazione diretta della Chiesa Cattolica, la quale - per bocca di un Cardinale - definì Benito Mussolini "L' Uomo della Provvidenza".

 

 

Ci avevano inculcato in modo totale la "Mistica Fascista".

Nella mia cameretta avevo, negli anni trenta, attaccato al muro una carta geografica dell' Etiopia nella quale segnavo, con bandierine spillo colorate, l' avanzata delle nostre truppe su Gondar, Harar ed Addis Abeba, non sapendo, quella volta, che i poveri abissini, armati di frecce e zagaglie, venivano con velivoli della gloriosa Regia Aeronautica, ammazzati come pantegane coi gas velenosi.

 

Galeazzo Ciano vicino a un suo aereo nella squadriglia "La Disperata"

 

Ho subìto in vita mia molti momenti di pathos e katharsi. Alcune volte, ad esempio, a Salisburgo per sentire e vedere Herbert von Karajan che dirigeva la Sesta, detta "Pastorale", di Ludwig van Beethoven.

Un' altra volta - e questo è stato il momento di pathos più meraviglioso della mia vita quando - avendo io già 42 anni - mi hanno messo fra le braccia a Francoforte il mio primo figlio Marco, appena nato, con una testa già piena di capelli neri ricciuti, mentre i bambini tedeschi quella volta, tutti biondi, nascevano senza capelli. Ricordo che mi misi a piangere come una fontana.

Ma uno dei momenti di katharsi che ricorderò fin che vivo fu quello, quando nelle sere tiepide di Primavera o d' Estate si andava a Fiume in Piazza Dante a sentire il discorso del Duce.

Io ero ancora piccolino, ma vivo ancora quel rimescolamento che provavo nel mio interno, nelle mie budella al sentire quella Voce, calda, sensuale, un poco rauca - con le pause ben studiate - che ci diceva: "Italiani ... l' Impero è risorto sui Colli fatali di Roma".

 

La spada dell' Islam

 

Io provavo emozione, estasi, ero affascinato come un cobra dal piffero dell' incantatore di serpenti che vidi poi a Bombay.

 

 

 

Esodo  da  Fiume

 

Nel 1948 eravamo ospiti del Collegio Niccolò Tommaseo a Brindisi quando c' erano le elezioni per il Governo, le prime. Ci dicevano che sussisteva il pericolo che vincessero i comunisti, che se fossero andati al potere avrebbero ammazzato tutti noi ex balilla.

Ovviamente noi del Collegio, Fiumani, Istriani e Dalmati, godevamo la fama di "fascisti" - perché altrimenti avremmo lasciato il "Paradiso" della Repubblica Popolare Socialista di Jugoslavia ? - ed allora di notte facevamo la ronda sul perimetro del Collegio, armati di mazze da Baseball (regalo degli Americani) onde scongiurare eventuali attacchi da parte dei Comunisti. Nel 1948 io avevo vent' anni.

 

 

Dopo l' esame di maturità raggiunsi mia madre, che nel frattempo aveva lasciato la sua Condotta di Montagna e si era stabilita a Rovereto, piacevole cittadina fra Trento e Verona, già lontana dai rigidi e duri montanari del Trentino e vicina al piacevole parlare e carattere veronese.

 

Panorama di Rovereto

 

A Rovereto vissi i quattro anni di studente universitario . Avevamo addirittura un nostro Club, ospitato in Piazza Rosmini, nelle sale di un vecchio palazzo signorile e studiavamo Medicina, Legge, Economia, Ingegneria, ecc. a Bologna, Padova, Venezia (Accademia delle Belle Arti), io a Napoli Economia Marittima.

 

Istituto Universitario "L' Educatore" di Rovereto

 

Per l' obbligo di frequenza il Bidello - dietro modeste prebende - faceva apporre ai Professori le "firme di presenza" sul Libretto degli Esami che andavo a fare a Napoli due o tre volte l' anno.

Questo ambiente studentesco universitario di Rovereto era una cosa non immaginabile. Tutto o quasi tutto quello che io so di Musica, Letteratura, Arte, lo devo a quegli anni di Rovereto. Eravamo giovani assetati di sapere, di ragazze e di vino.

Ci occupavamo, ad esempio, di Cinema.

Io ero il Segretario del "Cineclub" in aperta concorrenza col "Cineforum" dei preti, altrettanto vivido per qualità e livello artistico.

Facevamo venire i film da Parigi, tramite le Cineteche italiane.

Io ho visto tutti i film di Lumière, Miele, Sergiei Eisenstentein, Murnau, Pabst. Dopo il film discutevamo fino a notte inoltrata o fino al mattino sul "messaggio" della storia filmata o sul contenuto filosofico o sociale.

Ci riunivamo al Club per declamare ad alta voce le poesie di Federico Garcia Lorca, Machado, Evtushenko ed i giovani poeti russi.

Serate e nottate passate ad ascoltare su dischi musiche di Vivaldi, Scarlatti, Dallapiccola, concerti per Orchestra o assolo di tromba barocca di Buxtehude. Compositori come Beethoven, Brahms, Mahler, o Schubert erano diventati per noi troppo borghesi e decadenti.

Sempre con una bottiglia di Marzemino o Cabernet accanto ed il bicchiere in mano. Disprezzando la Borghesia, il Capitalismo retrogrado e fatiscente.

Eravamo - ripeto - giovani  innamorati della vita e delle fanciulle che non mancavano e con le quali eravamo sempre estremamente solerti ed assidui, ed eravamo, sì di Sinistra, i cosiddetti, come si usava dire in quegli anni ruggenti: "intellettuali di Sinistra".

 

 

E qui rispondo, caro Walter, al tuo quesito.

Gli anni di Rovereto sono stati quelli che hanno coniato (come le monete) la mia vita. Ho proseguito poi da autodidatta. La mia cultura, o pseudo cultura musicale, letteraria, storica e artistica.

Quest' anno compirò i 75 anni ed in giugno cesserò la mia attività lavorativa (Consulente, ecc.). Per l' autunno prossimo ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Filosofia presso la Sezione staccata di Portogruaro dell' Università di Padova.

Ecco dunque, Walter, la storia di come diventai intellettuale di Sinistra. Oggi non sono più niente.

Sono rientrato in Italia da tre anni e non sono ancora riuscito a raccapezzarmi e a orientarmi nel Panorama Politico Italiano.

Per me oggi, Sinistra o Destra non hanno più significato alcuno. L' unica cosa che mi dà veramente fastidio è quella che tutti i partiti politici stanno facendo, e cioè la Speculazione sui Cadaveri, laddove affermano che i morti ammazzati dei ragazzi di Salò (c' ero anch'io) non bisogna seppellirli vicino ai morti ammazzati dei partigiani.

Voi tutti conoscete le mie convinzioni ed i miei vari scritti. La cosa più spregevole che possa esistere è la speculazione sui Morti Ammazzati, di qualsiasi colore, razza o lingua che siano.

Spero che la mia risposta ti soddisfi, caro Walter, se no, dimmelo.

 

 

Esilio

 

Nella mia famiglia siamo tutti esuli: io dalla nostra cara Fiume. Mia moglie dalla sua terra natìa in Boemia. Indubbiamente il più famoso esule nella storia della nostra penisola fu Dante Alighieri.

Durante la mia giovinezza ho vissuto, studiato e lavorato in due paesi che ancora oggi amo profondamente: Napoli e l' Irlanda.

E' interessante come in entrambi questi paesi, nella tradizione popolare il significato del termine "emigrante" si sia identificato con quello di "esule".

Io conosco bene molte canzoni popolari sia napoletane che irlandesi le quali tutte esprimono tale concetto. In particolare gli irlandesi che vivono in America, una volta terra promessa, si autodefiniscono esuli ed hanno composto innumerevoli canzoni dalle quali trabocca la infinita nostalgia per la loro verde isola.

Una di esse dice: "Vorrei ancora una volta vedere il sole tramontare nella baia di Galway".

 

Il sole al tramonto illumina Erin, in Irlanda.

 

Io invece vorrei ancora una volta rivedere la luna rispecchiarsi nelle acque calme o leggermente increspate del Golfo del Quarnero.

Il Poeta scriveva: "Quant' è duro calle lo scendere e salir per l' altrui scale".

 

Fine  della  Quarta  puntata

 

 

Quinta  puntata

 

 

Il  Collegio  "N.  Tommaseo"  di  Brindisi

 

Collegio "N. Tommaseo" di Brindisi, nel quartiere Casale. . Sguardo d' insieme.

 

Per me cominciò tutto una sera dell' autunno 1947.

Provenivo da una Bolzano ancora piena di macerie, dov' ero stato per alcuni mesi istitutore nel Convito Nazionale "Damiano Chiesa" di Bolzano - Gries.

Ero arrivato nella Stazione Ferroviaria di Brindisi con il tristemente famoso "direttissimo" Milano - Lecce, ammucchiato con gli altri compagni di viaggio in uno scompartimento di terza classe con i sedili di legno stagionato ed i vetri dei finestrini in parte assenti. Non so quanto tempo, quante ore ci mettemmo da Bologna - dove io mi imbarcai sul "Milano Lecce" scendendo dal "Brennero - Roma" - a Brindisi, in quanto sul tratto costiero adriatico - di cui ricordo i nomi di alcune stazioni, come Ortona a Mare, Termoli, Margherita di Savoia, dove quella volta i binari correvano sulla spiaggia.

Spesso e volentieri il treno restava fermo per lunghe ore notturne attendendo la fine di una operazione di disinnesco o di brillamento di una mina, portata a riva dalle correnti.

Nel vagone di terza classe c' era un po' di tutto: soldati che tornavano a casa, contadini che rientravano al paese, e nei tratti intermedi parecchi "borsari neri" con i loro pacchi di farina e di zucchero, che cercavano di nascondere il meglio possibile sotto il sedile.

Io viaggiavo con un biglietto gratuito di terza classe per il rilascio del quale la Questura  di Bolzano mi aveva rilasciato un "foglio di via obbligatorio", il qual foglio veniva anche regolarmente rilasciato - come è noto - alle ragazze traviate che venivano così rimandate al loro paesello di nascita dalla polizia che le aveva "pescate" sui marciapiedi della grande città.

 

 

Negli anni successivi, quando navigavo quale Commissario di Bordo sulle grandi navi da passeggeri, feci innumerevoli viaggi in treno attraverso l' Europa, e quella volta non si viaggiava ancora in aereo.

Percorsi in vagone letto di prima classe Calais - Innsbruck o Amburgo - Genova, ma non dimenticherò fin che vivo la pressante cordialità e l' insistente contatto umano dei viaggiatori di terza classe del "Milano - Lecce" che tiravano fuori dalle loro sporte durante il viaggio bottiglioni di vino "genuino", e le loro enormi pagnotte di pane "cafone" fatto in casa, una mezza forma di pecorino e qualche uovo sodo.

E guai a non aderire al loro diretto ed esplicito invito: "Favorite ?" in quanto quella brava gente si offendeva seriamente se uno di noi si rifiutava di prender parte al loro semplice, ma gustoso, pasto ferroviario. Che era poi gratis per noi che eravamo in eterna bolletta.

Debbo qui esprimere un ringraziamento, anche se con notevole ritardo, a quella bionda fanciulla romagnola che distribuiva con tanta cordialità al "Posto di Ristoro per Profughi", alla Stazione Centrale di Bologna, quei meravigliosi panini, belli e grandi, con dentro la mortadella bolognese.

 

Posto di Ristoro per Profughi Giuliani alla Stazione di Bologna.

 

I pernottamenti sui sedili di legno rompi - ossa, le correnti d' aria per mancanza di finestrini, gli odori, il tanfo di pecorino di quei coupé erano tutte cose che in quel momento non ci davano fastidio e che facevano parte naturale dell' ambiente .

Il treno arrivò a Brindisi che già faceva scuro. Con me c' erano due o tre giovani che avevano anche loro come meta il "Tommaseo".

A quell' ora non c' era la possibilità di traghettare il Canale, di cui non sapevamo nemmeno l' esistenza, perché per noi era come arrivare sulla luna. C' erano parcheggiate, davanti alla Stazione, due carrozzelle pubbliche col cavallo, ed il "cucer" che dormicchiava a cassetta. Ma chi aveva i soldi per permettersi di noleggiare una carrozza ?

Ci indicarono la direzione: "verso Casale" e ci avviammo a piedi trascinando le nostre grandi e pesanti valigie di fibra, che contenevano tutti i nostri averi terreni. Per far quei chilometri (quanti ?) dalla Stazione Ferroviaria al "Collegio".

Ebbero così inizio per me i  due anni che trascorsi al "Tommaseo". Due anni di fame nera, di privazioni, due anni allegri in compagnia di trecento giovani di Fiume (la maggior parte), Zara, Cherso e Lussino.

 

 

 

La  fame

 

In tutte le collettività nelle quali gli esseri umani soggiornano in convivenza, quali Pensioni, Collegi, Penitenziari e Reclusori, Case di Cura, Cliniche, Colonie marine e montane, un punto quanto mai importante è il trattamento alimentare, cioè il vitto.

Parlando degli anni vissuti al Tommaseo di Brindisi, mi permetterò qui di riportare, per rinfrescare la nostra memoria, un - come si dice oggi - "menù tipo" della nostra alimentazione quotidiana nell',anno di grazia millenovecentoquarantotto.

Prima colazione (al mattino): un mini panino tipo speciale e una tazza di caffelatte grigioverde. Io lo chiamo "grigioverde" in quanto il risultato della mescolanza del surrogato di caffé con il latte in polvere, o il latte, evaporato che fosse, era un liquido di colore grigio assolutamente non definibile. Siccome il grigio-verde mi è stato sempre simpatico (Alpini, il Piave e le braghe di Balilla) io lo chiamo grigioverde.

Colazione: (che da noi a Fiume si chiamava pranzo) un piatto non grande, o eccezionalmente due piatti, serviti dalla grossa "chibla" di metallo (così la chiamavamo) a centro tavola di "minestra" di ceci e acqua. I ceci erano invariabilmente "al dente" (tipo balini) ed io penso ciò dietro precise istruzioni dei responsabili della Direzione del "Tommaseo", onde far così irrobustire i muscoli gengivali e masticatori di noi giovani in età di sviluppo. Assenti dalla minestra ogni grasso di qualsivoglia origine, animale o vegetale, come pure pasta o riso o altre sostanze estranee.

Cena: un mini-formaggino, anche qui un alimento di produzione speciale, di forma triangolare, con una fetta di barbabietola cotta e lessata. Anche qui assenza totale di elementi estranei, quali olio e altre spezie o condimenti che avrebbero potuto alterare il sapore originale della fetta di barbabietola.

 

 

Una volta l' anno veniva al "Tommaseo" in visita pastorale il Vescovo. Devo confessare che non so bene se fosse il Capo della Curia Vescovile di Brindisi, o di quella di Lecce, o se fosse magari Arcivescovo. Per noi era "il Vescovo".

In tale occasione (che era sempre di domenica) veniva celebrata nella Cappella del Collegio una Messa Solenne per la cura delle nostre anime. Per la cura del corpo ci veniva servito "ad usum episcopi" un pranzo, generalmente a base di lasagne pasticciate col pomodoro, olio e formaggio. Brasato di Manzo con patate, e dolce in abbondanza.

 

Monumento a Niccolò Tommaseo, a Venezia.

 

Ho ancora nelle orecchie, dopo quarant' anni, la lunga e altisonante ovazione con la quale il Presule veniva accolto da tutti noi in occasione della sua visita.

Se diamo una occhiata al "menù tipo" ed a "quello vescovile" si può ben dire che ce n' era ben donde !

Un radicale miglioramento della nostra dieta quotidiana fu possibile allorché dalle nostre famiglie - le quali nel frattempo, dopo l' esodo, cominciavano a sistemarsi ed a trovate lavoro - cominciarono a pervenirci modeste somme di denaro.

Poiché l' essere umano, ed in particolare l' essere umano giovane, è un individuo quanto mai irrazionale - checché ne dicano Sigmund Freud, Lombroso e altri psico - analisti - i primi soldi arrivati da casa furono tutti spesi in bettole vicino a Porta Lecce, col pavimento in terra battuta e le botti accatastate lungo le pareti, dove l' oste mesceva un Aleatico rosso dolce, che veramente più che rosso era nero scuro, nonchè un Malvasia bianco, biondo dorato, che era una meraviglia. Entrambi i vini, sui 18 gradi.

Con la nostra denutrizione cronica, mi ricordo che per salire lo scalone interno del Collegio facevo quattro scalini, poi mi fermavo per riprendere le forze - il risultato del consumo di tali piacevoli bevande a stomaco vuoto fu alquanto disastroso e catastrofico. Mi risvegliai nella infermeria del "Tommaseo" dopo due giorni di coma alcoolico.

Dopo tale esperienza il contante fu da noi saggiamente investito in mezzi di sussistenza e sopravvivenza perchè acquistavamo dai contadini, sui banchetti ambulanti in città: bottigliette di olio di oliva vergine che parsimoniosamente versavamo a gocce nella "Minestra di ceci", fichi secchi arrostiti al forno ripieni di semi di finocchio, e mandarini e patate americane.

Io sono convinto di dover la mia sopravvivenza a Brindisi, nel primo anno di soggiorno (1948) all' olio d' oliva ed ai fichi secchi, ricchi questi ultimi di vitamine, proteine e carboidrati.

 

tipici fichi secchi del Salento, con mandorle e scaglie di formaggio.

 

 

 

I  Brindisini

 

Noi eravamo circa 300 giovani bianchi di sesso maschile - usando la formula legale in uso negli Stati Uniti d' America - letteralmente "piovuti" nella tranquilla e sonnolenta città pugliese dal lontano ed allora quasi mitico "Nord".

Da parte nostra si cercò sempre di instaurare i migliori rapporti possibili con la popolazione locale. Una parte di noi frequentava le scuole in città, a Brindisi.

 

Brindisi:  il Porto, molto protetto.

 

Con gli amici Mandich, Schmidt, Turina, Smundin e Jezzi frequentavo la stessa classe dell' Istituto Tecnico Commerciale "Guglielmo Marconi", una classe mista.

I primi attriti, se vogliamo così chiamarli, con i compagni di classe, sorsero allorchè gli insegnanti, tutti gli insegnanti, abbandonarono dopo un po' di tempo il vecchio "passo" lento di insegnamento e si adeguarono al più rapido, veloce e conciso sistema di apprendimento di noi sei, capitati in mezzo ad una "Quarta" e poi "Quinta" Ragioneria Brindisina.

Questo fatto succedeva anche nelle altre classi con minoranze "giuliane". Ovviamente da parte nostra ciò non fu fatto con intenzione. Il sistema ed i tempi di collaborazione tra insegnanti e studenti a Fiume, Zara e Lussino erano allora molto più intensi, ed appunto più veloci di quelli praticati nella ridente cittadina del sereno Sud della penisola.

Tale fatto costituì ovviamente già un motivo di risentimento da parte dei brindisini verso i nuovi compagni di classe venuti a "rompere le scatole".

Una cosa del tutto nuova per noi furono i rapporti in atto con le compagne di classe di sesso femminile.

Noi al Tecnico, ed in tutte le scuole di Fiume, eravamo già allora abituati ad un cameratismo ed a una cordialità "unisex" - come si direbbe oggi - con le compagne di classe, senza problemi o complessi di sorta. A brindisi, nel millenovecentoquarantotto, con nostra massima sorpresa ed incredulità, la situazione era tutt' altra.

Io rimasi di stucco allorchè un compagno di classe brindisino - erano per me i primi giorni di scuola a Brindisi - si rivolse a una sua compagna di classe dicendo: "signorina, per cortesia, potrebbe prestarmi il suo quaderno". Io non credevo alle mie orecchie.

In terza tecnica, a Fiume, alla Ossoinack che veniva in classe con me, al massimo dicevo, molto cordialmente: "Jone, mòvite, dame el tuo compito"; e questa era per noi la cosa più logica e semplice del mondo.

Altro "fenomeno" brindisino. Qualche volta, la domenica mattina, noi "grandi" ricevevamo dal Collegio "libera uscita" e andavamo a passeggiare lungo la via principale della città, dove aveva luogo il "paseo", un po' come da noi in corso a Fiume.

Se incontravamo una compagna di classe (eravamo tutti, ragazze e ragazzi sui 18 - 19 anni) la quale, col vestitino alla festa, camminava compita con gli occhi bassi tra papà e mamma, il salutarla sarebbe stato segno di intimità e una grave mancanza di rispetto, e quindi bisognava "guardar via" e far finta di non averla vista.

 

Brindisi:  Corso Garibaldi, Isola pedonale.

 

Lo so che chi non c'è stato non mi crederà, ma è tutto vero.

Altro fattore: la nostra mancanza di popolarità con la popolazione giovanile maschile brindisina trovava dall' altro lato una buona popolarità con la popolazione giovanile femminile.

Alle ragazze questi giovani alti e biondi (io veramente ero alto e moro, adesso sono grigio) con questi modi affascinanti e spregiudicati, non dispiacevano affatto.

Nel tardo pomeriggio, verso sera, gruppi di ragazze (potevano uscire solo in gruppo) si spingevano a Casale, nei pressi del Collegio per fugaci ed innocenti contatti verbali alla rete di cinta, con questi "nordici" così fascinosi e piacevoli. E' ben chiaro che tali fatti non potevano portare ad una pacificazione dei rapporti di convivenza tra noi e i ragazzi del luogo. Ad alcuni di noi, usciti dal Collegio da soli, per andare in città, fu tesa qualche "imboscata" con una buona dose di legnate da parte di un gruppo di nerboruti giovani locali.

 

Brindisi:  Quartiere Casale, col monumento al marinaio.

 

Al che, dicendola col linguaggio del posto: "cà nisciuno è fesso", fu organizzata da noi una contro-offensiva: fu mandato avanti da solo uno dei nostri, un piccolino mingherlino ed occhialuto, ed allorchè un gruppo di forzuti pugliesi gli sbarrò la strada nei vicoli della città vecchia di Brindisi, che bisognava attraversare per recarsi in città, da dietro l' angolo del vicolo saltò fuori un gruppo di "seniori" del nostro Nautico che diede agli aggressori la contropartita per gli attacchi precedenti.

I nomignoli che ci furono affidati erano tanti: "Slavi", "Tedeschi", "Polentoni" (classico questo in contrapposizione a "terroni") ma quello semi-ufficiale  (vedi capitolo precedente) fu "fichi secchi".

Anche il sottoscritto aveva un amoretto platonico (per forza di cose) con una fanciulletta. Si chiamava Elena ed era, caso raro per una brindisina, biondissima. Faceva la maestrina in una scuola elementare e suo fratello minore frequentava la mia scuola.

Ogni mattina, quando scendevamo dalla barca che ci traghettava dal Collegio in città, passavo con i compagni sotto il suo balcone - li conoscete, quei balconi del Sud con la balaustra di ferro ? - dove lei, immancabilmente, era ad attendere il mio passaggio. Ci scambiavamo, per alcuni secondi, occhiate - ma non un solo gesto che avrebbe potuto comprometterla - piene di segreta comunione.  Il fratellino mi portava lettere piene di straripante tenerezza, scritte su pagine di quaderno della prima elementare, che lei scriveva in cattedra, magari quando i suoi scolaretti erano chini sui loro abbecedari, e recapitava le mie. In due anni ci incontrammo due volte. A parte qualche incontro ,la domenica mattina, con il rituale sopra descritto.

La prima volta senza preavviso, e con reciproca sorpresa e gioia, ad un pomeriggio danzante in una scuola o associazione cattolica che fosse.

Lei, piccolina e grassottella, aveva un vestitino nero che stava molto bene con i suoi capelli biondi. Ballammo un paio di volte assieme, ma non di più - sempre per non comprometterla - alle note di "Perfidia" allora in voga.

La seconda volta ci demmo un appuntamento, sempre con le letterine contrabbandate dal fratellino.

Mi ricordo, era estate o primavera inoltrata, all' una del pomeriggio, mentre lei tornava da scuola, e anch' io rientravo in Collegio venendo da scuola.

Trascorremmo una decina di minuti senza parlare, in mezzo allo stradone polveroso, con un sole accecante con una temperatura all' ombra sui trenta gradi.

 

 

L' apice, il culmine della rivalità tra noi ed i compatrioti del Sud scoppiò alla fine del Torneo di Calcio tra le Scuole cittadine.

Nella finalissima allo Stadio Comunale c' erano due squadre: il nostro Istituto Nautico (da quello di Bari avevano creato apposta per noi una sezione "staccata" in Collegio) ed il Liceo di Brindisi. Il pubblico era straripante.

Molti di noi, in previsione di quello che sarebbe potuto accadere, si erano muniti di corpi contundenti, niente di pericoloso, ed a puro scopo di eventuale legittima difesa.

Effettivamente, quando il Nautico stracciò il Liceo ebbe inizio un parapiglia, una zuffa e battaglia generale, tutti contro tutti. Mi ricordo che i nostri "Istitutori", che erano pure del luogo, parteggiavano per noi menando botte ai loro concittadini. Non ci furono feriti o contusi, ma fu un pestaggio fantasmagorico come non ne ho più visti (meno male) di persona in vita mia. Chiudo l' argomento.

 

Evoluzione del Calcio scolastico.  Alcuni nuovi calciatori del Nautico "Carnaro" di Brindisi

 

Non bisogna però credere - e su questo punto qui insisterei - che non ci furono buone e durevoli amicizie anche con ragazzi di Brindisi. Con i nostri compagni di classe i rapporti migliorarono e divenimmo buoni amici. Uno dei miei e dei nostri più cari amici era Frank Ponticelli. Nato in America, dove i suoi genitori erano emigrati e poi rientrato in Patria, Frank veniva con noi in classe al Tecnico. Era piccolissimo, bruno, tarchiato e di temperamento vulcanico. Suo padre era proprietario e gestore di una osteria in città. Lo ricordo sempre con molte simpatia perchè era di una cordialità estrema.

Il nostro Istituto Tecnico (sezione ragionieri) era ad "indirizzo mercantile" onde fornire tecnici specializzati ai vari oleifici e stabilimenti enologici della zona.

Si usciva col titolo (ce l' ho anch' io) di Ragioniere e Perito Mercantile.

All' esame di abilitazione si facevano saggi ed esami sui vini, farine, olii, onde accertarne il grado di acidità, grassi, ecc.

 

 

Il Collegio e la città.

 

Tempo fa ho raccolto tutte le fotografie fatte in anni lontani a Brindisi, e proprio ieri, domenica, stavo guardando le foto degli edifici del Collegio.

Il lato verso la città, con la sua costruzione semi-circolare, con la vasta porta a vetri dell' ingresso principale, che dava sullo scalone che scendeva sulla banchina del Canale.

Questo scalone era fiancheggiato dai "rostri" di pietra delle Navi Romane, decorazione questa molto in voga nel "ventennio" che adorava ogni reminiscenza storica romano - imperiale.

 

 

 Il grande cortile interno aveva al centro il maestoso Albero maestro, o Albero di Manovra che, mi dicono, un bel (brutto) giorno è crollato per mancanza di manutenzione.

Nel cortile (lato Casale) c' era una grande porta a vetri opachi della Cappella del Collegio. Ai lati le costruzioni doppie a tre piani degli studi (al pianterreno) e dei dormitori (ai piani superiori) con in mezzo le tre grandi torri rotonde delle scale.

Intorno molto verde, specialmente sul lato mare: pini, oleandri, alberi di eucaliptus.

 

Decadenza dell' Albero di Manovra nel Collegio "N: Tommaseo" di Brindisi

 

Il Collegio sorgeva (e sorge) nella Borgata Brindisi detta "Casale".

Casale quella volta era costituita effettivamente da alcuni "casali", tipiche costruzioni del Sud in tufo, laddove - per la costruzione di tali casette - i blocchi di tufo venivano tagliati e squadrati con una grande sega a mano. Con i risparmi raggranellati veniva prima costruita una casetta quale "nucleo" centrale. Poi man mano venivano "aggiunte" stanze e stanzette a fianco e di sopra, come in un gioco di cubetti per bambini. Il tutto affrescato di bianco con una incredibile impressione nordafricana.

 

 

Si raccontava quella volta a Brindisi una storiella allegra (noi fiumani diremmo "un witz") nel corso di una faida tra famiglie. Una delle due famiglie si svegliò una mattina e dovette constatare che la famiglia "nemica" aveva, durante la notte, segato loro via un pezzo di casa.

Ciò che porto sempre negli occhi è l' immagine di una donna, madre di famiglia o ragazza, con un portamento e un incedere da "mannequin", che porta sul capo una teglia con la pizza, il pane o la pasta al forno da far arrostire dal panettiere. A Casale.

Io a Brindisi ci tornai una volta di passaggio in una lontana estate del 1968.

Mia moglie ed io prendemmo allora la nave traghetto "Appia" della Società Adriatica, che ci portò in Grecia, a Patrasso.

In quel mese di luglio Brindisi era un caos spaventoso, una vera bolgia dantesca, strade intasate, completamente bloccate da centinaia e centinaia di automobili di ogni tipo, roulotte, autocorriere, camion, rimorchi. Un rumore, una confusione, un' aria appestata dai fumi di mille tubi di scappamento di questi veicoli che attendevano di imbarcarsi sui numerosi traghetti per la Grecia. Scappammo da Brindisi, felici di lasciare tale inferno, per navigare sull' azzurro mare di Otranto verso la fiorente Corfù.

 

Panorami di Otranto (si scorge al centro l' antica Cattedrale), e Corfù,. col porto più importante.


In una precedente puntata avevo parlato di una città tranquilla e sonnolenta. Vorrei qui dare una breve idea ai "non addetti ai lavori", ai "non Ex": una sola immagine di quella che era la Brindisi degli anni 'Quaranta. La distribuzione quotidiana del latte fresco in centro città avveniva così, ed io la osservavo attraverso appunto la via principale (Corso Garibaldi ?) al mattino presto, andando a scuola.

Un pastorello, con un piccolo gregge di capre andava lungo la strada principale di Brindisi (semi deserta a quell' ora) di porta in porta e, nel secchiello che gli veniva porto, mungeva una delle caprette lasciando così alla famiglia la sua razione giornaliera di latte fresco, testé munto.

Qui finisce il mio breve "non ti scordar di me" sul Collegio N. Tommaseo.

 

Colle Isarco (Bolzano). Raduno dei Muli del Tommaseo. Al centro, accanto alla Bandiera, il prof. Luigi La Macchia - età anni 85 - e il prof. Nicola Valerio, validi insegnanti del Nautico "Carnaro" in Collegio, invitati dai nostri Muli del Nautico per testimoniare loro la gratitudine per gli insegnamenti ricevuti.

Aprile 1986.

Raduno dei Muli del Tommaseo a Colle Isarco

Da sinistra: Ferruccio Kniffitz, Karin, Giulio e Rudi Decleva.

 

I Ragionieri del Tommaseo a Lazise.

Da sinistra in piedi: Leo Babaré, Giulio Scala, Boris Felician, Stelvio Tommasi, Claudio dei Missier, Sergio Siberna, Ottavio Carradori, Mario Pillepich.-  Da sinistra seduti: Mario Rota, Ferruccio Kniffitz, Massimo Gustinich

 

Giulio Scala - Dirigente P.R. Alitalia  - accoglie all' Aeroporto di Francoforte l' attrice Ingrid Bergman.

 

Giulio Scala dirige una riunione di lavoro Alitalia.

 

 

PARTE  QUARTA

 

Memorie  di  un  Commissario  di  Bordo

 

 

Un  fiumano  sul  mare

 

Incominciai la mia vita sugli oceani, che sarebbe durata quasi dieci anni, in una delle più umili mansioni a bordo: quella del "giovanotto di coperta" su una super-nave cisterna, la East River di 50 mila tonnellate, di armatore italiano che batteva bandiera liberiana.

Eravamo noleggiati ad una grossa Società Petrolifera Americana e caricavamo petrolio greggio (crudoil) in tutti i porti del Venezuela e lo portavamo in U.S.A.

Ma di questo periodo della mia esistenza ho già scritto abbastanza .

 

La super nave cisterna East River.

 

Dopo un anno andai a navigare sui "pacchetti", questo è il nome che noi marittimi diamo alle navi passeggeri (dal francese "paquebot") con la qualifica di Commissario di Bordo.

Cambiai radicalmente il mio modo di vivere: abito da sera, sigarette inglesi e società internazionale. Recitai, sulla scena della mia vita, il ruolo del gentleman, e mi aiutarono le mie reminiscenze letterarie: Kipling e Somerset Maugham.

Nelle traversate degli oceani incontrai molte delle allora grandi e famose navi passeggeri: in Atlantico le due già anzianotte Queen Mary e Queen Elizabeth, con ognuna tre ciminiere. In Oriente le grandi navi bianche della P & O, tutte con il nome che cominciava in O: Orion, Oriane, Orontes.

Tutte, meno l' ultima che fu battezzata Camberra. Il nome non le portò fortuna: durante il viaggio inaugurale da Southampton a Sidney si bruciò tutto l' impianto elettrico di bordo e la nave dovette rifugiarsi a Malta per le riparazioni.

Ogni tanto avevamo un Comandante lussignano - come Ferruccio Ronconi - che mi riportava alla mia origine quarnerina - o un Comandante ex austro - ungarico come Arrigo Liberi, già Harry Svoboda, triestino, multilingue ed ottimo navigatore.

Come tanti comandanti triestini, non escluso il mio padre adottivo il Comandante Giulio Scala, lui aveva un piccolo vizietto: la mattina, sul vassoio che la sua ordinanza gli serviva in cabina, invece di una tazza di caffé c' era un bel quartino di vino bianco.

 

 

Un bel giorno mi stufai di navigare, chiesi a un mio amico fraterno che era alla Camera di Commercio di Genova, Rudi Decleva, di trovarmi un altro lavoro. Mi disse che "Alitalia" cercava qualcuno per la Germania.

Telefonai subito al Direttore a Francoforte. Mi spiegò che stava cercando un "Public Relation" manager e mi chiese se ero pratico del ramo.

Io, per esser sincero, quella volta non sapevo nemmeno cosa significasse "public relation", ma il mio istinto positivo mi spinse a dire di sì.

Andai in Germania dove, con intervalli rimasi per 37 anni.

Sette anni or sono mia moglie ed io, ormai pensionati, decidemmo di emigrare in Italia. Trovammo il nostro rifugio in una bella casetta con un giardino pieno di fiori nel Veneto Orientale, non lontano dal mare. Lo stesso mare Adriatico sulle rive del quale io ero nato, a Fiume.

Si torna sempre alle origini.

 

 

Un  fiumano  su  un  "Liner"

 

Vi racconto di due episodi vissuti durante i miei viaggi in Estremo Oriente .

Il primo è, per così dire "pittoresco": eravamo con la nave in porto a Singapore il 2 di giugno. Essendo la Festa della Repubblica, l' Ambasciatore italiano a Singapore, allora colonia britannica, diede un ricevimento ufficiale al quale furono invitati tutti i comandanti delle navi in porto.

Il nostro Comandante, schivo a tali cerimonie, mi pregò di andare a rappresentare la nave. Io indossai l' uniforme di gala e mi guardai allo specchio. Mancava qualcosa.

Un ufficiale di Marina senza decorazioni ? Bisognava provvedere.

Andai dal mio amico ufficiale marconista che aveva fatto tutta la guerra mondiale nei sommergibili, e lui volentieri mi prestò i nastrini delle sue decorazioni che coprivano quasi metà del petto.

Li feci cucire da una cameriera sulla mia giacca e andai al ricevimento.

Era presente anche il governatore inglese di Singapore, anche lui in uniforme di ufficiale di marina, con la consorte in abito da sera, con una sciarpa di seta azzurra di traverso, come la Regina Elisabetta.

Andai a baciare la mano alla Governatrice e chiesi al nostro agente di Singapore di presentarmi il Governatore. E qui successe l' equivoco.

Nella Marina britannica i medici di bordo hanno sulle spalline i segni dorati del grado su uno sfondo rosso. Nella nostra su sfondo bianco. Noi ufficiali commissari avevamo i gradi su sfondo rosso.

Il Governatore mi strinse la mano poi, guardandomi negli occhi, mi disse: "Lei è il medico di bordo ?" Io, mio malgrado, con riluttanza, dovetti annuire, Dando poi un' occhiata alle mie numerose decorazioni, mi disse ancora: "E così giovane ? Le mie congratulazioni:" Mi sentii come un attore sulla scena, che interpreta il ruolo del protagonista in un dramma storico di costume.

 

Panorama di Singapore

 

Il secondo episodio è meno allegro. Durante il mio primo viaggio in Estremo Oriente, sul Mar della Cina, fra Singapore e Hong Kong, incappammo in un tifone. La nave non fu in pericolo. Il tifone gira con una velocità rotatoria interna immensa, ma si "sposta" con al massimo una velocità di 16 nodi (1 nodo = 1 miglio marino all' ora). Poichè la nostra nave con le macchine funzionanti poteva raggiungere una velocità di 23 - 24 nodi, riuscimmo a mantenerci sull' orlo esterno del tifone.

Ciononostante prendemmo una bella batosta. Nel salone dovemmo assicurare con le funi tutto ciò che era mobile, compresi  divani e poltrone. Salvammo anche il pianoforte.

Il mio amico marconista rimase alla radio tre giorni e tre notti per ricevere i bollettini che davano posizione e direzione del tifone.

Entrammo nel porto di Hong Kong restando però in stato di allarme, pronti a mollare le cime ed uscire dal porto qualora il tifone si avvicinasse.

Una nave, con le macchine in funzione, può affrontare un tifone in mare aperto, ma vicino alla costa è diverso. Vidi una fotografia di una grande nave passeggeri che durante un tifone era stata sollevata dalla furia del vento e delle onde e "depositata" in cima a un' alta scogliera.

 

Nave in seria difficoltà nel cuore di un Tifone.

 

 

 

Fiume  e  l' Europa.

 

Oggi voglio raccontare, con la lucidità e la memoria dei miei 80 anni, di come la nostra città, Fiume, già negli anni Trenta era una piccola Europa ante litteram. Vi si parlavano diverse lingue: l' italiano, il tedesco, l' ungherese, il croato.

Mia madre, che era stata per dieci anni ostetrica diplomata all' Ospedale Civile di Fiume, mi raccontava che in Sala Operatoria si parlava tedesco in quanto la maggior parte dei nostri medici, compreso mio padre, aveva studiato a Vienna.

Oggi, nel 2008 a Fiume esiste una  Università con facoltà di Medicina.

Andavamo in jugoslavia, a Sussak, senza bisogno di passaporto per l' estero. Avevamo chiese cattoliche, greco-ortodosse, protestanti, e sinagoghe.

 

Sinagoga di Fiume ... prima ...

 

... e dopo la distruzione nazista.

 

Mio nonno paterno si era trasferito dalla sua nativa Ungheria a Fiume, dove faceva il commerciante di cereali (granaglie, come si diceva), noleggiava navi che dall' Argentina portavano a Fiume frumento che lui distribuiva a tutti i paesi del vicino danubiano, dall' Austria alla Romania.

Dalle foreste del nostro retroterra, Austria e Slovenia, arrivavano per ferrovia nel nostro porto legnami pregiati, che venivano esportati via mare in tutti i paesi del mondo dove il prezioso "rovere di Slavonia" era ricercato e altamente quotato.

Quando vivevo a Francoforte parlavo tedesco con il mio accento triestino - fiumano, e molti credevano che io fossi austriaco.

Quando mi chiedevano da dove venivo io rispondevo senza esitare che ero un "europeo di lingua e cultura italiana". Tale mia autodefinizione di allora è diventata oggi, grazie al Cielo, una realtà.

2008.

 

 

Gli  Emigranti

 

Negli anni dal 1955 al 1963 ho esercitato uno dei miei tanti mestieri e professioni della mia - grazie abbastanza finora - lunga vita dopo il nostro Esodo, e in tale periodo ero Commissario di Bordo sulle navi passeggeri.

Oggi si conoscono soltanto le navi da crociera, e la gente si sposta da Roma a New York in aereo.

Quella volta le linee aeree erano all' inizio e chi voleva andare oltremare prendeva la nave. Le navi quindi erano un traffico "di linea", come si diceva.

Nei primi anni ero imbarcato su una linea "di lusso", e cioè con il Lloyd triestino da Genova a Hong Kong.

 

Motonave "Neptunia"

 

Poi fui su navi che portavano gli emigranti nelle Terre Promesse. Dopo il secondo conflitto, per innumerevoli profughi da tutti i Paesi europei, senza casa e senza mezzi di sostentamento, organizzazioni internazionali (come la I.R.O. - International Refugee Organisation) mandavano questa povera gente oltremare, dove c' era lavoro e dove queste povere vittime della guerra, da loro certamente non voluta, si creavano una nuova esistenza. Ho portato emigranti in Canada, Venezuela, Australia.

 

Giulio dirige una esercitazione di emergenza in navigazione.

 

Il mio primo viaggio per l' Australia lo effettuai verso il 1957 sulla motonave "Neptunia" del Lloyd Triestino, una nave da 11.000 tonnellate, che ospitava 800 passeggeri. un numero molto ristretto in prima classe ed il resto in "classe turistica" (così si chiamava, anche se quei disgraziati tutto erano meno che turisti).

I "turisti" dormivano in dormitori che si chiamavano "cameroni" con una cinquantina di posti in letti "a castello", un po' come i trasporti truppe dei soldati americani che venivano in Europa a farsi ammazzare.

Più tardi, nella guerra del Vietnam, mandavano i giovani americani ad Hanoi e farsi ammazzare con l' aereo.

 

Guerra del Vietnam. Dimostrazioni a Washington.

 

La Neptunia non aveva aria condizionata e - attraversando il Mar Rosso - nei locali interni e nei cameroni la temperatura saliva a livelli molti alti, certamente ben oltre i 40 - 45 gradi centigradi. Le sale dormitorio da 50 letti erano ovviamente separate per uomini e per donne. Tali "locali", adattati a dormitorio, non erano altro che stive di carico della nave.

Nel viaggio di ritorno Australia - Italia i letti venivano smontati e le stive riempite di balle di lana grezza, allora principale merce di esportazione australiana.

I porti d' imbarco della "Neptunia" in Italia erano Genova, Napoli e Messina. Ci fu un Ministro della Marina Mercantile, calabrese, che per motivi elettorali dichiarò che non poteva permettere che i poveri emigranti calabresi dovessero recarsi fino a Messina per imbarcarsi per l' Australia, e fece fare scalo - una volta - alla nave, oltreché a Messina, anche a Reggio Calabria, che come san tutti, è proprio di fronte al porto siciliano.

Poiché il porto di Reggio, quella volta, era estremamente piccolo, ed era estremamente difficile e pericoloso farvi entrare una nave da 11 mila tonnellate, per un miracolo il "Neptunia" non si sfracellò sugli scogli.

Qui finì il progetto e la buona intenzione del Ministro, tesa a evitare ai suoi conterranei l' attraversamento dello Stretto.

A bordo avevamo un Cappellano, un Prete Cattolico, il quale senza posa, giorno e notte metteva in guardia le donne sui pericoli che le attendevano in un Paese straniero, e forse senza Dio. Molte fra le donne siciliane e calabresi partivano dal loro paese e  villaggio - dall' interno della Sicilia, Calabria e Lucania - vestite di nero, con il fazzoletto in testa e con le calze nere, lunghe.

Durante il viaggio, sulla nave, le possibilità di lavarsi erano limitate, e d' altra parte, per queste pie e caste donne il lavarsi, specialmente in punti non visibili, era una cosa forse anche peccaminosa.

Così queste donne, attraversando il Mar Rosso, che non si apriva più come usava fare quando Mosé lo attraversò con gli ebrei in fuga dall' Egitto, anche loro verso la Terra Promessa, dormendo in questi locali - con temperature allucinanti - senza cambiarsi mai d' abito, senza fare abluzioni e senza levarsi le calze nere e lunghe. Lascio alla vostra immaginazione l' intensità degli effluvi e degli odori che si potevano godere in un camerone con una cinquantina di donne in tale condizione.

Onde evitare e prevenire epidemie, eccetera, ogni mattina facevamo uscire tutti dai dormitori, uomini e donne, ed il nostromo - la persona più importante a bordo dopo il Comandante - con una squadra di marinai senza maschere antigas, entrava nei locali e li lavava a fondo con manichette, cioè i tubi flessibili dei pompieri, con forti getti d' acqua mista a cloro.

 

 

Le autorità australiane esigevano all' arrivo della nave nei porti australiani - ripeto, il primo porto di scalo era Fremantle, ultimo Brisbane - degli elenchi dettagliati con tutti i dati anagrafici dei passeggeri immigranti. Erano dei formulari con sedici colonne, mi ricordo questo per le "Immigration & Police Authority". Inoltre, per le "Autorità Doganali e di Igiene - un altro formulario altrettanto dettagliato, con tutte le cose che gli immigranti portavano seco.

Come voi ben sapete, e come probabilmente è ancora in vigore oggi, la legge proibiva nel modo più perentorio l' importazione di materassi di lana, salumi e tante altre cose che non ricordo.

La maggioranza dei miei "passeggeri - turisti" provenienti dalle regioni dell' Italia meridionale, Sicilia, Calabria, Campania, Lucania, Molise, eccetera, era composta da poveri contadini dall' interno della regione, i quali spesso non sapevano ne' leggere, ne' scrivere.

Nella stagione estiva europea, da maggio a settembre in India e nell' Oceano Indiano soffia, com' è noto, il Monsone. Gli abitanti dell' India ne sono felici - inondazione a parte - perchè, dopo sette mesi di siccità, finalmente piove, e come !

Sul mare questo monsone è un vento molto forte e le navi del Lloyd Triestino che andavano in Australia e che si chiamavano "Australia", "Neptunia" e "Oceania" erano state costruite nei cantieri di Monfalcone e - al contrario delle navi di costruzione britannica, lunghe e relativamente strette - erano piuttosto corte e alte di sovrastrutture. Con il monsone di traverso - che soffia da Sud - Sud Est - ballavano e sbandavano come un ubriaco che usciva il sabato sera, dopo avere incassato la paga settimanale, dalla nota Osteria "Andemo da Spada" in via Roma, nella nostra Fiume di una volta.

 

G.Battista Colombo. Osterie nell' arte del '500, , con suonatori, giocatori e bevitori.

 

Quindi gli "interrogatori" ai passeggeri - onde poter compilare i suindicati formulari per le Autorità Australiane - dovevano da noi venir effettuati in Mar Rosso prima di passare il Capo Guardafui, dopo il quale si entrava nella zona del monsone.

Poichè - come ho già raccontato - la nave era priva di aria condizionata e la temperatura, specialmente di giorno con il sole era in Mar Rosso proibitiva, dovevamo organizzare i nostri interrogatori  sopracoperta, all' aperto, sotto una tenda dove spirava un po' di brezza marina.

Ancora un particolare: sulle navi del Lloyd Triestino - secondo un principio di "equità" - la ripartizione delle cabine e sale di soggiorno per i passeggeri di bordo era suddivisa nel modo seguente: i due terzi della nave (verso prua) per i pochissimi passeggeri di prima classe. La classe turistica  (750 - 800 emigranti) era ridotta a un terzo della nave, verso poppa, sopra le eliche dove il movimento della nave sulle onde si faceva più sentire.

Allora noi mettevamo un tavolinetto sul ponte di coperta, a poppa, con una macchina da scrivere Olivetti "a carrello grande", pesantissima, per poterci appunto infilare le matrici dei formulari a sedici colonne che poi venivano stampate e riprodotte in molte copie per i Funzionari Australiani nei vari porti, con un sistema "a spirito" - spirito de brusar si chiamava da noi a Fiume, ed aveva una puzza tremenda - e davanti a noi "sfilavano" i capifamiglia ai quali chiedevamo i dati da inserire nei formulari.

Il mio italiano - a parte il dialetto fiumano o quello veneto che parlo oggi - è stato sempre piuttosto buono (ho fatto anche l' Università), ma questi uomini, e in particolare quelli provenienti dall' interno della Lucania, quando rivolgevo loro la parola in italiano, non mi capivano assolutamente. Logicamente io non capivo loro.

La soluzione: il mio assistente e gli Assistenti del Commissario di bordo con il grado di sottufficiale avevano quella volta la qualifica ufficiale di "Amanuense" residuo delle navi di Cristoforo Colombo.

 

Le navi di C. Colombo  (in Arte)

 

Il mio Amanuense era un certo Loffredo, che era nato appunto in Lucania e che quindi parlava ambedue le lingue, l' Italiano e il Lucano.

Loffredo era un meraviglioso "interprete simultaneo" e non ebbi mai problemi con la gente lucana.

Incominciava l' interrogatorio. La maggioranza dei dati basilari si potevano apprendere dal passaporto. I problemi gravi cominciavano quando dovevamo compilare i formulari per la "Australian Customs".

E qui si vedeva il secolare scetticismo verso i "Signori" di questa povera gente, da secoli sottomessa dai feudatari, dai preti, dai politici, dalla Mafia, Camorra, N' Drangheta, Sacra Corona in Puglia.

Alle mie domande sulle cose in loro possesso rispondevano a monosillabi (tradotti dal fedele Loffredo) e si vedeva in loro letteralmente la paura che qualcuno, con autorità e potere, potesse portar via loro qualcosa, come da sempre era successo nei loro paesi e villaggi. Le domande: "Avete voi salumi, insaccati ?" non approdavano a nulla. Allora il mio assistente, con molta pazienza cominciava a spiegare loro che tali alimenti era meglio se li avessero mangiati prima di arrivare in Australia, perchè le autorità sanitarie li avrebbero distrutti. Con tanta - ripeto - pazienza e forza di convinzione nel colloquio (sempre in lingua lucana) si riusciva a far capire qualcosa agli interessarti, ed allora grandi mangiate a bordo, di coppa, sopressata, salsiccia, eccetera.

 

Mensa degli emigranti a bordo.

 

Altra colonna sul formulario: "Valuta in possesso allo sbarco". E qui la cosa era estremamente difficile, sempre quella paura antica di venir derubati li faceva rispondere: "Non ho soldi".

Allora noi si cercava di far loro capire che sarebbero stati meglio accolti dalle Autorità di Immigrazione se avessero dichiarato di essere in possesso di una certa somma di denaro, piuttosto che se avessero detto di avere niente.

Finalmente, dopo un' ora di domande e spiegazioni, un emigrante che per tutto il tempo aveva giurato di non aver una lira, diceva; "Sì, ho mille dollari (USA) che quella volta era una somma ragguardevole e rappresentava per quella povera gente anni e anni di risparmi.

Parlando di monsone e maltempo, logicamente i nostri emigranti dei quali - come già dicevo - la maggior parte proveniva dall' interno della Lucania, Irpinia, ecc. soffrivano spaventosamente il mal di mare.

Appena passato il Guardafui, nel periodo del monsone, la nave cominciava a muoversi a causa del rollio e soprattutto beccheggio (quando la prua va sù e giù come un "ottovolante" nelle "Montagne Russe" del Luna Park). Allora si vedeva la coperta della nave - che si chiamava "passeggiata - letteralmente coperta da corpi inanimati lungo distesi, che si lamentavano di stare morendo - avete mai provato un vero mal di mare ? - e rifiutavano ogni cibo e bevanda.

 

Ruderi del Faro Francesco Crispi, Capo Guardafui. Ex Somalia A.O.I.

 

Com' era.

Alla domanda: "cosa volete mangiare ?" rispondevano : "Ulive nivere" (olive nere), che evidentemente erano l' unico alimento che questa gente consumava in casi di malattie gravi allo apparato digerente. E qui viene il bello.

Eravamo negli anni Cinquanta, ed il periodo storico antecedente di quarant' anni alle cosiddette "mani pulite". Un po' di malcostume era presente dappertutto.

Sulle navi, in generale, ognuno cercava di "arrangiarsi" (la grande Virtù / difetto degli italiani). Noi Commissari di Bordo (Secondo e Terzo Commissario) ci "arrangiavamo, ad esempio, senza creare molti danni, "arrotondando i cambi di valute. Pochi centesimi per ogni operazione, che alla fine del viaggio costituivano un ricavo extra.

Dove c' era più di tutto da gestire era sulla "Panatica".

Il libro "Gestione viveri" era in tre copie per un onesto controllo. Una copia l' aveva il Capo Cambusiere, una il Commissario di Bordo, ed una il Comandante.

Ebbene, non appena entravamo nella zona del monsone e la nave cominciava a rollare ed a beccheggiare, fino a che la nave prendeva il mare "di prua" - cioè aveva la prua rivolta verso la direzione del monsone e delle onde - il movimento era più sopportabile. Non appena prendevamo il mare "di traverso" - cosa che un bravo navigante a vela o a vapore evita di fare per la sicurezza della imbarcazione - cioè la nave presentava la fiancata al vento e alle onde, sopravveniva un rollio che mandava tutti e tutto a bordo a sbattere. Piatti e posate sui tavoli in Sala da Pranzo volavano via ed i passeggeri si sentivano così male, che ogni pranzo era impossibile.

Allora, voi non mi crederete, alle ore dei pasti - verso le 13 per il pasto ed alle 19 per la cena - il Comandante, in combutta (mi sia scusata la brutta parola) con Commissario e Cambusiere, faceva alterare per breve tempo leggermente la rotta prendendo il mare "di traverso" e risparmiando così ogni volta centinaia di razioni di viveri che andavano ad impinguare le tasche dei suddetti signori.

Io credo che queste cose, anche se a distanza di quaranta e passa anni, bisogna dirle e farle conoscere.

 

Fine  della  Quinta  puntata

 

 

Sesta  puntata

 

 

Sydney  e  Melbourne

 

 Non avevo ancora trent' anni quando "scopersi" la Terra Australia, un po' come il nostro (o era spagnolo ?) Cristoforo Colombo.

A Barcellona i Catalani lo chiamano Cristobal Colon e dicono che NON era un Genovese ... dicevo allora che, novello Colombo, negli anni Cinquanta scopersi l' Australia.

Devo confessare che la mia immaginazione di ragazzo a Fiume, nella mia infanzia  e prima giovinezza, piena zeppa di letture di Emilio Salgari e Giulio Verne, mi presentava un Continente "laggiù" a casa del diavolo, come si diceva da noi, pieno di canguri che saltellavano tra eucalipti nel Bush - in questo caso slang australiano, sta per "macchia" "bosco" "foresta", aborigeni con fattezze scimmiesche e coloni anglo sassoni discendenti da ex galeotti.

Il mio primo impatto con l' Australia è stato quando per la prima volta la nave sulla quale prestavo servizio arrivò a Fremantle, il primo porto di scalo della nave proveniente da Genova, Napoli, Messina, qualche volta facevamo scalo anche al Pireo a prendere gli emigranti dalla Grecia, Port Said, Aden, per fare "bunker" (combustibile) che ad Aden, portofranco, era più a buon mercato, e poi avanti, per il Mar Rosso, Oceano Indiano, per arrivare appunto a Fremantle dove sbarcava in primo gruppo di emigranti.

 

 

Poiché la nave si fermava un giorno e una notte, ed io avevo sempre una tremenda voglia di vedere il mondo, ero andato a vedere la città di Perth. Mi ricordo che era una bella giornata di sole nella primavera australiana, e tutto era verde e fiorito. Capitai nella zona dell' Università di Perth e - con mio enorme piacere e sorpresa - vidi il "Campus" della Università, con tanti bellissimi alberi su una grande distesa di erba coltivata a prato, sulla quale studenti - tutti bei ragazzi e belle fanciulle; mi interessavo, quella volta, più che altro alle fanciulle - ben vestiti, stavano seduti o sdraiati sull' erba, leggendo e conversando.

Il tutto in un quadro idilliaco e meraviglioso che ancora oggi, dopo oltre cinquant' anni, ho negli occhi. Questa fu la mia prima impressione di questo Continente, che imparai ad ammirare e ad amare.

 

 

Tornando ai greci, come dicevo, ogni tanto andavamo con la nave al Pireo, dove si radunavano tutti i greci che emigravano in Australia. Povera gente, come tutti i migranti del mondo, fenomeno attuale questo, purtroppo oggi, nell' anno duemilauno, più che mai.

Leggevo proprio ieri che oggi, appunto nel 2001, nel mondo ci sono in totale oltre 22 milioni di profughi.

Com' è noto, negli anni della occupazione nazifascista italo - tedesca nella seconda guerra mondiale, ma soprattutto nel dopoguerra, la situazione economica, ed in particolare quella alimentare in Grecia era disastrosa.

La popolazione era affamata e la gente cadeva letteralmente per la strada, morta di fame. Tramontato lo splendore della Grecia antica, per secoli in Grecia ha regnato la povertà e la miseria.

 

Situazione di fame in Grecia dopo la guerra, per popolazione e soldati ex nemici.

 

Conseguenze della guerra fredda, che comunque, in chiave europeista potrebbero  - con  buona volontà - condurre a conseguenze logiche positive. Intendiamo dire che il debito, misurato sull' oro, conta nulla, o conta soltanto come imposizione. La moneta dovrebbe essere calcolata sulla produzione agricola e industriale, e cambiata spesso. Così come sottinteso nella Carta di Milano. Altrimenti si creano cumuli di ricchezze  morte (inutili) nei sotterranei delle banche. Per cui la ricchezza diventa un falso e solo,la speculazione acquista valore di  realtà.

 

Ebbene, io vedevo questi emigranti salire a bordo della nave nel porto del Pireo, con le loro famiglie, mogli, figli, con le guance scavate e gli occhi sperduti, tristi per dover lasciare la loro terra per andare incontro ad un avvenire sconosciuto.

Ma quello che mi aveva colpito negli emigranti greci, era quel particolare aspetto denutrito e miserando, ove si poteva letteralmente vedere la fame dei loro padri e dei loro nonni.

 

Motonave "Fair Sea"

 

Tornando all' Australia, in tanti anni di vita a bordo, tante cose sono successe che non so da dove iniziare e finir di raccontare. Mi ricordo un altro fatto che mi è rimasto impresso nella memoria.

Come sempre, avevamo a bordo emigranti di diverse nazionalità, italiani e molti profughi dalla Europa Orientale, quasi tutti con un passaporto "Nansen" di apolide.

Ad alcuni sarà noto il termine D.P. (Displaced Person) che caratterizzava appunto la gente senza un passaporto nazionale, munita cioè di un lasciapassare internazionale, che aveva accompagnato una gran parte dei primi immigranti in Australia nel secondo dopoguerra. Anch' io, dopo l' esodo da Fiume, fino all' accoglimento della mia richiesta di "opzione" - cosa assurda in quanto quale "cittadino italiano" a Fiume, dalla nascita, casomai avrei dovuto optare per la cittadinanza jugoslava o altra - sono stato per un periodo, teoricamente apolide.

La prima cosa che l' Italia fece allorchè mi fu (ri) concessa la cittadinanza italiana, fu di mandarmi immediatamente la "Cartolina del Servizio Militare" mentre, come quasi tutti i miei concittadini, io avevo fatto la guerra a 15 anni.

Allora, tre giorni prima di arrivare al primo porto australiano, e cioè a Fremantle, un emigrante profugo - la nave era il "Castel Felice" della Sitmar - evidentemente con la psiche provata e malata da chissà quali sciagure ed orrori della guerra, salta in mare e - nonostante le nostre ricerche, dato che avevamo fermato la nave e calate le scialuppe di salvataggio - scompare nei flutti.

Eravamo partiti dall' ultimo porto europeo con 1100 passeggeri a bordo. Dopo il disgraziato suicidio di uno di loro erano rimasti quindi 1099 emigranti sulla nave.

Un giorno prima di arrivare a Fremantle una profuga russa (con passaporto Nansen, quindi apolide), incinta al nono mese di gravidanza, dà alla luce una bella e sana bambina.

 

Motonave "Castel Felice"

 

Il caso era interessante: una bambina nata da genitori apolidi, senza nazionalità, nata su nave di bandiera italiana, quindi giuridicamente in territorio italiano, mentre la nave stessa si trovava in territorio australiano.

La bambina fu battezzata dal cappellano di bordo, Felicia, dal nome della nave, e credo che oggi racconterà ai suoi figli e nipotini (australiani) la sua storia. Comunque, il fatto significativo è che la nave arrivò a Fremantle con 1100 passeggeri.

E qui - profonda considerazione filosofica - vediamo come la Morte e la Vita siano vicine e si bilancino tra ti loro in modo perfetto.

Come dicevo, imparai ad ammirare e ad amare questa bella Australia .

La mia città preferita era la meravigliosa Sydney - e qui so che i miei amici di Melbourne non saranno d' accordo - con la sua Baia, le sue insenature, le sue spiagge. L' unica cosa che non mi piacque. Io sono un inveterato Bonculovich - che in dialetto classico fiumano vuol dire sia Buongustaio che Mangione - fu che, appunto a Sydney frequentavamo un Ristorante dove servivano delle fantastiche aragoste, per noi europei a buon prezzo, quella volta.

Ebbene, a quel tempo l' Australia era estremamente "British", e quasi tutti i ristoranti erano "Not Licensed", non avevano cioè la licenza per servire bevande alcooliche, tra cui vino e birra.

Da buon italiano e fiumano, come potete ben immaginare, mangiar bene senza vino era per me una cosa impossibile. Per fortuna avevamo trovato un ristorante di proprietà di un napoletano, il quale, da buon partenopeo, ci passava di nascosto, sotto il tavolo e contro la legge - quando mai un partenopeo ha osservato in tutto e per tutto la legge ? - un fiaschetto di Chianti.

 

 

Torniamo a Melbourne.

Una cosa che mi aveva fatto impressione e che per noi europei era anomala e nuova,  la scopersi durante una mia visita alla Stazione ferroviaria di Melbourne. Erano le cinque o le sei del pomeriggio e nel bar ("Pub") della Stazione i "Commuters" (pendolari) aspettavano il loro treno che li riportasse a casa, nei suburbi.

Dovete immaginare ognuno di tali pubs come uno stanzone, tipo abbeveratoio, con un lunghissimo banco di zinco e la segatura per terra. Ovviamente lungo il banco, per terra, correva una sbarra di ottone per appoggiare i piedi, usanza questa oggi e tuttora in voga nei pubs che si rispettino, in Gran Bretagna, in Irlanda e un po' in tutto il mondo.

Ebbene, tutti questi signori (uomini) in attesa che partisse il loro treno, si scolavano una serie di bicchieri di birra (quella volta era in voga la Swan Beer) e - come quando la sera l' Oste in Irlanda, a Cork, nei miei anni di studente nella Green Island, annunciava alle ore 22,00 d' estate e 21,00 d' inverno ... "Getlemen, time" che voleva dire: "Ordinate l' ultimo drink prima della chiusura." gli avventori ordinavano tutte in una volta cinque o sei birre (Guinness), in quanto dopo l' orario ufficiale di chiusura veniva chiusa la porta d' ingresso e spente le luci.

Non venivano più servite consumazioni, ma chi era dentro poteva finire in pace la sua birra. Così nel Bar della stazione ferroviaria di Melbourne avevo visto, con mia enorme meraviglia, tutti questi distinti business-men, i quali si scolavano con una velocità impressionante una Pint di Swan Beer dopo,l' altra, senza nemmeno prendere fiato.

Vi confesso, sarei tremendamente curioso di sapere - e pregherei qui caldamente uno dei miei concittadini che vive a Melbourne di informarmi in merito: se tale usanza e consuetudine è sopravvissuta al giorno d' oggi, nell' anno 2002.

 

Pub australiano con "pasto"

 

Una volta, ancora oggi in Italia, la gente viveva nelle città. In molte cosiddette Metropoli, grandi città, la popolazione non vive più nella città, dove solo si lavora, e dove ci sono uffici, negozi, cinema e teatri, ristoranti, ma la gente abita e vive "fuori".

Io ho vissuto per 37 anni nei dintorni di Francoforte. La metropoli tedesca "Francoforte" dove ci sono oggi le sedi di 384 banche straniere, oltre a quelle tedesche, ha solo 500.000 abitanti.

La "Grande Francoforte" che comprende tutte le località e centri residenziali del circondario, ha oltre 5 milioni di anime.

E' impressionante, il sabato sera, quando uno esce dal cinema o dal teatro, vedere il centro città completamente deserto, come dopo una guerra atomica, escluse macerie.

A Francoforte i ristoranti tedeschi chiudono anche il sabato sera alle 22,00 perchè i cuochi si rifiutano di lavorare più a lungo.

Meno male che vi sono abbastanza locali italiani, greci, spagnoli, turchi, dove si mangia sino a tarda ora.

 

Ristorante italiano "Gallo Nero" a Francoforte. Arredamento estivo.

 

Ma torniamo ancora una volta a Melbourne.

Io, quella volta, non conoscevo ne' Francoforte, ne' alcun' altra "metropoli". Dopo aver finito le scuole al nostro famoso Collegio "Niccolò Tommaseo" di Brindisi, avevo studiato e vissuto a Napoli, dove la sera alle dieci la gente comincia appena a uscire, ed i ristoranti sono vuoti sino a tale ora, quando i napoletani cominciano ad andare a cena.

La prima volta che fui a Melbourne la sera, con un collega, andammo al Cinema. Una bella sala cinematografica, mi ricordo, grande e moderna. E fu all' uscita dal Cinema che esperimentai l' effetto "dopo guerra atomica": tutto il centro era vuoto, deserto, come se ci fosse stata una epidemia di peste. Per me fu una cosa incredibile, non avevo mai visto nulla di simile.

 

 

Ma ora mi viene in mente un' altra storia tragico-comica (più tragica che comica) accaduta in quei tempi a Melbourne.

Un  mio collega, anche lui ufficiale sulla nave e Commissario di Bordo, una sera uscendo dal cinema e camminando lungo una strada deserta, senza anima viva, un viale fiancheggiato da grandi alberi, sentì un bisogno impellente e si mise in silenzio e nel buio della notte - illuminata soltanto dai fanali della strada - a fare un tranquillo pipì dietro ad un albero.

In quel momento passò una pattuglia della Polizia, che si fermò e lo rimproverò - sembra in modo non molto civile e gentile -  e pare che volessero anche fargli una multa per lordura in luogo pubblico, o qualcosa del genere.

Il mio collega - amico, nuovo del Paese, si mise a sorridere e disse che era una cosa assurda - mai successa, che fosse un crimine fare la pipì di notte, al buio dietro un albero. Pare che i tutori della legge di Melbourne non prendessero la cosa così alla leggera, e si venne a uno scambio di parole, alla fine del quale il mio amico fu arrestato sul posto e portato in prigione con diversi Capi di Accusa tra i quali "Atti osceni in luogo pubblico", "Resistenza a Pubblico Ufficiale", "Oltraggio" e parecchi altri.

La nave ripartiva da Melbourne per proseguire il viaggio per Sydney la mattina dopo, ed ovviamente partì senza il mio collega, che era ospite nelle prigioni di Melbourne.

Poiché i capi d' accusa erano abbastanza gravi, si dovette ricorrere ad un buon legale e - trattandosi di un ufficiale della Marina Mercantile Italiana in servizio - intervenne ufficialmente l' allora Ambasciatore d' Italia a Camberra.

Non ricordo se il mio amico fosse stato assolto o condannato, ma so che tale fatto costituì una macchia grave sulla sua carriera  - la Società di Navigazione era il Lloyd Triestino - ed ebbe riflessi sulla sua futura promozione e sviluppo professionale.

 

 

Allora mi raccomando, cari amici, attenti a non bere troppa birra e liquidi in genere, la sera a Melbourne.

 

 

Un  fiumano  per  mare:  Australia

 

Ero Commissario di Bordo sulle navi in servizio di linea dall' Europa per Australia e Nuova Zelanda. A bordo gli emigranti, il cui passaggio era pagato dagli Enti Pro Profughi, che venivano sistemati in cameroni di 50 - 60 letti.

Nei viaggi di ritorno i letti a castello venivano smontati ed i locali stipati con balle di lana che l' Australia, con le sue centinaia di  migliaia di pecore, esportava in Europa.

A bordo, il morale degli emigranti, logicamente, non era alto; soltanto gli spagnoli, la sera, sul ponte di coperta, suonavano le loro chitarre e cantavano canzoni il cui ritornello diceva sempre: "A me toccherà tagliare la canna da zucchero".

In verità, dopo lo sbarco, in Australia molti di loro privi di qualifica e di un mestiere, venivano mandato a Nord, nel Queensland equatoriale a tagliare la canna da zucchero. Lavoro molto pesante sotto il sole tropicale, che penso oggi viene fatto con macchine. Venivano sistemati in baracche con i tetti  di lamiera ondulata, lontano dal mondo e, molti di loro, gente semplice, non resistevano a quella vita. Dopo qualche mese cominciavano a mostrare segni di squilibrio mentale.

 

Un pub moderno in una  piantagione di canna da zucchero nel Queensland australiano.

 

Il Governo Australiano, sempre molto attento a notare i minimi segni di inquinamento genetico nella popolazione bianca (anglosassone) del Paese, li rimandava in Europa.

Io ne ho portati parecchi, nel viaggio di ritorno, ognuno di essi accompagnato da un robusto infermiere australiano munito di una mazza da baseball.

Coma ho già scritto, in un viaggio di andata, durante la traversata, un emigrante profugo e reduce da chissà quali tragiche esperienze, si buttò in mare e non ci fu possibile salvarlo. Eravamo partiti dall' Europa con 1100 passeggeri ed ora ne avevamo a bordo soltanto 1099. Una settimana prima di arrivare nel primo porto australiano, Fremantle, una donna, pure profuga, mise al mondo una bella bambina alla quale venne dato il nome della nave. Fu così che arrivammo in Australia con lo stesso numero di passeggeri della partenza.

Il poeta persiano Omar Khayyam nel suo "Rubaiyat" scriveva: "Tutto è scacchiera di notti e giorni, dove il destino gioca con gli uomini per pezzi, li sposta qua e la, li accoppia e li elimina poi, uno per uno, li rimette nel cassetto".

 

 

 

 

Un  fiumano  per  mare:  Caraibi

 

Nel 1961 ero Commissario di Bordo sulle navi della Grimaldi che portavano emigranti (neri) dalla Giamaica e da tutte le altre isole minori dei Caraibi per la Gran Bretagna.

Tutta gente cordiale e simpatica.

Io feci amicizia con un giovane sindacalista di Kingston (Jamaica) che un giorno mi disse: "Mister Scala, se tutti gli uomini bianchi la pensassero come lei, non ci sarebbero mai stati problemi tra bianchi e neri". Io lo presi come un incoraggiamento per me e i miei figli a continuare a pensare che tutti gli esseri umani sono uguali, qualunque sia il colore della loro pelle e la loro religione.

Ci volle tutta la nostra pazienza per convincere le giamaicane, figlie della Natura, che, quando uscivano dalle loro cabine per andare in bagno nel corridoio, dovevano mettersi almeno un reggiseno  e le mutandine.

Io mangiavo in sala da pranzo con i passeggeri. I nostri cuochi preparavano piatti della cucina dei Caraibi, sempre molto piccanti. Ho ancora la bella foto di me in divisa bianca, seduto con un bel bambinetto sulle ginocchia.

 

Un giorno un giovane sindacalista giamaicano disse a Giulio: "Mr. Scala, se tutti gli uomini bianchi

la pensassero come Lei, non ci sarebbero mai problemi tra neri e bianchi".

 

La sera, ballo sul ponte di coperta a ritmo di Calypso, messo in voga in quegli anni dal cantante giamaicano Harry Belafonte - suonava l' orchestrina della nave, che rividi 25 anni dopo a Wiesbaden in Germania.

 

Giulio Scala tra gli orchestrali di bordo.

 

 In viaggio, tre giorni dopo la partenza dall' ultimo scalo nei Caraibi, Barbados verso l' Europa - in Atlantico la nostra Ascania perdette un' elica (ne aveva due).

Come un animale ferito, la nave tornò indietro verso il più vicino porto provvisto di bacino di carenaggio, Fort de France nella Martinica francese.

Incredibile, ma per tutti i dieci giorni necessari per la riparazione, la nave rimase in bacino con quasi mille passeggeri a bordo.

Ogni sera, sottobordo, giovani negri francesi, eleganti e gentili, venivano a prendere le ragazze giamaicane a a portarle fuori a divertirsi.

Non ci furono mai scontri con i giovani giamaicani.

 

 

Una volta rimessa a posto l' elica riprendemmo il nostro viaggio per l' Europa.

Non ho mai saputo se, dopo lo sbarco dei passeggeri in Inghilterra, ci fossero state nascite di bambini franco - giamaicani.

 

 

 Tempo fa lessi che la città di Bristol aveva eletto un Consigliere Comunale giamaicano. Io gli scrissi chiedendogli se per caso lui fosse venuto in Inghilterra con la nave "Ascania". Mi rispose subito, molto gentilmente, dicendo che lui no, ma che suoi conoscenti avevano viaggiato sull' Ascania, e ne avevano parlato bene.

15 Febbraio 2010.

 

 

 

Un  fiumano  per  mare  (2)

 

Ero sempre Commissario di Bordo sulla Ascania del Grimaldi in servizio di linea dai Caraibi per l' Inghilterra. Il Governo della Giamaica (ex Colonia britannica) da poco indipendente, volle fare, assieme alla nota Casa produttrice del famoso rum  Appleton - sapendo che la nostra nave toccava tutte le isole dei Caraibi - un' azione di Public Relation presso tutte le altre isole minori dei Caraibi alle quali, forse perchè ne era la più grande, si sentiva in un certo modo superiore.

Anche i nostri passeggeri giamaicani  si sentivano essere migliori dei loro confratelli delle altre isole e, nella traversata verso l' Europa, si comportavano in conformità.

A Kingston si imbarcò con noi, quale ambasciatrice del suo Paese, la nuova eletta Miss Giamaica, una splendida diciassettenne con la pelle color caffelatte, nel costume tradizionale giamaicano.

 

Miss Universo - Jamaica 2015

 

La fanciulla doveva consegnare al Comandante di ogni porto insulare toccato, una confezione di "Appleton" con un saluto ufficiale della Grande Sorella, ora libera dal giogo coloniale.

La accompagnava nel viaggio, quale chaperon, una signora della borghesia di Kingston.

Quello che nessuno pensava, o voleva sapere, era che la signora era affetta da una forma occultata, ma abbastanza avanzata, di paranoia. Iniziò a manifestarsi con un sintomo tipico.

La signora cominciò a girare per la nave senza niente addosso. Dovemmo rinchiuderla nella sua cabina.

Un giorno tentò di incendiare la nave dando fuoco alle tende della cabina. Il fuoco fu subito domato e alla signora togliemmo ogni mezzo ignifugo.

Una sera ruppe le cinture del suo materasso, ne estrasse la lana e per tutta la notte, con una infinita pazienza, la buttò pezzo per pezzo giù nello scarico del WC.

Riuscì ad otturare completamente tutto il sistema di scarico idraulico della nave. Alla fine la consegnarono alle Autorità Sanitarie per il rimpatrio.

27 Febbraio 2010.

 

 

 

Un  fiumano  per  mare:  Oriente

 

Ero Commissario di bordo sulla nuova motonave Victoria del Lloyd Triestino, in servizio di linea celere  Italia - Estremo Oriente.

Motonave "Victoria"

 

In classe turistica viaggiavano italiani per e da Colombo e Bombay. Un nostro cuoco indiano di Goa preparava ogni giorno tre tipi diversi di curry: di pollo, pesce, e vegetale.

 

Curry indiano di pollo e di pesce (crostacei).

Curry indiano vegetale

 

Gli indiani non mangiano carni bovine e suine. In prima classe europei, principalmente inglesi, dipendenti governativi e piantatori di gomma e tè.

Nel viaggio di ritorno la Victoria portava nelle sue stive gomma da Singapore, cotone da Bombay, tè da Ceylon (oggi Sri Lanka). Le stesse merci pregiate e la stessa rotta dei famosi Clipper a vela della Compagnia delle Indie britannica e dei vascelli olandesi da Batavia (oggi Djakarta) per Amsterdam.

 

Antico Clipper  Commerciale in navigazione

 

In una traversata da Colombo a Singapore, nel primo pomeriggio, sento la nave vibrare con entrambe i motori a tutta forza indietro. In mezzo all' Oceano Indiano ?

Corro sul ponte di Comando per vedere cosa era successo. In piena velocità di crociera avevamo speronato un povero balenottero che dormiva tranquillo, invisibile, appena sotto la superficie del mare. Per liberarlo la nave dovette fare marcia indietro.

Il "Piccolo" di Trieste riportò la notizia. Era il 1955 o il 1956.

 

 

Sempre sulla "Victoria" per India - Estremo Oriente.

In una traversata da Singapore per Hong Kong, nel mare della Cina, incappammo in un Tifone. Il Tifone ha una velocità rotatoria immensa, ma si "sposta" ad una velocità di massimo 16 nodi. La "Victoria ne poteva fare 23, quindi restammo per tre giorni e tre notti sull' orlo del Tifone, in continuo contatto radio con le stazioni meteo. Fummo comunque bene sbattuti.

Avevamo a bordo una giornalista tedesca, che era contenta di avere , nel suo primo viaggio, una tale esperienza. Si era legata ad una colonna del soggiorno e pestava sulla sua portatile un articolo per il suo giornale. Correva però il pericolo che i marinai la buttassero in mare credendo che fosse una porta - jella, essendo così felice di ciò che accadeva. E qui una breve nota biblica.

La Bibbia ci racconta che il profeta Giona fu inghiottito da una balena. Non dice però come mai il profeta si trovasse in mare.

 

 

 

La Leggenda dice che Giona era stato buttato in mare dai marinai di una nave, che credevano portasse sfortuna. Molti non sanno che oggi nel gergo marittimo inglese il termine "Jonah" significa uno che porta il malocchio.

Entrammo salvi nella baia di Hong Kong. Attraccammo alla banchina del porto restando però in stato di allarme, pronti a mollare le cime ed a salpare nel caso di un ritorno del maltempo. Una nave che incontra un tifone al largo può salvarsi, ma sottocosta vi è il pericolo di venire buttati a terra.

Ho visto una volta la foto di una grossa nave in cima ad una scogliera, ivi scagliata dalla furia degli elementi.

28 Febbraio 2010.

 

 

 

Gente  di  mare:  Atlantico

 

Turbonave "Irpinia"

 

Ero Commissario di bordo sulla "Irpinia" della Grimaldi, costruita con il nome di "Campana" (con l' accento sulla ultima a) per conto delle M.M. francesi, in quelli che erano quella volta i migliori cantieri europei, a Saint Nazaire. Era una nave lunga e relativamente stretta, con sovrastrutture basse che tenevano bene il mare, credo meglio di ogni altra su cui ho navigato.

Ma il Nord Atlantico in inverno è una brutta bestia.

In un viaggio una violenta tempesta  ci portò via la metà delle nostre imbarcazioni di salvataggio, da tutto un lato della nave.

 

 

Giorni or sono raccontavo alla Rosa, che aiuta mia moglie in casa, di quando, le mani aggrappate al "railing",  guardavo le onde di colore verde scuro, alte oltre cinque metri, che avanzavano minacciose verso di noi. Lei spontaneamente mi chiese se io avessi avuto paura.

Io risposi che non ero molto tranquillo, ma sapevo bene che, fino a quando le macchine continuavano a funzionare regolarmente e la prua della nave era rivolta verso il quadrante dal quale provenivano vento e onde, avevamo buone probabilità di risalire il San Lorenzo fino a Quebec ed a Montreal.

Nei viaggi per il Centro America ed i Caraibi facevamo la rotta del Sud Atlantico, meno soggetta al maltempo.

Oggi i passeggeri che attraversano l' Oceano guardano la vasta distesa di flutti da un' altezza di dieci mila metri.

21 marzo 2010.

 

Giulio in Terza Elementare, nella Scuola di Piazza Cambieri, seduto al centro, in seconda fila e quinto da destra.

Alla sue destra Sergio Costiera, alla sua sinistra Ferruccio Kniffitz.

 

 

FINE  DELLE  "CIACOLADE  IN  LINGUA"

 

 

 

 

A P P E N D I C E

 

 

 

Le  radici  ungheresi  di  Giulio  Scala

 

Il curriculum di mio padre Giulio Dènes.

Mio padre Giulio Dènes nacque a Fiume - allora Corpus separatum della corona ungherese - il 16 aprile 1901 da famiglia di origine ungherese, e suo padre era un grosso importatore di granaglie.

Frequentò le scuole locali e, ultimato il ginnasio, si iscrisse alla Facoltà di Medicina a Bologna dedicandosi in particolare, allo studio delle malattie infettive.

Assolti i suoi obblighi di leva in Italia, e dopo aver prestato servizio come sottotenente medico presso l' Ospedale Militare di Padova, frequentò per due anni l' Ospedale di Fiume come medico interno a tempo pieno. Conseguita la specializzazione in Igiene Pubblica entrò a far parte dell' Istituto Provinciale di Igiene e Profilassi di Padova.

Per venticinque anni visse a fianco dei grandi Direttori, Casagrandi, De Chigi, Vendramini, insegnando  diagnosi delle malattie infettive al corso di specializzazione per medici, e per altri 25 anni presso la Scuola Convitto per Assistenti Sanitarie.

Durante l' ultima guerra fu chiamato a dirigere il  Reparto Infettivi dell' Ospedale di Padova.

Oltre all' attività professionale didattica il prof. Dènes è stato per trenta anni medico sui treni che portano gli ammalati a Luordes e santuari internazionali ricoprendo anche la carica di Presidente dell' UNITALSI.

 

Giulio con il padre Giulio Dènes

 

Per 30 anni è stato Assistente morale dei detenuti presso le Case di Pena di Padova e per 20 anni Dirigente del Consultorio Familiare. Nel 1968 è stato inviato dalla Regione Trentino - Alto Adige in Germania, all' università di Francoforte, per approfondire la diagnosi rapida della infezione da rabbia silvestre.

Per anni ha partecipato a diversi Congressi di Microbiologia dando alla stampa oltre 50 pubblicazioni di carattere scientifico. Negli ultimi anni della sua vita egli ha dedicato parte del suo tempo all' assistenza dei ricoverati dell' Opera della Provvidenza di Sant' Antonio di Sarmeola, piccolo Cottolengo alle porte di Padova.

E' moto a Padova nel 1986.

 

 

 

La  storia  del  nonno  Giacomo  (Jakob)  Dènes

 

Mio nonno si chiamava Jakob, in italiano Giacomo. Il suo vero nome era Chaijm ben Jòzef, ma in famiglia lo chiamavano Jacob.

Nel cimitero ebraico di Fiume sulla sua tomba una grande lapide di pietra bianca del Carso reca la scritta "Giacomo Dènes, morto il 6 Novembre 1928".

 

Memoria della Comunità ebraica di Fiume e Abbazia.

 

Il nonno arrivò a Fiume in una fredda e chiara mattina del Dicembre 1896 con la ferrovia Budapest - Mare Adriatico. Aveva 28 anni e con lui c' era la sua ventunenne moglie (Rézl bàsz Szorl) nata a Giòr in Ungheria, dove si erano sposati nel giugno del 1896.

Al suo arrivo a Fiume Risa era incinta di sei mesi del primogenito Ferenc (Francesco Jehude Lew ben Chaijm).

Giacomo era il dodicesimo figlio di Joszef Dènes, piccolo proprietario terriero di uno "Shtetl" il piccolo villaggio autosufficiente ebreo - orientale (askenazi) non lontano dalla città di Békéskaba in Ungheria.

Jozef aveva avuto dodici figli da tre mogli, perchè era rimasto due volte vedovo - la prima moglie morta di tubercolosi e la seconda di parto. Non si era sempre chiamato Dènes.

Il vero nome della famiglie era infatti Goldfinger, ma per mimetizzarsi si era spogliato del cognome ebraico ed aveva assunto il cognome Dènes, che in Ungheria era stato un cognome molto comune, come Dubois a Parigi, Schmidt a Francoforte e Bianchi a Milano.

 

Il nonno Giacomo (Jakob) Dènes

 

Quale ultimo e più giovane figlio, Jakob non aveva diritto ad alcuna eredità paterna, ammesso che ce ne fosse una, e così appena sposato decise di emigrare in patria e lasciare lo Shteti - che come tutti gli Shteti in Europa Orientale si sarebbe poi disgregato nella Prima e Seconda Grande Guerra - per andare poi a vivere a Fiume.

Fiume era  - nel 1896 - l' unico porto sul mare del Regno d' Ungheria. Una città brillante, ricca di traffici e di commerci, un posto, insomma, pieno di possibilità per un giovane ebreo con tanta iniziativa e che aveva appena fondato una famiglia.

 

Descrizione di Fiume nell' 800.

 

Giacomo affittò, al suo arrivo a Fiume, una stanza in casa della piccola e grassa vedova Valentina Prohaska. Il suo defunto marito era stato ufficiale di Macchine nella Società di Navigazione Ungaro - Croata, ed era morto per lo scoppio di una caldaia della nave, per cui la Prohaska percepiva una buona pensione che arrotondava affittando stanze nel suo spazioso appartamento in un palazzo vicino al porto.

Più tardi, raggiunta una buona posizione economica, Giacomo Dènes acquistò un appartamento in una casa su una collina verso Cosala dove nacquero Janka (Chane bàsz Rèzl), nel 1898 e Roszinka (Szorl bàsz Rezl), nel 1902 Gyula. Mio padre (Giulio Dènes, alias Elie ben chajim) nacque il 16 Aprile del 1901.

 

 

A Fiume le offerte di lavoro per un giovane volonteroso non mancavano, e così Giacomo entrò quale "Giovane d' Ufficio" nell' agenzia Traffico Granaglie del vecchio ebreo viennese Salomon Weiss che fungeva da sensale per le importazioni di cereali che arrivavano a Fiume con le navi da Oltremare e che poi venivano distribuite sui mercati dell' Austria - Ungheria ed Europa Orientale.

Il vecchio prese a benvolere questo giovane, piccolo di statura, ma intelligente e pieno di buona volontà, e così, essendo vedovo e senza figli, lo designò quale suo erede.

Quando, dopo alcuni anni, morì Salomon Weiss, Giacomo assunse la gestione della Ditta, che fece prosperare raggiungendo un notevole benessere economico per sè, la moglie ed i suoi quattro figli.

Essendosi impratichito nei commerci marittimi estese l' attività di senseria ed intermediazione della Ditta e cominciò a noleggiare in proprio navi da carico che portavano grano da Buenos Aires o Bahia Blanca in Argentina e lo scaricavano a Fiume, da dove poi proseguiva per varie destinazioni come Austria, Ungheria, Romania e tutto lo hinterland dell' Impero Austro - Ungarico.

La sua figura - in redingote (o Gehrock, come si diceva allora) cappello e bastone - era nota nell' ambiente del porto, dove lui a voce alta sollecitava gli scaricatori portuali a lavorare più in fretta.

Suo padre non era eccessivamente osservante, ma ciononostante andava il Sabbath a pregare e cantare in Sinagoga e, alla vigilia del Sabbath, il venerdì sera a casa si accendeva sempre il Menorah, cioè il Candelabro a sette bracci.

 

 

Sua madre, una donna magra e alta, con lo sguardo fermo, era molto severa con i figli, non tollerava sciocchezze e - come tutte le famiglie ebree a Fiume - aveva una donna di servizio cristiana che così, anche il Sabbath quando ogni attività si fermava, accendeva le lampade, cucinava e svolgeva tutti i lavori domestici.

In casa si parlava ungherese, e forse ancor più l' italiano, che era la lingua del commercio e della navigazione a Fiume.

Benchè i suoi genitori conoscessero lo jiddish, cioè la lingua degli ebrei dell' Europa Orientale, probabilmente non lo aveva mai parlato in casa.  Al Liceo italiano materie d' insegnamento erano anche la lingua tedesca (Lingua ufficiale dell' Impero Austro - Ungarico) e quella Ungherese. Il Croato i ragazzi lo imparavano dalle donne di servizio, che venivano quasi senza eccezioni dal  circondario del contado di Fiume, che era tutto di lingua croata.

Finito il Liceo, Giulio cominciò a studiare medicina a Vienna, per poi passare a Bologna dove conseguì la laurea.

 

 

 

L'  Adriatico

 

Dai moli del porto di Fiume vi era la quotidiana partenza delle piccole navi della Società di Navigazione "Ungaro - Croata" per le isole di Veglia e di Cherso e per la lunga costa dalmata. Trasportavano merci e passeggeri e questi erano in gran parte piccoli commercianti e contadini che portavano la loro mercanzia al mercato di Fiume.

Di stazza modesta, con lo scafo e la ciminiera pitturata in nero, recavano sul fumaiolo i colori della Società: una striscia rossa con la stella bianca. Alcuni di questi piroscafi erano destinati anche alla navigazione fluviale, dovendo raggiungere il fiume Drina e risalirne il corso. Avendo quindi la chiglia piatta, mal sopportavano il mare agitato.

Oltre a questi modestissimi vaporetti la flotta sociale era costituita da navi "bianche", e tra questa due particolarmente importanti, con ampio salone e ponte superiore spazioso, riservato quale belvedere ai turisti. Una di queste, con il grande salone con le poltrone di velluto, era attraccata al molo Adamich in attesa dei passeggeri. Sulla prua il nome ungherese "SIRALY" (si pronuncia "sciragli" che significa "gabbiano". Svolgeva servizio locale Fiume - Abbazia giornalmente, ed intensificava le corse nelle giornate festive.

 

Della storica flotta della "ungaro - Croata" era rimasto, nei nostri tempi, questo piccolo vaporetto che fu ribattezzato "Lussino".

Faceva servizio per Volosca,  Abbazia e Laurana per conto della Società Fiumana di Navigazione.

 

La distanza (10 Km = 5 miglia c.ca) veniva percorsa in circa 35 minuti, costeggiando gli stabilimenti di Cantrida e la vasta Cava di pietre di Preluca, la quale ha fornito il materiale per la costruzione dei moli e delle banchine del porto di Fiume.

Negli anni così lontani, tra la fine dell' Ottocento e l' inizio della Prima Guerra Mondiale, Abbazia rappresentava per noi fiumani l' Estero, in quanto era sotto l' Impero Austriaco, mentre i fiumani erano cittadini del Corpo Separato del Regno di Ungheria. Quindi, di là le bandiere giallo - nere e da noi, accanto a quello fiumano, il tricolore ungherese, mai separati l' uno dall' altro in occasione delle feste nazionali.

Ad Abbazia predominava la lingua tedesca, da noi il nostro dialetto veneto con qualche accenno e vaga conoscenza dell' ungherese e del croato.

 

 

Altre caratteristiche: accanto alla saliera, nei ristoranti e nelle trattorie di Fiume, rosseggiava la paprika, ad Abbazia invece nereggiava il pepe macinato. Ad Abbazia grandi boccali di birra accanto ai "Würstel", da noi la birra piccola con il "gulas" a mezza mattina alla Piccola Borsa in Riva.

Altro giustificato orgoglio della "Ungaro - Croata" era la veloce nave bianca in servizio Fiume - Venezia, la "HEGEDUS SANDOR"; un piroscafo veloce e moderno, resistente a tutte le condizioni meteorologiche avverse, non infrequenti nella stagione invernale. Il nome ricordava un uomo politico magiaro benemerito per Fiume, e per noi fiumani la nave costituiva indubbiamente un vanto. Era il mezzo più idoneo e confortevole per raggiungere la Regina dell' Adriatico, e sostituiva sia le linee ferroviarie che quelle automobilistiche, allora praticamente inesistenti.

La corsa era giornaliera. Si partiva nella tarda serata, quasi sempre puntualmente alle ore 22, dovendo attendere le carrozze del direttissimo da Budapest. Di solito due carrozze venivano trainate dalla Stazione Ferroviaria fino al binario accanto alla nave, ed i passeggeri, senza perder tempo, salivano sul piroscafo tutto illuminato a festa, con le caldaie sotto pressione sul molo inondato dalla luce cruda delle scintillanti ed alte lampade ad arco.

 

Modello di lampade ad arco

 

Anche mio padre passata la breve vacanza pasquale nella casa paterna a Fiume, ripartì nel mese di Aprile con l' "Hegedus Sàndor" per riprendere i suoi studi universitari a Padova. Lo accompagnarono i familiari per dargli il saluto alla partenza, ed anche per godersi lo spettacolo, sempre interessante, del distacco della nave dalla banchina, con grande sventolio di fazzoletti ed agitarsi di braccia.

Un lungo fischio, anzi un suono profondo di sirena e l' "Hegedus" lasciò dietro di sè l' ultima propaggine  del porto, dove terminava il Molo Lungo con il suo piccolo faro a luce intermittente.

La nave ospitava un discreto numero di turisti ungheresi, arrivati con il direttissimo dalla Capitale, i quali apparivano stranamente silenziosi trovandosi, molto probabilmente, per la prima volta ad attraversare il mare.

Anche la nave procedeva silenziosa e con un fruscio di seta tagliava le piccole onde appena mosse dal vento, mentre la luce illuminava la distesa scura. Non v' era traccia di quelle ondate sferzanti della stagione invernale, da prendersi con estrema serietà anche se si tratta di un mare circoscritto come il nostro Golfo del Quarnero. Spirava un' atmosfera calma e tranquilla.

 

 

Con mio padre si era imbarcato un giovane collega appena all' inizio degli studi, che gli si rivolgeva con molto rispetto e quasi con devozione, come si usava a quei tempi fra colleghi anziani e giovanissimi. Giulio Dènes offrì un calice dal fiaschetto di Orvieto Sole color ambra e dal gusto demi-sec "abboccato" che si era portato dietro per trascorrere le ore serali prima di andare a dormire.

Il giovane collega si coricò in una poltrona del salone. Lui nella cuccetta graziosamente offertagli dal macchinista di turno, che aveva conosciuto in Ospedale, dove faceva pratica già da studente, durante le vacanze.

Giulio passò parecchie ore dormendo profondamente e si svegliò presto per non perdere lo spettacolo dell' alba. Sul ponte superiore si ritrovò insieme al giovane collega, ed insieme - sporgendosi sulla balaustra - ammirarono quel vasto roseo paesaggio leggermente offuscato da una lieve nebbiolina.

Pian piano la foschia si sciolse ed improvvisamente scoppiò un sole brillante e accecante.

Mentre loro due godevano di questo nuovo sole, già tiepido anche se ancora basso sull' orizzonte,  arrivarono sul ponte tre giovani, due ragazzi ed una ragazza, biondissima quest' ultima, snella e molto carina. Anche loro guardavano la vasta distesa tranquilla dove i gabbiani davano spettacolo, seguendo la nave e tuffandosi fulmineamente sui rifiuti gettati in  mare dai marinai della cucina.

Mio padre esitò un momento poi, avvicinandosi ai tre giovani silenziosi, toccò leggermente il braccio alla ragazza che si voltò sorpresa verso di lui. Egli allora le parlò promettendo uno spettacolo paradisiaco quando sarebbero arrivati all' altezza del Lido di Venezia, in vista della cupola maestosa e scintillante della Salute.

Lei non capì niente, perchè erano tre giovani ungheresi, ma mio padre - ponendo un braccio attorno alle spalle della bella ungherese - continuò il suo discorso, fingendo di non comprendere nulla del colloqui che i ragazzi avevano tra loro.

La bella fanciulla non rispose ed alla fine si decise di lasciare abbandonare la sua testina sulle spalle di mio padre, dicendo ai suoi compagni: "nem tudom mit akar toelem es az olasz" (non so che cosa questo italiano vuole da me) mentre mio padre sentiva quel dolce voluttuoso abbandono come se questa piccola innocua avventura sentimentale facesse parte della sua emotività e quasi fosse da lei desiderata.

Così, teneramente abbracciati entrarono nel Bacino di San Marco e si separarono con un sorriso scendendo  la passerella abbassata dello "Hegedus Sàndor".

 

Venezia. Bacino di San Marco e Isola di San Giorgio.

 

 

 

I  Medici

 

Il grande edificio color bruno scuro, ancora oggi - come nei tempi passati - ospita la numerosa scolaresca, ma la fisionomia della Piazza Cambieri non è certo più quella del passato.

Allora i ragazzini della Scuola Elementare Statale varcavano il grande portone separatamente: maschi e femmine. Arrivavano trafelati da Piazza Elisabetta (poi Piazza Regina Elena) arrancando in salita per via Carducci, spesso a fatica, lottando contro la bora che soffiava gagliarda durante la stagione invernale.

I più piccoli della prima classe trovavano ad accoglierli le braccia aperte della maestra, l' insegnante Dalmartello, sempre così materna. I maschi poi ebbero per guida il barbuto maestro Zòltan Mittner, sposo di una collega fiumana che insegnava alle scuole di Piazza Scarpa.

 

 

Il Mittner fu genitore del nostro condiscepolo Ladislao Mittner, futuro germanista di fama mondiale, docente ed in seguito Rettore Magnifico dell' Università Veneziana di Ca' Foscari e mancato alcuni anni or sono.

La sua scomparsa - come dai necrologi apparsi su giornali e riviste tedesche - rappresentò un lutto per tutta la cultura tedesca e europea.

Esattamente di fronte alla Scuola si trovava il primo edificio dell' Ospedale Civile, malandato, basso e maleodorante. Emanava infatti un acuto odore di acido fenico, allora il disinfettante più diffuso.

Pallide facce di malati di tubercolosi si affacciavano dal primo de unico piano del triste edificio, mentre all' interno ottimi e noti medici cercavano di prestare le loro cure con grande sacrificio, ma spesso con poca fortuna, non esistendo in quei tempi mezzi efficaci per curare il morbo più diffuso e che colpiva principalmente i giovani.

Il vecchio e modesto complesso ospedaliero fu, dopo il primo conflitto mondiale, trasferito nella sua nuova sede, nell' edificio della ex Imperial Regia (Kaiserliche Königliche) Accademia Navale Austro - Ungarica. Edificio questo, ampio e spazioso circondato da un vasto parco, che dovette però essere adattato per trasformarlo in Nosocomio.

Mancavano ambienti indispensabili ed il Primario Spetz Quarnari continuava a salire in Piazza Cambieri per sezionare i morti, nell' attesa che si costruire il padiglione che doveva ospitare  la "Prosettura" per le ricerche cliniche e batteriologiche e, naturalmente, per le autopsie. Per il trasferimento dell' Ospedale vennero creati nuovi reparti ed anche nuovi Medici  Primari furono nominati al posto dei valenti e famosi colleghi, i quali, anche per limiti d' età, lasciarono l' incarico pur continuando il loro legame cordiale e affettuoso verso i più giovani.

Il più noto e venerato maestro della chirurgia fu in quel tempo Antonio Grossich, il quale non trascurava di fare le sue visite al nuovo complesso dell' Accademia, dove operava il giovane figlio Ruggero in qualità di Primario Chirurgo. Accanto a lui altri noti colleghi  Primari, tra i quali Lionello Lenaz, primario del reparto di Medicina, Spetz Quarnari, primario del Reparto di Prosettura (cioè Sezione di Anatomia - Patologia ed analisi Batteriologiche e Sierologiche) il Primario Petranich, del reparto Dermo Venereo, Filippovich oculista, Dalma ordinario di Psichiatria, ed infine il dottor Holzabech, recentemente scomparso in tarda età, primario di Radiologia.

Il Senatore Antonio Grossich fu l' inventore del metodo di bonifica rapida del campo operatorio con la tintura di Iodio, universalmente applicato per intervenire con estrema rapidità in casi di urgenza, al posto di prolungata disinfezione della cute.  Il Metodo Grossich fu applicato come unico mezzo, da parte di tutti i chirurghi per moltissimi anni, offrendo grande sicurezza per la sterilizzazione del campo operatorio.                                                                                                                                                        

 

 

A Fiume arrivarono i più celebri professori universitari esteri, a rendere omaggio all' inventore, o meglio ideatore, del metodo, e tra queste celebrità pure il Dr. Billroth, allora Direttore della Clinica chirurgica di Vienna, ideatore di un metodo di operazione allo stomaco, che ancora oggi porta il suo nome.

Antonio Grossich e Theodor Billroth divennero amici, e ad ogni stagione estiva quest' ultimo si fermava ad Abbazia per trascorrere le sue ferie, e fu spesso ospite in casa del suo amico.

Si trovò molto bene a tavola, salvo che per la qualità dei vini, dopodichè - prima di arrivare quale ospite - si faceva precedere da una cassetta di ottimo spumante, che egli preferiva ai nostri vini "domaci" istriani e dalmati, per lui troppo aspri e grevi.

La loro amicizia durò a lungo ed il celebre chirurgo austriaco morì proprio durante un suo soggiorno estivo  ad Abbazia, dove ancor oggi un cippo ricorda la sua memoria tra gli alberi di olivi e di lauro nel parco.

 

Prof. Theodor Billroth di Vienna.

 

Un altro scienziato di valore fu il Primario Medico Lenaz, che fu altamente apprezzato nel mondo universitario ed ebbe l' incarico di insegnare Ematologia all' Università di Padova.

Si era laureato all' Università di Vienna e pubblicò diversi suoi lavori scientifici in lingua tedesca.

Da studente - come lui amava scherzosamente raccontare - fu amante della buona tavola e del buon vino e nella sua cameretta, sotto il letto, nascondeva una botticella. Così, alla sera, coricandosi, con una cannuccia di gomma aspirava direttamente da tale contenitore la prelibata bevanda. Se la storia fu da lui inventata o se corrispondesse al vero, non si sa; egli infatti non aveva certamente l' aria di un inveterato bevitore.

In genere i medici, di ieri e di oggi, erano e sono dei buongustai - e spesso - i nostri si sentivano stanchi della mensa offerta dalle religiose dell' Ospedale, addette alla preparazione dei cibi, di buona qualità, ma poco variati.

Mai che si potesse gustare una minestra asciutta come primo, oppure un risotto: ogni mezzogiorno e ogni sera, invece il brodino, ottimo, con dentro una grossa fetta di bollito, poi una bistecca con verdura lessa, formaggio e frutta. Sempre lo stesso menù, mai qualcosa di diverso.

Per trovare allora qualcosa di diverso si andava alla "Conca d' Oro" il ristorante più in voga tra i professionisti di Fiume.

I medici più giovani, però, non potevano permettersi tale lusso, avendo come retribuzione solo vitto e alloggio in Ospedale, in attesa di un futuro guadagno.

Questi medici, giovanissimi, non solo lavoravano sodo senza interruzione e con orario pieno, ma non era loro permesso di accettare alcun dono da parte dei pazienti ricoverati riconoscenti per le assidue cure ricevute.

Ne nacque un giorno addirittura una questione allorchè il Direttore, che era il Primario Chirurgo Ruggero Grossich (il giovane) si accorse che uno degli assistenti aveva avuto in dono una statuetta in avorio da parte dei familiari di un malato grave, e volle che il regalo fosse restituito.

Voglio ricordare a questo proposito un episodio tragicomico capitato proprio ad uno dei giovanissimi assistenti del Primario Chirurgo.

In seguito ad un incidente automobilistico durante una gita alla quale parteciparono la distinta proprietaria di una casa "chiusa" e le sue pensionanti, una delle sue belle e giovani ospiti riportò un trauma cranico piuttosto preoccupante. Al pronto soccorso, dove il giovane medico era di turno, giustamente venne consigliato il controllo radiografico della parte sospetta di eventuale frattura. La "padrona" delle signorine senz' altro accettò la proposta ed invitò, sia il giovane medico che il Primario a visitare all' indomani la paziente, dopo aver preso visione della radiografia.

L' Assistente informò il Primario, e lui il Grossich, brontolando accettò il consulto, e così - il giorno seguente - suonarono alla porta della "Birreria della Fortuna"  che era allora la Casa "migliore" della Cittavecchia, in Calle Marsecchia, poco distante dall' altra Casa o Birreria di bassa lega, con prezzi più modesti.

Sia l' assistente che - sembra - il Grossich, erano nuovi tra i visitatori dello Stabilimento, ma la vecchia portinaia, pure lei ex professionista e fumatrice di mezzi toscani, con la sua voce rauca salutò gli ospiti rispettosamente.

 

 

La padrona, scendendo le scale, avvolta in un chimono a fiori, venne loro incontro. La radiografia era favorevole e la signorina fuori pericolo.

La padrona, soddisfatta, consegnò discretamente al Grossich una busta contenente l' onorario, cioè un grosso biglietto di banca, anche per quei tempi eccessivo. Primario ed Assistente scesero le scale, il Grossich tenendo fra le dita il biglietto di banca, che agitava come una bandiera. E quando la vecchia megera portinaia spalancò con grande ossequio il portone, il Primario le lasciò cadere fra le mani la banconota a lui consegnata dalla generosa padrona.

Il giovane Assistente inghiottì amaramente la saliva alla vista dello spettacolo, per lui così doloroso.

Evidentemente per il Primario il denaro così guadagnato sembrava puzzare di scandalo e di malcostume. Contrariamente a quanto fece l' Imperatore Vespasiano quando rispose al figlio - egualmente sensibile al fatto che suo padre guadagnasse mettendo una tassa sui gabinetti pubblici - mettendogli sotto il naso una moneta d' oro: "Non olet" cioè, non puzza.

La stessa frase viene attribuita, dalla leggenda storica, ad un Papa, allorchè un Cardinale della Curia gli espresse i suoi dubbi sulla moralità degli utili ricavati dalla gestione dei bordelli romani da parte del Vaticano.

 

 

E oggi più che mai, tanta gente - riciclando certe partite male guadagnate - si attiene a questa massima.

 

 

 

Il  porto  di  Fiume  com' era

 

Il Porto di Fiume, importante per i collegamenti con i Paesi europei, e in particolare quelli danubiani, le Americhe e l' Oriente (India e Giappone), accoglieva di passaggio anche le navi "triestine", le navi cioè del LLOYD ADRIATICO (poi Lloyd Triestino) che vi facevano scalo per imbarcare carichi provenienti dal nostro entroterra.

Poichè Fiume aveva anche una importante Società di Navigazione propria, la "ADRIA" il porto aveva - specialmente negli anni precedenti il primo Conflitto mondiale - un' attività quasi febbrile. Avevano notevole importanza le importazioni dai Paesi dell' America del Sud (Argentina, Uruguay, Cile), che erano ricchi di cereali, carne, fosfati, concimi ed altri prodotti di cui l' Europa era carente.

Mio padre, pur essendo molto giovane, conosceva bene ciò che avveniva nel nostro porto, avendo vissuto fin dalla prima infanzia in mezzo a persone impegnate nella importazione ed esportazione di merci via mare su bastimenti di grosso tonnellaggio.

Dappertutto si sentiva nell' aria il profumo, l' intenso odore aromatico proveniente dalle cantine dei depositi di vini arrivati dai Paesi Mediterranei, in particolare dalla Grecia, su navi di tonnellaggio più modesto, scafi con ancora alberi, sartìe e vele, ma snelli e veloci in quanto forniti di motori di notevole potenza.

 

        Documenti di vecchia emigrazione. Aspettando la nave.

 

Un' altra merce di esportazione in quegli anni abbondava a Fiume ed era la merce umana, cioè centinaia, anzi migliaia di emigranti che arrivavano dall' interno del vasto Impero Austro - ungarico. In prevalenza erano i meno fortunati sudditi della Monarchia, che lasciavano la loro misera esistenza vissuta in Bucovina, Polonia russa, Slovacchia, e partivano con la speranza di crearsi una nuova vita, meno penosa, oltre Oceano.

Emigravano allora in massa in Argentina - scarsa di mano d' opera - dove venivano accolti a braccia aperte ricevendo gratuitamente terre da coltivare e per allevare il bestiame.

A Fiume, dove dovevano attendere l' arrivo della nave, alloggiavano in un edificio a loro riservato, il Palazzo degli Emigranti, all' inizio della zona industriale, vicino al Faro. Si vedeva poi questa povera gente - che si portava dietro in grossi fagotti tutti i loro averi - partire con speranza e fiducia verso il Nuovo Mondo.

Per noi quello spettacolo non destava interessa alcuno, perchè ci eravamo infatti ormai abituati al passaggio di questi mesti cortei di povera gente, silenziosa ed anche addolorata per dover lasciare il loro vecchio seppur misero mondo.

 

 

 

Il  vagabondaggio  sulle  banchine  e  sulle  navi

 

Mio padre era un vero vagabondo solitario tra la gente occupata a scaricare le stive delle navi transatlantiche. Lui girava da solo e nessuno badava a lui, ragazzo per nulla intimidito in mezzo alle montagne di sacchi, di botti e di casse. Giulio Dènes osservava gli uomini pesatori e le donne occupate a cucire gli strappi dei sacchi, per impedire che il grano ed il granoturco uscissero dalle ampie ferite.

Ciononostante si camminava lo stesso su di uno strato di merce fuoriuscita dai sacchi riempiti fino alla strozza.

Scaricare vecchi e gloriosi  transatlantici. - In mare il Conte di Savoia

 

Il rumore saturava l' aria con il cigolio delle gru, le urla di comando e ordini, tanto da dover gridare per farsi capire anche in basso, lungo le murate delle grosse navi. E il ragazzino mio padre non era però del tutto sconosciuto. Alcune delle operaie gli facevano cenni di saluto perchè lo avevano incontrato nell' ufficio del nonno e gli avevano portato in regalo magari un sacchetto di mandarini, di noccioline americane o di fichi secchi.

Ma mio padre passava rapidamente da un posto all' altro e saliva sulle sue navi preferite.

 

 

 

Le  navi  di  mio  padre

 

 

Con molta disinvoltura Giulio Dènes si divertiva sul passaggio teso fra la banchina e la murata di una delle "sue navi" accostata al molo. Tali navi erano riservate al solo trasporto passeggeri per le Americhe e appartenevano tutte alla Società di Navigazione Inglese Cunard, pronte ad accogliere la schiera degli emigranti. Nessuno gli impediva di girare liberamente nei saloni, nei corridoi, fino a scendere nelle parti della nave dove si trovavano gli ambienti riservati ai viaggiatori delle classi di lusso.

 

Transatlantico "Era" della Cunard. Salone di intrattenimento.

Transatlantico "Era" della Cunard. Salone interno con scalinata

 

La piscina, tutta decorata, era sistemata sul ponte più basso, ed accanto c' era la Sala di Ginnastica, con giochi "motorizzati". C' era il Cavallo a movimento progressivo ("trotto", "galoppo") del quale lui metteva in azione il motore.

 

+

Transatlantico "Era" della Cunard. La palestra

 

C' era pure la Sala di Scrittura dove il giovane Giulio si approfittava di qualche foglio di carta da lettere e busta intestata per scrivere agli amici.

Girava - molto soddisfatto - in lungo e in largo sul "Caronia", "Carpatia" e "Pannonia". Una sola volta arrivò a Fiume il "Lusitania" con i suoi quattro fumaioli rossi, perchè le navi della "Cunard Line" avevano le ciminiere di color rosso.

Mio padre, con la sua primitiva scatola Kodak, fotografò il "Lusitania" in porto e per molto tempo conservò la copia della foto. Va qui ricordato che il "Lusitania" fu la prima nave passeggeri inglese ad essere affondata da un sottomarino tedesco al largo di Capo Kinsale (Irlanda meridionale), dopo l' inizio della Prima Guerra Mondiale.

 

 

Sulle navi visitate si svolgeva pure un modesto commercio clandestino. Si saliva con addosso delle vecchie scarpe, ormai in sfacelo, e si compravano a bordo le ricercate scarpe americane con la punta larga, allora di moda, che poi, per eludere la dogana, venivano ben impolverate ed infangate.

Del resto, lo stesso facevano i nostri vicini croati di Sussak attraversando il ponte dopo l' acquisto di scarpe nuove a Fiume.

                                

 

Ottava  puntata

 

 

Il  ritorno  a  casa  a  mezzogiorno

 

 

 

Appena veniva l' ora di mezzogiorno, segnalata con il solito colpo di "cannone", cessava immediatamente ogni attività di carico e scarico delle merci e si diffondeva per tutto il porto una strana atmosfera, un silenzio soleggiato e polveroso e quasi opprimente.

Quel giorno mio padre scese dalla "sua" nave, la "Caronìa" e di diresse verso una grossa nave da carico, ormai svuotata a metà, che aveva portato un abbondante carico di mais (formentone) da La Plata (Argentina).

Presso la grande bilancia posta sul molo lui si trovò davanti suo padre, - mio nonno Giacomo - con un aspetto preoccupato, che aveva in testa l' ampio cappello Borsalino, con l' inseparabile ombrello grigio, al momento chiuso, ma di norma aperto contro i raggi solari quando osservava il lavoro della gente addetta alla discarica.

La sua preoccupazione riguardava proprio il granoturco arrivato, dato che, durante la traversata oceanica, una mareggiata aveva danneggiato il carico, almeno in parte, provocando una incipiente alterazione del cereale. Il nonno teneva in mano un pugno di granoturco con odore di muffa, e naturalmente prevedeva proteste e contestazioni.

 

Bilancia dell' Antico Egitto: Il dio Toth attende alla pesatura delle anime

 

Questi inconvenienti erano relativamente frequenti poiché tutta la merce viaggiava "alla rinfusa" (oggi si direbbe "in bulk) insomma, senza eccessiva difesa nelle stive della nave, non isolate dalle infiltrazioni di acqua marina che ricopriva il ponte a causa delle grosse ondate spazzanti la coperta durante la traversata in mare aperto.

Era il mese di luglio. Il sole - uscito nel frattempo dalle nuvole - picchiava ora crudelmente, ed a poco giovavano il largo cappello e l' ombrello grigio antisole, ora aperto per difendere il nonno Giacomo dal caldo e dalla polvere che si alzava mentre la merce veniva trasportata dalle stive sul molo.

Però lui rimase lì lo stesso finchè c' erano i suoi uomini a lavorare e pesare, e le donne a cucire i sacchi strappati.

Tornò poi a casa nostra salendo lentamente su per la breve salita.

 

 

 

I  ratti

 

Razza speciale anti "pantegana" detta: Rattlers.

 

Il silenzio delle ore di sosta era conseguenza del deserto nel porto; era quella l' ora dei grossi ratti, le nostre "pantigane". Disposte in una lunga file alla ricerca di cibo, ritornavano poi con le gote ripiene nei loro nidi posti sotto i grandi magazzini , allora costruiti semplicemente in legno su un pavimento di terra battuta.

In seguito saranno sostituiti dagli attuali edifici "rat-proof" per poter così salvare decine di quintali di cereali.

A nulla servivano i grossi gatti, pure numerosi e a non molta distanza, sugli scogli, che si accontentavano dei rifiuti della pesca e di eventuali topolini. Le pantigane costituivano un pericolo anche per loro e ne avevano una maledetta paura.

Utile invece appariva l' uso dei cani importati dall Inghilterra, che erano della razza speciale detta "Rattlers", abilissimi a prendere questi grossi topi spezzandogli la colonna vertebrale.

Questi spettacoli costituivano per noi giovani un vero divertimento, e si può dire che erano la nostra "Plaza de Toros" fiumana, di quei tempi.

 

 

 

La   festa

 

Tutte le nostre finestre si aprivano sulla breve salita. Le persiane verdi, le caratteristiche gelosie dette "scuri", regolabili, permettevano il ricambio dell' aria muovendo gli "sportellini" mobili.

Anche la luce era così regolabile e ci permetteva inoltre di guardare fuori senza essere visti.

Come ogni anno nel mese di luglio, il giorno 27 - festa e ricorrenza di San Giacomo apostolo - verso il tramonto gli uomini, quei suoi collaboratori del porto, arrivavano con chitarra, mandolini e violino e si fermavano sotto le nostre finestre per suonare la serenata dell' onomastico in onore del nonno "Signor Giacomo" loro simpatico e generoso amico.

 

 

La famiglia aspettava con piacere questo concertino - stando appunto tutti nascosti dietro le persiane - che usciva dal cuore di questi uomini, rozzi ma così sinceri e romantici, e che faceva sentire come il nostro affetto e stima di figli e nipoti verso un padre tanto umano meritasse di essere vissuto intensamente.

 

 

 

1910 - 1915:  Anni  di  paura  a  Fiume

 

Nel marzo del 1986 la televisione mostrò le immagini del passaggio (ogni 75 anni) della Cometa di Halley, a qualche centinaio di milioni di chilometri dalla Terra.

Fu una delusione: delle macchie più o meno evanescenti apparivano confuse sullo schermo televisivo. Macchie indistinte e per nulla simili alla brillante stella, dalla coda luminosissima, visibile nel mese di Maggio dell' anno 1910.

Allora l' apparizione della Cometa di Halley, nella previsione popolare attribuita agli  astronomi, rappresentò addirittura la minaccia di un eventuale spaventoso disastro: L' urto o lo scontro frontale fra il corpo celeste e la Terra. Ed anche da parte di competenti in astrologia si ebbe la previsione della minaccia di un evento funesto, di disastri, epidemie, inondazioni, guerre, catastrofi di ogni genere.

 

 

Ci fu tutta un' altra atmosfera la sera dell' apparizione: le rive del nostro porto nereggiavano di folla eccitata, di gente che emetteva esclamazioni di meraviglia ed entusiasmo nell' ammirare lo stellone fulgente nella sua piena bellezza di astro pacifico. Richiamava la storia dei Tre Re Magi guidati verso Betlemme dalla Cometa indicante la giusta Via per arrivare al Neonato appena venuto al mondo, Padrone del Mondo sereno, Gloria a Dio nel più alto dei Cieli e Pace in Terra agli uomini di buona volontà.

Ebbene, non ci fu bisogno di tecnici esperti. Si guardava senza cannocchiale od altri apparecchi, bastavano gli occhi, infantili o di adulto, per ammirare quell' Astro, che appariva di fronte a noi, sopra l' isola di Cherso, con la sua coda quasi immersa nelle acque del nostro Golfo, e per osservare estasiati là - come in uno specchio - il riflesso dell' acqua profondamente buia.

Le esclamazioni della folla, inchiodata sui moli, sembravano non finire mai. Folla mai stanca di godere lo spettacolo che non si sarebbe ripetuto, come abbiamo constatato, nemmeno a distanza di 76 anni, come ci promettevano gli scienziati con i loro calcoli.

 

Cometa di Halley, come la si vedeva nel 1910.

 

Nel marzo del 1986, infatti, si videro delle macchie e nulla più. Che abbiano avuto ragione anche coloro per i quali la stella apparsa in modo così straordinario avrebbe causato disgrazie e malasorte ?

Non molto tempo dopo ci svegliammo nell' udire un cupo brontolio e, subito dopo, le nostre case subirono delle scosse così violente da far fuggire la gente impaurita all' aperto. Si vide la folla in fuga, frastornata, terrorizzata, correre senza alcuna mèta cercando spazi liberi, senza la vicinanza di costruzioni.

Anche mio padre -  ragazzino, ma con una incredibile calma - si vestì ed uscì  osservando le crepe sul muro del corridoio, e vide nella strada lo spavento dipinto sulle facce della gente in fuga.

Non tutti pensarono di coprirsi in qualche modo, e vi erano così donne, più o meno anziane, con la sola camicia da notte addosso, ma con in mano borse e valigette, probabilmente con il loro tesoro principale, gioie o denaro. Qualcuno aveva pure delle sporte con viveri, prevedendo guai di una certa durata.

Questo movimento tellurico non si ripetè e non portò alcun danno agli edifici, dove rimasero soltanto le fenditure nelle parti interne delle case, specialmente in quelle di recente costruzione.

Passata la minaccia tutto ritornò calmo e tranquillo. In quella famosa nottata pare che non si siano verificati casi di morte per infarto, perchè la gente possedeva, in quell' epoca, cuore ed organismi ben più validi di quelli della popolazione di oggidì.

 

 

Venne anche la guerra, minacciata dalle Cassandre (le "strolighe") all' apparizione della Cometa.

Il 24 maggio 1915 era una splendida giornata. Mio padre - avendo udito nelle prime ore del mattino uno scoppio violento - corse in camicia da notte sul poggiolo e nel cielo già chiarissimo vide, ad una altezza non molto grande, la sagoma allungata di un dirigibile.

Venne poi a sapere il suo nome "Città di Ferrara", il quale verrà poi abbattuto nel cielo di Cherso - senza perdite di vite umane - dall' asso dell' aviazione della caccia Austro-Ungarica, il triestino Barone Goffredo de Banfield.

Lo scopo del bombardamento del dirigibile italiano era quello di distruggere le officine Whitehead di Fiume, dove era sistemata la più importante fabbrica in Europa di siluri marini.

 

Quando più tardi, punto da viva curiosità, mio padre corse a vedere gli effetti del bombardamento, ne rimase stupefatto. C' era infatti, adagiata contro il muro della fabbrica, una specie di grossa bomba, che sembrava un siluro allungato, inesplosa, mentre le bombe esplose con tremendo rumore, avevano soltanto sfondato alcuni infissi dell' edificio, per lo spostamento d' aria, sollevando soltanto a metà le saracinesche. Nessun altro danno, solo un grande rumore.

 

Barone  Goffredo de Banfield, detto "L' Aquila di Trieste"

 

Così iniziò a Fiume la Prima Grande Guerra mondiale, che costò centinaia di migliaia di morti.

Io penso - anche oggi - che non dobbiamo accusarne di ciò quella splendida Apparizione sul Golfo di Fiume  [la Cometa] in tutta la sua maestà, la quale, dopo settantasei anni, ritornò così modestamente allorché con tutti i mezzi sofisticati della scienza attuale, la vollero ritrovare.

 

 

 

La  bottega  ...  sulla  pancia

 

Arrivati alla "quarta età" rimangono vive le immagini osservate lungo le vie della nostra Città, immagini raccolte, catalogate durante la nostra prima giovinezza.

L' espressione così colorita di "bottega sulla pancia", traduzione letterale dal tedesco "Bauchlanden" fu suggerita a mio padre da una nobildonna schifiltosa la quale così designava la gente povera che campava del suo commercio ambulante guadagnando lo stretto necessario per sopravvivere.

Di queste figure caratteristiche se ne trovavano in tutte le città, e così pure nella nostra cara Fiume quando essa era ancora animata dall' intenso movimento di navi attraccate ai moli del porto, provenienti dai vari continenti, in particolare dall' Estremo  Oriente, e dalle quali scendevano figure strane che, anche se di passaggio, offrivano uno spettacolo di vivaci colori.

L' espressione "bottega sulla pancia" si riferiva, in particolare, a un uomo alto, magro, severo, mai sorridente, che spesso lasciava penzolare dalle labbra la lunga pipa, e che attorno alla vita portava una larga e spessa cintura di cuoio con appesa un' ampia borsa, sempre di cuoio, ripiena di vari oggetti, in gran parte pipe e altri pezzi di artigianato manufatti all' interno della Bosnia musulmana.

L' uomo severo passava con grande dignità, mai offrendo a voce alta la sua merce. Portava inoltre, al fianco, una serie di bastoni di legno di ciliegio, nodosi, lucidi e profumati.

Pareva che nessuno comperasse la sua merce, eppure quest' uomo, magro e allampanato, riusciva a guadagnare quel tanto da poter mantenere la sua famiglia lasciata nei dintorni di Mostar o di qualche altra cittadina nell' interno montuoso dei Balcani.

 

 

Portava quel copricapo caratteristico rosso, rotondo e con un ciuffetto di fili sulla nuca, e passava impassibile tra la Piazza ed il Corso, solenne e silenzioso. Nulla poteva turbare il suo andare quasi maestoso.

Una volta, in vicinanza del molo Adamich, mio padre potè assistere allo spettacolo dato da una famiglia cinese. Padre, madre e tanti piccoli ragazzini - vispi e allegri almeno apparentemente - erano scesi dalla nave del Lloyd arrivata dai porti dell' Oriente, e molto probabilmente lo spettacolo offerto a noi lo avevano riservato anche nei vari porti nei quali la nave aveva fatto scalo. Quei minuscoli fanciulli brandivano dei coltellacci di diverse misure, e piuttosto pesanti, che gettavano in aria e riprendevano al volo con gesti graziosi e leggeri, dimostrando una abilità che lasciava a bocca aperta chi li guardava.

 

 

Giravano e manovravano tali attrezzi intorno alle loro esili personcine e raccoglievano i soldini loro offerti, con un largo sorriso di riconoscenza.

Mostravano poi i loro spiccioli, monetine bucate, infilate in un bastoncino; questi soldini erano meno pregiati, mentre sembravano preziosissimi quelli da noi offerti alla fine dei loro giochi. Ultimata la sosta della nave, ripartivano con il loro tesoro raccolto.

 

 

C' erano in giro per le nostre vie anche altre figure caratteristiche, ormai scomparse, e tra queste c' era il venditore di prelibati frutti di mare, detti "mussoli". Egli spingeva la caldaia su ruote, che pareva una piccola locomotiva fumante ed offriva la sua merce stufata a vapore, appena cotta e gustosissima. Mio padre ne andava matto, succhiando il sapore di mare dei mussoli, ancora ricoperti di alghe e serviti in ciotole di legno.

Non sono mai più riuscito a ritrovare quel profumo e quel gusto così originali, e quella qualità di mussoli della mia infanzia e giovinezza a Fiume.

 

 

 

Un' altra figura pure scomparsa era la "cantante di corte", una donna anziana dalle ampie gonne colorate, con i capelli grigi arruffati, che si presentava puntualmente in un dato giorno della settimana sotto le finestre che si aprivano sul cortile del nostro caseggiato. Ella era autentica, come autentiche erano le sue canzoni della Città Vesuviana, e i ragazzi gridavano: "E' arrivata jummo jummo"... ed infatti dalla sua voce sonora ed un poco rauca ci faceva sentire ... "funiculì funiculà" mentre la gente intanto preparava la monetina avvolta in carta di giornale, per gettarla dall' alto del cortiletto dove lei si esibiva.

 

 

Era simpatica la vecchia donna, instancabile nell' offrire lo spettacolo canoro della sua città, lasciata per vivere lontano, sebbene cantasse: "luntano a te nun se po' sta" ...

 

 

 

Si  ritorna  sempre  a  Fiume

 

Non tutti i ricordi di mio padre sul tempo passato sono lieti, pur avendo vissuto la sua fanciullezza e giovinezza a Fiume, città veramente ricca e laboriosa, almeno in quel periodo.

Arrivò poi la Grande Guerra 1914 - 1918 ed anche Fiume risentì le conseguenze del conflitto. Siccome scarseggiavano i principali generi alimentari, mio padre - rimasto l' unico uomo in famiglia (uomo per modo di dire perchè aveva 14 anni) dovette preoccuparsi di aiutare le tre donne di famiglia, cioè la Mamma e le due sorelle.

Il pane, una grossa pagnotta arrivava per interessamento del Nonno - che era lontano - quasi regolarmente per pacco postale dalla campagna (pane rustico, un po' stantìo, ma abbastanza gustoso). si doveva poi pensare al companatico, cioè strutto, lardo, burro e uova.

Spesso si andava in campagna con il sacco sulle spalle ripieno di indumenti da scambiare con i contadini per avere le cibarie di cui si aveva bisogno, viaggiando in precario equilibrio sul predellino del treno locale, straccarico di passeggeri, sulla linea Fiume - Zagabria, il quale per fortuna viaggiava a velocità ridotta.

I contadini croati non si fidavano della moneta e così preferivano indumenti in buono stato in cambio della loro merce.

 

Simbolo di Economia del baratto.

 

Fortunatamente si tornava a casa quasi sempre con la preda conquistata e così la nostra famiglia non dovette mai patire la fame.

Il nonno Giacomo era dislocato a centinaia di chilometri di distanza da noi, in fondo alla Transilvania, incaricato dalla Organizzazione Statale di procurare il grano necessario alla popolazione, che era affamata.

Il grano però venne requisito dalle allora vittoriose truppe germaniche nel territorio della Bessarabia, in Romania, ricca di piantagioni di cereali.

Il nonno, per conto della Monarchia Austro Ungarica che era alleata, ma che i Prussiani trattavano con una certa alterigia e disprezzo, dovette lottare per assicurarsi una parte di tale raccolto. Egli dovette rimanere per molti mesi sul confine rumeno, tra Brasso (ora Brassov e già Kronstadt sotto la Transilvania Ungherese) e Sinaia.

Non gli fu facile trattare con il Comando Germanico, dato che anche la popolazione, in Germania, era ridotta in quegli anni alla fame. Qualche cosa comunque riuscì a raggranellare.

 

Finita la guerra e ritornato a Fiume, il nonno si trovò inattivo essendo impossibilitato a riprendere i suoi commerci di cereali e ad importare con le navi il grano dall' estero ed oltreoceano (come nel passato con l' Argentina) data l' assoluta paralisi del porto della nostra città.

Così, per sopravvivere, dovette trasferirsi a Trieste dove lui, quale esperto del ramo, fu incaricato da una Organizzazione creatasi a tale scopo, di acquistare, sempre dalla Romania, l' eccesso di grano che questo Paese largamente produceva.

 

Coltivazione di grano in Romania

 

Per parecchi mesi dovette fermarsi nel delta danubiano, a Braida e Galatsz, mentre la famiglia intanto si era sistemata a Trieste, in via della Geppa, non lontano dal porto.

Mio padre, nel frattempo, aveva ripreso gli studi di medicina a Bologna, facendo la spola tra le due città, e contemporaneamente ebbe il modo di frequentare gli ospedali, molto bene attrezzati, di Trieste.

Durante le sue vacanze, infatti, ebbe modo di lavorare nel reparto Infettivi dell' Ospedale della Maddalena, dove il Primario dott. Lorenzutti - erano due studenti volonterosi - gli insegnò i segreti della batteriologia ed immunologia, discipline alle quali egli si dedicò in seguito, dopo la laurea.

Nelle ore libere si tuffava negli scogli di Barcola, nel mare allora limpido e pulito del meraviglioso Golfo di Trieste.

Ancora da studente, mentre si trovava a metà degli studi, si recò, per desiderio di suo padre, a Vienna, dove fu ospitato, quale allievo interno, nel vasto Ospedale per Malattie Infettive "Franz Josef". Qua rimase per circa un anno, poi ritornò a Bologna per sostenere tutti gli esami rimasti arretrati.

Ritornata la famiglia a Fiume, dove il porto era sempre inattivo, i risparmi che il nonno aveva potuto fare  a Trieste, per quanto cospicui scemarono rapidamente ed Egli si trovò così nella necessità di doversi recare nel Banato - già ungherese, e poi assegnato dopo la Guerra al nuovo Stato denominato Jugoslavia - regione ricchissima di grano per l' acquisto di quella grande riserva di terra fertile di una discreta quantità di cereali.

Mentre stava appunto preparandosi per tale viaggio venne assalito da un grave attacco renale e trasportato d' urgenza all' Ospedale di Fiume dove mio padre aveva passato da giovane medico ben due anni intensi di attività prima di concorrere al suo posto definitivo a Padova.

Il nonno fu operato e tutto sembrava procedere regolarmente.

Invece un presentimento indusse mio padre a prendere il treno due giorni dopo l' intervento, e arrivato di buon mattino alla stazione di Fiume apprese purtroppo la luttuosa notizia della sua morte.

Era il mese di dicembre dell' anno 1928.

 

Tomba del nonno Giacomo (Jakob Dènes) a Cosala

 

Mio padre ritornò ogni anno a visitare la modesta tomba di suo padre nel Cimitero di Cosala, dove riposa sotto la terra rossa tra i cipressi ed i boschetti di alloro.

La nonna invece è sepolta nell' isola di San Michele a Venezia.

Per un po' si pensò di riunire i due genitori in un unico sepolcro a Venezia, ma mio padre vi rinunciò ricordando quanto mio nonno Giacomo fosse stato legato alla nostra tormentata città.

Qui a Fiume egli passò la sua giovinezza, qui visse i suoi anni migliori quando nel nostro porto, in piena e fiorente attività, vedeva arrivare le sue navi cariche di merce. Qui si creò una famiglia e qui crebbero i suoi figli e nipoti. Qui ebbe, a Fiume, la stima dei suoi amici, oggi tutti scomparsi e in gran parte giacenti sotto la terra argillosa del Camposanto di Cosala.

 

 

 

Incontro  tre  padre  e  figlio

 

Fino a qui la esaltante storia dei protagonisti della Famiglia Goldfinger - Dènes dalla quale provengo e che rappresentano le mie radici ungheresi.

La ho descritta rispettando fedelmente i racconti fattimi da mio Padre in lunghe e commoventi sedute permeate di paterna umanità e filiale commozione.

Non si è trattato di un film, ma di un destino che pur attraversando strade diverse è riuscito a ritrovare e a ricongiungersi alla sua strada maestra.

 

 

Ora cedo la parola al protagonista principale per l' Atto Finale della storia.

Giulio Scala.

 

Fine dell' Ottava  puntata

 

 

Nona e ultima puntata

 

Parla  mio  padre,  Giulio  Dènes

 

Il  figlio  primogenito.

 

All' età di 70 anni ho incontrato e "conosciuto" il mio figlio primogenito nato a Fiume nel 1928. Siamo nel 1971.

Dopo i trascorsi della prima guerra mondiale, che per me - data la mia origine ebraica - erano stati particolarmente difficili e perigliosi, mentre vivevo da pensionato a Padova con mia moglie Elena, che era stata mia assistente di laboratorio, ed i nostri tre figli.

Ma torniamo alla mia giovinezza a Fiume.

Negli anni trascorsi quale giovane medico -  "praticante" e quale "interno" con vitto e alloggio in Ospedale - nell' Ospedale Civile di  S. Spirito avevo conosciuto una giovane levatrice (oggi si dice ostetrica) anche lei "interna" in Ospedale. Non ancora trentenne, alta e slanciata, molto energica, era nata a Fiume da genitori italiano - croati ed era rimasta orfana in tenera età. Si chiamava Piera ed era molto simpatica ed apprezzata professionalmente.

Fu un amore travolgente ed i colleghi medici in Ospedale, tutti al corrente della nostra storia romantica, ci prendevano in giro.

 

 

 Il nostro idillio andò avanti per un bel po' e si interruppe solo quando mi dovetti trasferire a Padova con la mia famiglia.

Nell' estate del 1929 però, Piera si presentò a casa nostra a Padova con in braccio un bel bambino di sette o otto mesi, una bella testa di capelli neri ricciuti. Disse a mia madre che il bambino si chiamava Giulio (nato il 6 Novembre 1928) ed era figlio appunto di suo figlio Giulio.

Mia madre, donna di grande carattere, che aveva per me altri progetti che non quello di salvare l' onore di una giovane sconosciuta levatrice, le fece una offerta che riteneva onesta e sensata.

Avendo accettato, la somiglianza già allora era indubbia, che il bambino fosse figlio di suo figlio Giulio, mia madre si offrì di prendere la creatura in seno alla sua famiglia, la quale avrebbe provveduto a farlo crescere sano e a dargli una educazione.

 

 

Piera, secondo l' offerta di mia madre, si sarebbe dovuta accontentare di un "accomodamento" finanziario, e se ne sarebbe tornata a Fiume senza altre complicazioni . Lei, naturalmente non accettò tali condizioni e se ne tornò a Fiume con suo figlio in braccio.

La mia famiglia le cominciò a inviare ogni mese un assegno di mantenimento per il piccolo Giulio, e tali rimesse cessarono quando Piera, nel 1935, sposò un giovane Capitano di Lungo Corso (di nome Giulio Scala) il quale rimandò gli assegni al mittente.

Infatti, tale era l' amore di questa donna per suo figlio che, per acconsentire alle nozze con il Capitano, pretese che lui andasse al Municipio a dichiarare la paternità del bambino, il quale visse sempre con un certificato di nascita falso: Giulio Scala.

 

 

Ma torniamo al 1971.

Della Piera levatrice e di suo (mio) figlio io avevo perso ogni traccia.  Senza scendere in particolari, incontrai mio figlio Giulio quando aveva 43 anni. Aveva una brava moglie e due bambini piccoli. Mia moglie la prese bene, avallando la mia patetica e poco coraggiosa storia di non aver mai saputo di avere questo figlio.

Tra di me e questo figlio, chiamiamolo così "prodigo" si sviluppò un affetto ed una amicizia infinitamente superiore ad ogni rapporto padre - figlio.

Si sa che i rapporti tra padre e e figlio maschio sono sempre piuttosto difficili e delicati. Ma con Giulio ci trovammo subito.

Forse il termine "ritrovarsi" è assurdo in quanto eravamo due estranei che si erano incontrati e conosciuti per la prima volta nella loro vita, ma i nostri gusti e preferenze nel campo della musica, letteratura, arte erano simili in un modo incredibile.

I miei figli (legittimi), che avevano 33, 29 e 23 anni erano italiani nati a Padova, ma Giulio ed io - entrambi nati e cresciuti a Fiume -  avevamo una infinità di cose in comune: insomma, due fiumani che si ritrovano e parlano della vecchia Fiume.

 

 

Avevamo così preso l' abitudine, io e la mia famiglia, di andare una o più volte all' anno a Fiume, allora Jugoslavia, a visitare la tomba del nonno (mio padre) Giacomo al cimitero ebraico di Cosala.

Ci scrivevamo lunghe lettere, piene di critiche letterarie, concetti su musica, poesia. Io stavo traducendo i grandi poeti ungheresi (Petöfi) dall' ungherese all' italiano, mentre Giulio (ir) stava scrivendo su riviste articoli e ciacolade sul vecchio folklore fiumano.  In un decennio riuscimmo a concentrare una intera esistenza.

Questo fu il mio secondo ritorno a Fiume.

Giulio Dènes.

 

 

 

Albero  Genealogico

e

Lasciapassare  da  Fiume  per  Trento

 

omissis,

vedi nel  libro di Cristina Scala: 

RICORDI  FIUMANI

E  CIACOLADE  DI  GIULIO  SCALA

 

 

Addio  Fiume

 

Ho ricevuto ieri diverse e-mail dagli amici della MLH e del Forum Fiume. Argomento: Tornare ?

Voglio oggi rispondere.

Prima di tutto voglio ringraziare i miei affezionati lettori che negli ultimi decenni mi hanno seguito nelle mie romantiche divagazioni di una decadente crepuscolarità dannunziana.

 

Gli inglesi che  avevano trascorso una vita nelle colonie, Singapore, Hong Kong, quando si riferivano all' Inghilterra dicevano sempre "Home".

Per diversi motivi, forse perchè sono appena reduce da una lunga e grave malattia che ha lasciato tracce nel mio corpo e nel mio spirito, o forse perchè ho vissuto in tanti paesi del mondo, non mi sento sinceramente di considerare la città che mi ha dato i natali nel lontano 1928 come "Home".

Per me "Home è dove vivo con mia moglie, i miei libri, le mie cose. Non possiamo nemmeno delegare l' eredità di sentimenti e di affetto ai nostri discendenti, molti dei quali nati in paesi di lingua e cultura diverse.

Anche le generazioni nate nelle nostre terre avranno un' altra lingua, un' altra cultura. Tutto il nostro passato è una serie di immagini incollate nel nostro album di ricordi che ogni tanto apriamo e guardiamo con tenerezza.

 

Io sono fiumano, nato a Fiume. Ti amo Fiume, ti ho amata per tutta la mia vita. Ti lascio oggi per sempre come si lascia un grande amore, con commozione ed affetto inestinguibili. Addio Fiume.

Giulio Scala / maggio 2005.

 

Cartolina di Fiume 1930 vista dal Colle di Tersatto.

 

Giulio e Karin

Was born in 1928 in Fiume (today Rijeka in Croatia). After a degree in Economics in 1955 he took up his maritime life by getting a job on the luxury schips of the Lloyd Triestino Shipping Company, which linked Europe with the Far East embarching also onboard emigrant ships towards Venezuela, Canada and Australia.

In the late 60s he moved to Frankfurt where he began wirking for Alitalia There Guido Grimaldi founder of our Group toghether with his brothers, notice him and offered him a position of high organisational responsability in the Anseatic Ports and in particular in the transport of German cars to the United States.

It wos a task he performed he performed with great success keeping excellent relations with all cars manufactures based in Germany, until his retiremenrt, when he returned to live in Italy.

In his last years of life he published his memoirs on the newspaper "Voce di Fiume" (Voice of Fiume), and wrote as well a book titled "Memoirs of a maritime purser" to remember his great experience at sea.

After a stroke and the death of his beloved German wife Karin, Giulio followed her only four months later, on the 28th of July, at the age of 83. He leaves behind the children Christina and Marco and two grandchildren Emly amd Luca.

Cristina  Scala

 

 

 

Cristina Scala, figlia di padre esule, fiumano, e di madre profuga dalla Boemia, di Aussig, è nata il 21 Marzo 1972 a Trieste ed ha trascorso nella città giuliana i primi sei anni della sua vita imparando da subito entrambe le lingue (italiano e tedesco).

Nel 1978, in conseguenza dello shock causato dal tremendo terremoto del Friuli del maggio 1976, la famiglia decise di far ritorno in Germania, a Offenbach am Main presso Francoforte sul Meno, dove i suoi genitori trovarono facile occupazione.

Nel 1988 Cristina si specializza nelle tecniche del turismo nella "Baufschule" facendo l' apprendistato in una Azienda marittima, la "Seetours International GmbH" di Francoforte e consegue il diploma di "Reiseverkehrskauffrasu" corrispondente ad agente operatore commerciale turistico, parlando correntemente italiano, tedesco, inglese e francese.

Nel 1992 ha lavorato presso la Delphin Seireisen GmbH a Offenbach am Main.

Dopo essersi trasferita nel 1996 ad Augburg ha iniziato un nuovo incarico presso la Air-Maritime-Sewereisen GmbH appartenente al Gruppo FTI Touristik di Monaco di Baviera - agenti di varie compagnie crocieristiche internazionali tra cui la MSC Crociere, Costa Crociere, Trans Ocean, la Royal Olimpic Cruise Line, Cunard, Dailmann. ecc. - avendo quindi con tutti questi incarichi anche l' occasione di girare il mondo sulle orme di suo padre.

Oltre che diverse volte nel Mediterraneo, ha viaggiato sulla costa Ovest dell' Africa, nel Mare Caraibico, nella Costa Est Nordamericana e dalla Giamaica fin sul fiume San Lorenzo e Montreal.

Dal Marzo 2000 è entrata in Italia e attualmente risiede nella bella cittadina di Portogruaro nel Veneto. Dopo alcune esperienze iniziali come Receptionist nei vari alberghi di Bibbione e Lignano Sabbiadoro durante le stagioni estive, ora ha trovato un impiego - nel commerciale estero del settore metalmeccanico - in una Azienda che si occupa di costruzione stampi, la quale fornisce soprattutto i suoi prodotti alle Case automobilistiche tedesche.

28 Novembre 2015.

Torna a Spazio Fiume